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IL FOCUS. MARCIANISE. La norma-porcata che consente alla Leoncini di candidarsi. Quando “ci mangiavamo” Velardi (insieme) e la doppia morale di Abbate e del candidato sindaco Angelo Golino

21 Aprile 2023 - 18:41

MARCIANISE (gianluigi guarino) – Quando Casertace ha rivelato la notizia della candidatura, in una delle liste a sostegno dell’aspirante sindaco Angelo Golino, della direttrice sanitaria del presidio ospedaliero di Marcianise Laura Leoncini (CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO), esprimendo al riguardo una valutazione totalmente negativa, non aveva certo affrontato la questione dal lato della liceità e da quello della legittimità.

La decisione, assunta da Laura Leoncini, di far convivere la funzione di direttore sanitario dell’ospedale di Marcianise, formalmente istituzionale e terza, con quella di candidato, quindi, partigiana per definizioni, in una delle 13 liste che concorreranno alle elezioni comunali del 14 e 15 maggio prossimi, non vìola, infatti, la legge.

E ci mancherebbe pure. Né la Leoncini, né l’esponente di Articolo Uno, oggi entrato a far parte del Pd, Alessandro Tartaglione, sono tanto stupidi da candidare, la prima, se stessa, il secondo, una persona che versa in una condizione di ineleggibilità.

Naturalmente, come capita spesso nelle nostre zone, la superficialità di analisi negli ultimi giorni ha preso il sopravvento e chi ha incrociato il dibattito ha ritenuto che, in discussione, ci fossero anche il tema della incandidabilità-ineleggibilità. Il ché, non è. Noi, invece, abbiamo posto una questione politica e di etica elementare.

Il fatto che le leggi siano realizzate dai politici determina, gioco forza, che molte di queste siano connotate da contenuti scadenti. Ma ciò non vuol dire che non vadano rispettate, senza se e senza ma, dato che ciò è il fondamento di una democrazia e di uno Stato di diritto.

E questo che permette alla Leoncini e a tutti coloro che si trovano nella stessa condizione professionali di candidarsi rappresenta proprio un tipico caso di legge cattiva. Cattiva e costruita in malafede. Una circostanza, quest’ultima, che un occhio appena esperto comprende immediatamente, nel momento in cui incrocia il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n.27 del 26 gennaio del 2009, che in sostanza sancisce l’incostituzionalità del comma 1, numero 9, dell’articolo 60 del decreto legislativo n.267 del primo agosto 2000, meglio noto come Testo Unico degli Enti Locali.

LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

Cosa dice la Corte costituzionale? La legge non può sancire l’ineleggibilità di un dirigente di una struttura sanitaria privata convenzionata la cui Asl di riferimento insiste in tutto o in parte nel territorio del Comune interessato alla citata elezione.

Attenzione, però: ciò viene esplicitato non perché la Corte Costituzionale esprima un giudizio di contenuto, di merito, che del resto non appartiene alle sue competenze, alle sue potestà e alle sue funzioni, ma semplicemente perché, siccome l’evoluzione della disciplina in tema di incandidabilità-ineleggibilità ha reso possibile la candidatura dei cosiddetti dirigenti sanitari di secondo livello (cioè i direttori dei presidi ospedalieri, i direttori dei distretti sanitari e di altri, come poi vi spiegheremo), allora – sancisce in sostanza la Corte Costituzionale – non c’è alcun motivo per cui questa possibilità di candidarsi non debba essere estesa anche ai dirigenti delle strutture private convenzionate.

In caso contrario, si creerebbe una disparità tra i cittadini, costituzionalmente rilevante, rispetto al diritto dell’elettorato passivo. Questa roba qui noi la conosciamo e la conosciamo bene da tantissimi anni, in quanto ce ne siamo occupati anche in altre circostanze.

LA LEGGE PORCATA CHE CONSENTE ALLA LEONCINI DI CANDIDARSI E LA MALAFEDE DEI POLITICI

E allora, quando parliamo di malafede del legislatore ci riferiamo proprio al fatto che, da un lato si è voluto tutelare il diritto all’elettorato passivo dei dirigenti di secondo livello delle Asl e delle aziende ospedaliere (assimilandolo al principio generale, al diritto fondamentale sancito dalla Costituzione all’articolo 51), dall’altro lato si è invece confermata, all’interno del comma 1 n.9 dell’articolo 60 del Tuel, la eleggibilità all’interno del dei dirigenti delle strutture convenzionate.

È del tutto evidente, infatti, che queste figure siano meno utili e meno funzionali al raggiungimento di finalità elettorali. Un centro privato può essere sicuramente condizionato dal rapporto con gli uffici dell’azienda sanitaria locale, ma il processo clientelare, tipico della patologia soprattutto meridionale che inquina il voto elettorale, diventa, in quella circostanza, di più difficile realizzazione attraverso modalità indirette che non ingolosiscono più di tanto i capibastone pragmatici territoriali della politica.

Diverso è il discorso di un direttore di presidio ospedaliero, di dipartimento, di un direttore di distretto sanitario o di un direttore di unità operativa complessa. Si tratta di funzioni, anzi, diciamocela tutta, di poltrone prove di qualunque caratterizzazione tecnica le quali, al di là dei titoli che una persona, un professionista può avere, vengono decise solo ed esclusivamente dalla politica, a differenza del principio che ha guidato il meccanismo di ripensamento e ridefinizione dei livelli di incandidabilità, il quale ha considerato queste cariche solo alla stregua di meri uffici interni alle Asl, riducendo il divieto alla candidatura alle sole figure di direttori generale, sanitari e amministrativi dell’Asl intesa nel suo complesso.

Ribadiamo il concetto: il direttore sanitario di un presidio ospedaliero, soprattutto del Sud, il direttore di un distretto sanitario di un’Asl, un direttore di dipartimento (il caso Carizzone, al riguardo, è a dir poco esemplare) e forse, in misura minore, solo la nomina dei primari di Uoc, rispondono a logiche politiche, anzi sono determinate il più delle volte solo ed esclusivamente da azioni discrezionali compiute dalla politica.

Ieri, se non eri amico di Caldoro, te lo sognavi un posto da direttore dell’ospedale di Marcianise, oggi se non sei amico di De Luca e/o dei suoi vari cacicchi territoriali, il direttore a Marcianise o in un qualsiasi altro ospedale non aziendale della Campania, non lo puoi fare mai. Se Laura Leoncini non fosse appartenuta al mondo di un associazionismo espressione del PD e dell’area del centrosinistra deluchiano, riteniamo che ben difficilmente sarebbe diventata direttore sanitario del presidio ospedaliero di Marcianise. Naturalmente, ciò vale per lei e anche per i suoi predecessori, di qualsiasi coloritura politica.

PERCHE’ UN DIRETTORE DI PRESIDIO OSPEDALIERO PUO’ FARE TANTI VOTI. LA SVOLTA DEL CONSIGLIO DI STATO

Un altro evidente riscontro di malafede da parte della politica, che ha preso il proverbiale terno quando ha potuto smarcare dall’incandidabilità e dall’ineleggibilità i dirigenti sanitari di secondo livello, è costituito dalla ratio che definisce la scelta del legislatore di rendere appunto ineleggibili le figure dei direttori generali, dei direttori sanitari e dei direttori amministrativi delle Asl e delle aziende ospedaliere.

Questi, effettivamente, a meno che non abbiano cessato la propria carica da almeno sei mesi, non possono concorrere a cariche amministrative di tipo elettivo come quella di sindaco, di presidente della Provincia e di consigliere comunale.

Non a caso, la partita si è giocata nel 2014, quando il Consiglio di Stato, III Sezione, sentenza n. 5583 del 12 novembre, ha rovesciato una sentenza pronunciata da un Tar italiano.

La sentenza Tar assimilava la condizione di incompatibilità delle cariche elettive pubbliche a vantaggio dei dirigenti sanitari, compresi quelli di secondo livello, alla formulazione generale del decreto legislativo n.39 del 2013, il quale, all’articolo 12, dispone l’appena citata incompatibilità con determinate cariche elettive negli enti locali degli incarichi dirigenziali interni ed esterni nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto in controllo pubblico.

Riassumendo e cercando di semplificare, nella previsione generale dell’articolo 12 rientravano, secondo il Tar, anche i direttori di presidio ospedaliero e quelli di secondo livello, considerati una componente di quegli “incarichi dirigenziali” che, per definizione, sviluppavano una ineleggibilità-incompatibilità quando ricorrevano le condizioni di un rapporto territoriale che consentisse di trarre un indebito vantaggio dalla propria carica rispetto agli altri candidati.

Il politico in malafede travestito da legislatore scrive, però, anche l’articolo 14 di questo decreto legislativo 39/2013, che noi definiamo e definiremo articolo-porcata, e stabilisce l’incompatibilità tra “incarichi di direzione nelle aziende sanitarie locali e cariche di componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali” prevedendo l’incompatibilità in questione solo con riferimento agli incarichi di direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario.

La valutazione morale l’abbiamo espressa: trattasi una vera e propria porcata legata alle intenzioni di legalizzare quella che rappresenta comunque una modalità di voto di scambio, visto e considerato che, soprattutto in un’elezione amministrativa di tipo comunale, la carica del direttore sanitario del nosocomio che insiste nel territorio in cui si svolge la stessa, crea di per sé una posizione di vantaggio, che si instaura e si consolida in maniera molto più efficiente ed efficace rispetto a quello che può essere il grado di condizionamento espresso da un direttore generale, sanitario o amministrativo dell’Asl intesa come aggregato principale.

Il politico-legislatore consuma, dunque, la sua impostura. Di fronte a questo, gli organi della giurisdizione, Tar, Consiglio di Stato o anche la Corte Costituzionale, definita, non a caso, Tribunale delle leggi (ma aggiungiamo noi, fino a un certo punto), non possono non prendere atto di queste norme.

E sempre non a caso sia la Corte Costituzionale nella sua sentenza del 2009 illustrata prima, sia il Consiglio di Stato nel 2014, affermano e precisano che è quella del legislatore la figura a cui l’ordinamento costituzionale attribuisce una potestà discrezionale sul contenuto di una legge che va a definire questa o quell’altra materia.

I giudici della Consulta ci tengono a sottolineare – nel momento in cui prendono atto che non potranno essere considerati ineleggibili i dirigenti di strutture private convenzionate, visto che il legislatore ha tutelato con una norma speciale, a nostro avviso inspiegabile (o troppo spiegabile), i dirigenti sanitari di secondo livello – che non tocca alla Corte il compito di entrare nel merito o di incidere su questo, esercitando un potere additivo che la Carta Costituzionale non le assegna.

Per cui, è ufficiale: il politico, nella veste di legislatore, si è confermato quello che in Italia spesso è stato e spesso è ancora: un’autentica canaglia.

Canaglia perché con l’articolo 14, che decreta un’eccezione vergognosa, perché crea una differenza nel peso delle figure dirigenti sull’ineleggibilità e sull’incandidabilità solo per il settore, sanitario rispetto alla disciplina generale dell’incompatibilità declinata dall’articolo 12 dello stesso decreto 39/2013, che parla di incarichi dirigenziali senza ulteriori specificazioni.

A proposito di costituzionalità, ci verrebbe da dire per quale motivo qualcuno non pone sull’articolo 14 che crea un’evidente disparità in relazione al diritto di elettorato passivo tra un dirigente considerato come tale, di secondo livello, di una qualsiasi amministrazione pubblica e i dirigenti di secondo livello delle Asl, trattati come veri e propri figli della gallina bianca.

LA LEONCINI IN LISTA E’ FRUTTO DI QUESTA PORCATA E DELLA DISARMANTE DOPPIA MORALE DI DARIO ABBATE & CO.

Ecco perché noi abbiamo attaccato la candidatura di Laura Leoncini da un punto di vista politico e da un punto di vista di quella sa noi definita etica elementare che, in quanto tale, è accettabilissima anche da parte di un liberale com’è il sottoscritto.

E qui subentra, in conclusione, il ragionamento di tipo esclusivamente politico da noi svolto nell’articolo pubblicato sabato sera: eventualmente qualcuno ce lo chiedesse, ripubblicheremo qualche nostro lavoro del recente passato nel quale, alla maniera di Giove contro i Titani scatenati dal supremo Crono, scagliavamo fulmini e saette nei confronti di Antonello Velardi quando questi collegava alcune sue dinamiche di gestione amministrativa all’attività e alla potestà di altre cariche istituzionali, anche relativamente a cose riguardanti l’ospedale di Marcianise.

Questo ci permette di affermare che, se nel 2020 fosse stato Antonello Velardi a candidare Laura Leoncini in una delle sue liste, o se l’avesse fatto nel 2016 – quando era un candidato sindaco del Pd – noi di Casertace e anche Dario Abbate, al tempo suo competitor diretto, ce lo saremmo letteralmente mangiato.

E in tal modo ci siamo comportati in funzione di eventi molto meno gravi di questo, oggetto di diversi articoli di CasertaCe e di pubbliche sortite esplicitate dal leader del centrosinistra marcianisano Dario Abbate, sia attraverso l’esposizione social, sia attraverso interventi ufficiali svolti in consiglio comunale e supportati dagli strumenti tipici dell’attività di un’opposizione democratica, interrogazioni in primis.

E allora vogliamo fare i bravi. Se sabato scorso abbiamo utilizzato qualche categoria non del tutto aderente ad una trattazione di tipo politico, ciò è accaduto perché siamo stati costretti a rispondere a gravi provocazioni subìte.

Ma proprio per evitare derive personali che qualcuno potrebbe scambiare per personalistiche, dobbiamo andare a rispolverare addirittura un arnese dell’antiquariato della sinistra tout court, di quella internazionale e internazionalista: ovvero, la doppia morale.

Un modus operandi che qualifica e squalifica come cattivo, deteriore, disonesto, immorale, tutto ciò che l’avversario politico esplicita, riempendo al contrario di ghirlande e di legittimismo normativo o ulteriormente connotato le medesime azioni compiute da chi giustifica questa doppiezza con l’obiettivo della conquista del potere.

Che una volta almeno era ammantato, come finalità machiavellicamente perseguirà, dalla foglia di fico dell’avvento delle masse e del proletariato, oggi, onestamente, ammantabile solo con il primato della ricotta.