LA NOTA. CASERTANA. Il presidente D’Agostino merita tanti applausi. Si apra col sorriso alla città, altrimenti il deserto del Pinto si trasformerà in un’ennesima sconfitta
26 Novembre 2018 - 17:00
CASERTA – (g.g.) CasertaCe sta seguendo, per una sua scelta editoriale, meno la Casertana rispetto a quanto non l’abbia seguita l’anno scorso e in quelli precedenti. Forse perchè, avendone viste nella nostra vita tante, abbiamo sempre saputo al di la dell’apparenza indiscutibile di un organico sontuoso per la categoria, che questo non sarebbe stato sufficiente per garantire, di per se, una cavalcata vincente.
L’alchimia che mette insieme i fattori costitutivi di una vittoria è complessa e molto spesso necessita di anni e anni di sforzi e di investimenti economici. Un’addizione di quelli che per la serie C sono indubbiamente dei top player, non significa avere una squadra. Solo raramente questa si forma in tempi limitati.
Il più delle volte, bisogna attraversare le difficoltà, i momenti difficili, dentro ai quali tutto si sfascia oppure tutto si costruisce perchè dalla sofferenza nasce la solidarietà, la cultura del gruppo, ma anche la decisione di gettare la spugna.
Quando Giuseppe D’Agostino ha assunto il controllo della società, acquisendo la carica di presidente, avemmo modo di esprimere alcune perplessità, non certo su di lui, ma sulla scelta di un direttore generale che non si era certo segnalato in passato per successi sportivi nè grandi e neppure piccoli. Su Martone scrivemmo quello che pensavamo. ci prendemmo la solita gragnuola di insulti da parte dei volta gabbana di sempre, dei prezzolati in servizio permanente ed effettivo e tirammo diritti per la nostra strada.
Da allora non siamo più intervenuti sulla Casertana, intesa come entità societaria, come soggetto economico che persegue obiettivi sportivi attraverso i conferimenti di chi ne è proprietario. Torniamo a farlo oggi, perchè abbiamo incrociato una storia già vista in passato: i 400, 500 paganti, roba da campionato di promozione, della partita di ieri contro la Paganese. Tifosi a cui andrebbe fatto un monumento per la fedeltà ad una maglia che hanno amato sempre, anche quando si è persa nei polverosi campi proletari del campionato di Eccellenza.
Ma attorno a queste gemme, a questa ricchezza di passioni e motivazioni, c’è il deserto. come c’è sempre stato. E’ vero che tutto il mondo è paese e quando una squadra di calcio delude, gli stadi si svuotano dappertutto, anche in serie A e ad ogni latitudine, ma 500/600 paganti, onestamente, non c’entra con la funzionalità dell’interesse alla qualità dei risultati sportivi.
I 500/600 paganti di ieri, sono l’indicazione chiare di quello che noi abbiamo sempre sostenuto: a Caserta non esiste una piazza sportiva per il calcio. La costruzione della medesima è, dunque, molto più importante dell’allestimento estemporaneo di una squadra di stelle. Perchè senza piazza alle spalle non si vince o se si vince, il successo sarà breve ed effimero.
Il calcio, a Caserta, è stata sempre una cosa molto complicata. I motivi, più d’uno. Volendo affrontare le questioni in maniera razionale, uscendo fuori per un attimo dal normale tran tran della lingua “tifosese”, vanno considerati prima di tutto i fattori di tipo socio-demografico.
il primo di questi motivi è, a nostro avviso, rappresentato dalla configurazione etnico-sportiva di questa provincia. Investire sul calcio pensando di poter contare su un “bacino di utenza” di 800 mila e più persone residenti, è a dir poco velleitario e denota scarsa conoscenza della cultura delle genti di questo territorio, formato, fondamentalmente da due province che stanno insieme solo perchè sono state fuse a freddo dai costruttori delle carte geografiche di tipo politico.
I 400 mila residenti tra l’agro aversano e il litorale domizio, in tutto 21 o 22 comuni, si sente estraneo alle ragioni, alle necessità, al modo di pensare di chi abita a Caserta, a Casagiove o a Caiazzo. I 400 mila dell’agro aversano non saranno mai tifosi dei falchetti. Ma non per un problema di rivalità sportiva e territoriale. Semplicemente perchè quell’area si sente molto più napoletana che casertana.
Un pò di tempo fa, il presidente dell’Aversa normanna, l’imprenditore Giovanni Spezzaferri, ha sviluppato una sua analisi statistica, in modo da spiegare il motivo per cui allo stadio Bisceglia, non si riuscivano ad adunare mai più di mille spettatori in caso di big match e da campionato da prime posizioni, altrimenti non si arrivava neppure a 200.
Da questa indagine è emerso che almeno 5 mila appassionati di calcio, tra Aversa e i comune del circondario, raggiungono stabilmente lo stadio san Paolo di Napoli, seguire le gesta degli Azzurri. Una Casertana che lotta per la promozione in serie B o una Casertana addirittura nel campionato di seria B non sposterebbe un solo tifoso dell’agro aversano, a meno che al Pinto non venga il Napoli a fare un’amichevole o miracolosamente una partita di Tim Cup, qualora i rossoblu dovessero miracolosamente arrivare almeno agli ottavi di finale di questa competizione.
Dunque, lì non c’è trippa per gatti. Nè oggi e nè domani. Chi programma una stagione sportiva a Caserta, non può, dunque, ragionale assolutamente sulla base di un bacino di 800 mila abitanti.
Fermiamoci, allora, alla valutazione dei restanti 400 mila residenti. Se a Curti, a Recale, a Capodrise, i falchetti riescono ad avere qualche tributo di passione, il discorso cambia radicalmente in una città identitaria come Santa Maria Capua Vetere. Quelli che sono interessati alla partita domenicale, andranno a vedere il Gladiator anche in terza categoria, e non lo lasceranno per dar soddisfazione a quella Caserta, mai amata e, non solo da un punto di vista sportivo.
Vogliamo parlare poi dell’alto casertano? di comuni come Piedimonte Matese, Castello Matese, Letino, Alife, Gioa Sannitica? Qui, oltre ad esistere una distanza in termini di identità comunitaria, c’è anche una distanza topografica. Che uno parta da Piedimonte, sciroppandosi 80 o 90 chilometri per andare a vedere la Casertana, è molto improbabile. In questo caso, ci vorrebbe la serie A per muovere qualcosa.
Il presidente D’Agostino non può essere più criticato perchè onestamente bisogna dire che ha profuso uno sforzo personale come mai nessuno in passato aveva fatto. Meriterebbe più considerazione. Ma si sa com’è fatta Caserta. Forse, D’Agostino dovrebbe andarsela un pò a cercare questa considerazione. Il tifoso, si sa, è legato al risultato, ma D’Agostino dovrebbe e potrebbe giustamente pretendere un impegno delle istituzioni e un aiuto da parte di altre realtà imprenditoriali del territorio.
Ma per fare questo non può continuare a chiudersi a riccio su uan metodologia di gestione isolazionista, probabilmente consigliatagli da chi oggi lo affianca, dal furbo Martone, il quale persegue obiettivi legittimi, ma legati al proprio tornaconto che non ha bisogno di affasciare, di collegare un filo mai esistito tra la società e i mondi che, con tutti i loro gravissimi limiti, rappresentano il tessuto connettivo di questa terra.
Fare calcio, insomma, nella provincia di Caserta, è difficile, se non difficilissimo. Si tratta di una terra che raramente, quasi mai ha espresso una cultura dell’appartenenza. L’approdo di D’Agostino, i suoi investimenti generosissimi e, ripetiamo, lodevolissimi hanno dato l’innesco ad una fase di grande euforia che però, di fronte alle prime delusioni sportive, è stata letteralmente cancellata e sovrastata dalla solita apatia e da quei problemi di carattere strutturale che abbiamo appena descritto esplorando le varie aree geografiche della provincia.
Comprare i migliori giocatori, dunque, è una cosa bellissima quando ciò viene fatto da una società che si apre al territorio, che riesce anche a darsi qualche pizzico sulla pancia e qualche morso sulla lingua, ad emendarsi, attraverso l’uso della categoria della diplomazia, allo scopo di costituirsi e di radicarsi su basi solide che non si fondino sul metodo della “va o la spacca“, del tutto, subito oppure niente.
Quella di D’Agostino rischia di diventare, dunque, una parentesi, l’ennesima occasione perduta, a meno che questo presidente, modulando meglio gli investimenti, spalmandoli su una programmazione a due o tre anni, durante i quali un lavoro assiduo, determinato, cocciuto svolto attraverso un vero e proprio marketing missionario, si aumenti il numero delle persone presenti strutturalmente, stabilmente, al Pinto, impermeabilizzandole dalla destabilizzazione di una sconfitta che diventa immediatamente un motivo per non seguire più la squadra.
Più formica e meno cicala, dunque. Fermo restando che i soldi sono di D’Agostino e noi esprimiamo un punto di vista rispettoso nei confronti di chi sta spendendo di suo, per il vessillo rossoblu e per dare lustro alla città.
un bacino di utenza più stabile, che si attesti su almeno 2 mila 500, 3 mila persone che allo stadio ci vanno a prescindere, diventerebbe una base seria per programmare un futuro ambizioso. Il tifoso strutturale, infatti, ha l’attitudine a esprimere la sua passione anche al di fuori dello stadio, acquistando gadgets e contribuendo alla gestione e ai processi di investimento.
Per fare questo, il modello di un solo uomo al comando, che poi è Martone più che D’Agostino, il quale ha troppo delegato al suo direttore, non è, in tutta franchezza, e a nostro avviso, sufficiente.
Il problema più grave della Casertana non è tanto rappresentato dai punti che la distanziano dalla prima o dalle prospettive non certo incoraggianti, di crescita della qualità del gioco della squadra, in vista di un play off che in serie C è diventato una lunga battaglia soprattutto di nervi. Il problema vero, per il generoso presidente D’Agostino è rappresentato dai suoi collaboratori che l’hanno isolato totalmente da tutto e da tutti, pensando che il parlar male di quel politico o di quell’imprenditore, si traduca in una sorta di arrocco di resistenti che dal loro isolamento traggono forza.
Ma non è così. E l’impossibilità evidente, di fronte al folle contratto biennale stipulato con l’allenatore Fontana e trasformatosi in una sorta di camicia di forza che stavolta nemmeno i faraonici investimenti possono seriamente affrontare, ne rappresenta la dimostrazione più lampante.
Dunque, proprio ora che il fatto sportivo induce alla riflessione pensosa, proprio ora bisogna aprirsi con un sorriso alla città, proprio ora D’Agostino deve dar ordine ai suoi uomini di collegarsi, di socializzare, di dialogare con le agenzie che, piaccia o meno, di questa città rappresentano il potere istituzionale e anche la sua consistenza economica.
Lei, presidente D’Agostino e gli impagabili irriducibili 500 o 600, come ha dimostrato la partita di sabato, siete soli contro tutti. E non certo per colpa vostra. E’ un’occasione unica, forse l’unica. D’Agostino va aiutato perchè è la dimostrazione vivente che non risponde al vero il dato che non ci siano imprenditori casertani potenzialmente in grado di costruire una squadra per la serie B.
A un uomo di questo genere vanno rivolti gli auguri affinchè raggiunga tutti gli obiettivi che si è prefissato. Ma il miglior augurio che gli possiamo formulare è quello di aprirsi di più e di dialogare, con maggiore umiltà, problema che riguarda soprattutto i suoi collaboratori, con una città maledettamente complicata.