La Domenica di Don Galeone: Poveri e ricchi, sfruttati e sfruttatori, onesti e disonesti di fronte al giudizio di Dio

18 Settembre 2022 - 08:43

XXV domenica T.O. (C) – 18 settembre 2022

Smetterla di dare consigli a Dio!

Prima lettura    Contro coloro che comprano con denaro i poveri (Am 8, 4). Seconda lettura   Si facciano preghiera per tutti gli uomini a Dio, che vuole tutti salvi (1Tm 2, 1). Terza lettura    Non potete servire a Dio e a Mammona! (Lc 16, 1).

Prima lettura (Am 8,4)  Nella Sacra Scrittura, la ricchezza si presenta con un duplice volto: da un lato essa è presentata come una ricompensa che Dio concede ai giusti; dall’altro lato, la ricchezza è vista come un pericolo, un rischio che conduce all’idolatria e alla corruzione. Il profeta Amos (prima lettura) denuncia con forza i furti commessi dai ricchi, lo scandalo della loro vita gaudente, la vergogna delle loro ingiustizie. “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero!”. Queste parole sono del profeta Amos, e sono parole di grande attualità. Lui parla di mercanti che speculano sui profitti, che nei giorni di festa organizzano i loro giochi di mercato, che usano bilance false, aumentano il prezzo dei prodotti, comperano le piccole proprietà dei poveri… Mettete al posto di questi anonimi speculatori le multinazionali e voi sentite l’attualità di questa profezia! Su tutti costoro piomba il giuramento-condanna di Dio: “Non dimenticherò mai le loro opere!”.

Siamo nel 750 a.C. e Israele è al massimo del suo splendore. Il suo territorio si estende dall’Egitto alle montagne del Libano. Sono state introdotte nuove tecniche agricole che hanno incrementato la produzione. Il re Geroboamo II – abile politico – instaura rapporti di amicizia con i popoli vicini, dà ai grandi proprietari terrieri l’opportunità di vendere a buon prezzo il vino, l’olio, il grano. Anche la religione è fiorente: i templi rigurgitano di devoti e di pellegrini che vanno a pregare e a offrire sacrifici. I sacerdoti sono ben stipendiati dal sovrano. C’è da benedire Dio e ringraziare il re per tanta prosperità. Ma Amos la pensa diversamente: è un pecoraio venuto da Teqòa, e lancia minacce terribili, perché – dice – è vero che ci sono benessere e ricchezza nel Paese ma solo per alcuni: “Si vende il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; calpestano come polvere della terra la testa dei poveri” (Am 2,6). Il profeta rivolge le sue accuse contro Geroboamo II, contro i sacerdoti, contro i latifondisti, contro i ricchi. Nel brano riportato nella lettura di oggi, egli attacca i commercianti. Come questi accumulano le loro ricchezze? Come si è sempre fatto, da che mondo è mondo: rubano.

Vangelo (Lc 16, 1-13)   La parabola di questa domenica ha come protagonista un amministratore disonesto. Sono parole dure quelle di questa parabola, per noi che amiamo gli equilibri, essere acrobati, conciliare il diavolo e l’acqua santa. E invece non possiamo servire due padroni, Dio e Mammona. Attenzione: quando si parla di denaro, le acque si intorbidano un poco, come nella parabola di quel furbo amministratore, un tipo disonesto ma simpatico, di cui è pieno il mondo, e che viene persino lodato dal padrone!

Questa parabola ha sempre suscitato un certo imbarazzo perché, a quanto pare, viene elogiato un amministratore disonesto, e non si può certo raccomandare di imitarlo. Un amministratore viene accusato dal suo padrone di essere un incapace. I fatti sono così evidenti che l’amministratore non tenta neppure qualche giustificazione. Viene immediatamente destituito dall’incarico (w. 1-2). Che fare? Ecco l’interrogativo che, nel vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli, molte persone si pongono. Se lo pongono le folle, i pubblicani e i soldati che, rivolgendosi al Battista, chiedono: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10). Se lo pone, nel suo lungo soliloquio, il ricco agricoltore della parabola: «Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?» (Lc 12,17). Se lo pongono gli ascoltatori del discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste: «Fratelli, cosa dobbiamo fare?» (At 2,37). È l’interrogativo di chiunque si trovi di fronte a una scelta decisiva nella vita.

L’amministratore disonesto sa di avere poco tempo a disposizione. Non è in grado di adattarsi a zappare e neppure può abbassarsi a chiedere l’elemosina. «Meglio morire che mendicare» — dice il Siracide (Sir 40,28). Ecco il lampo di genio: Ho capito! So che cosa devo far!e (v. 4). Convoca tutti i debitori e chiede al primo: «Tu quanto devi al mio padrone?». «Cento barili d’olio» – risponde l’interessato. L’amministratore gli batte la mano sulla spalla e gli dice: «Straccia la ricevuta, siediti e scrivi, subito, cinquanta». Il debito, che era di 4.500 litri di olio, è ridotto a 2.250.

Poi entra in scena il secondo debitore: deve consegnare cento misure di grano (550 quintali) Stessa scena. Viene fatto sedere e gli sono condonati 110 quintali. Il padrone, e anche Gesù, lo elogiano: Bravo! Ha agito con scaltrezza! Ci saremmo aspettati una conclusione diversa. Gesù avrebbe dovuto dire ai discepoli: «Non comportatevi come questo furfante, siate onesti!». Invece lo elogia. Lodare la scaltrezza di una persona non significa essere d’accordo con ciò che ha fatto. Mi hanno raccontato di un ladro che è riuscito a fuggire di prigione aprendo tutte le porte con un semplice accendino. Merita un elogio… Era un ladro, ma è stato abile! Ora tutto diventa chiaro: l’amministratore è stato scaltro – dice il Signore – perché ha capito su che cosa puntare: non sui beni, sui prodotti, sul denaro, ma sugli amici, sulle relazioni, sulla riconoscenza. Ha saputo rinunciare alle ricchezze per conquistarsi gli amici. Questo è il punto! Buona vita!