La strana vicenda di Giancarlo Iovine. La Cassazione annulla la condanna a 30 anni per la “strage di CASAL DI PRINCIPE”. Quello che non ci convince (di nuovo) sulla gestione dei pentiti

16 Settembre 2021 - 12:40

Sembra ovvio il verdetto dei giudici della legittimità. Eppure, capita che una Corte d’Appello, rafforzata come Assise dai giudici popolari, abbia respinto una richiesta sorretta da ragioni talmente evidenti da apparire addirittura banali. Ve lo raccontiamo in questo articolo

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Il quadruplice omicidio di Antonio Pagano, Giuseppe Mennillo, Giuseppe Orsi e Giuseppe Gagliardi, classificato e storicizzato come “la strage di Casal di Principe” ha scritto e sigillato quasi tutte le sue pagine giudiziarie, con sentenze passate in giudicato che hanno condannato mandanti, concorrenti e killer. Questo episodio è stato uno dei fulcri dello storico processo Spartacus. Per cui se ne parla da 22 o 23 anni, rispetto ad un’azione militare, avvenuta addirittura nel 1989, cioè 32 anni orsono. La punta avanzata, il fatto criminale più eclatante di un’azione sistematica attraverso la quale, gli allora giovani camorristi del clan dei casalesi “ripulirono” il territorio, dopo aver chiuso, l’anno prima di questa strage, la partita con Antonio Bardellino, dai reduci della nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo.

Tra gli imputati, è entrato, a scoppio ritardato, come è capitato spesso ultimamente con le code di processi ormai chiusi e definiti da decenni (ultimo caso eclatante, l’omicidio di Raffaele Lubrano, datato anno 2002) anche Giancarlo

Iovine che, apprendiamo dalle carte giudiziarie, era (non sappiamo se lo è ancora), il figlio del gestore del consorzio agrario di Casal di Principe.

Una vicenda particolarissima, tipica di questa stagione in cui il contributo dei collaboratori di giustizia che nello spirito di Giovanni Falcone, incardinato nella storia, rappresenterebbe altrimenti ancora oggi una potente ed efficace arma per combattere le attività criminali e per far luce veramente sui reati compiuti in passato, è diventato oggetto di una sorta di abuso relativista, di cui si ha disinvolta traccia nel comportamento di molta parte della magistratura inquirente formata, in tutta evidenza, da procuratori o sostituti procuratori, i quali, di chiudersi in un ex penitenziario di massima sicurezza, tutta l’estate insieme alle proprie famiglie, così come fecero il citato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, auto reclusisi all’Asinara per scrivere gli atti finali dell’istruttoria del maxi processo, non hanno proprio alcuna intenzione.

Diciamo che si tratta di pigrizia, visto che non abbiamo elementi per sviluppare un altro tipo di rilievo. Ma poi non si possono lamentare (i magistrati dell’accusa) se la Corte di Cassazione, così come ha fatto qualche giorno fa, demolisce due sentenze, troppo accondiscendenti rispetto alle tesi accusatorie (poi non vi ri-lamentate se al referendum sulla sepraazione delle carriere finirà 90 a 10), la cui conseguenza è stata rappresentata da una condanna durissima, ben 30 anni di reclusione, inflitta al tal Giancarlo Iovine, certo non un nome di spicco della camorra del clan dei casalesi, al punto che noi ad esempio non lo conoscevamo proprio, nonostante le circa 50mila pagine, tra ordinanze, informative e sentenze, lette negli ultimi 6 anni.

Perchè, proprio questo è successo, lo scorso 13 settembre quando la prima sezione penale della Corte di Cassazione, presidente Filippo Casa, relatore Palma Talerico ha annullato con rinvio il verdetto di condanna, pronunciato quasi due anni fa, precisamente il 25 settembre 2019, da una sezione della Corte di Assise di appello di Napoli che ha confermato il coinvolgimento di Giancarlo Iovine, quale concorrente nel quadruplice omicidio di cui sopra, sigillando il ruolo di specchiettista e di vivandiere del gruppo di fuoco che questi avrebbe ricoperto durante le fasi della strage.

A questa sentenza si sono appellati gli avvocati difensori ai quali si è aggiunto, nella fase del sindacato di legittimità, anche il prestigiosissimo Franco Coppi, cioè il legale che essendo prestigiosissimo è anche costosissimo, che difese Giulio Andreotti in tutti i processi che lo hanno riguardato, portando sempre con sè, quale sua principale assistente, quella Giulia Bongiorno che oggi affianca la professione di legale a quella di politico, grazie alla quale, ha anche svolto le funzioni di ministro della pubblica amministrazione nel governo Conte-Salvini-Di Maio.

Va precisato che, rispetto al verdetto di primo grado, pronunciato il X aprile 2018, a conclusione di un rito abbreviato da un gup del tribunale di Napoli, la Corte d’Assise d’appello ha riformato la parte relativa alle accuse contenute nei capi B e C, per i quali Giancarlo Iovine era stato condannato dal giudice di prime cure anche per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e per porto e detenzione di armi.

Il fatto, però, che sia stata confermata la sentenza per il concorso in omicidio, peraltro premeditato, dei 4 esponenti di un gruppo erede della nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, ha tenuto integra la pesante condanna a carico del 59enne di San Cipriano di Aversa.

Per quelli che vogliono approfondire, rimandiamo alla lettura integrale della sentenza della Cassazione, a cui si può accedere CLIKKANDO QUI

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Noi ci limitiamo ad una rapida sintesi: gli avvocati difensori hanno battuto soprattutto sulle incongruenze, sulle contraddizioni emerse nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Tre, nel caso delle condanne ricevute dall’imputato: Antonio Iovine detto ‘o ninno, che fece parte del commando dei killer che compì materialmente la strage, Salvatore Venosa e Dario De Simone, uno dei più antichi pentiti del clan dei casalesi.

Sempre nel testo che vi raccomandiamo di leggere, potrete capire bene il dettaglio di queste incongruenze, di queste contraddizioni. Noi, per motivi di spazio e anche di tempo, vogliamo sottolineare solo un punto. Dario De Simone parla del quadruplice omicidio a inizio di questo secolo, durante il dibattimento nel processo Spartacus e lo fa già da pentito. In quella circostanza, il ruolo di Giancarlo Iovine non emerge. E non si tratta di una valutazione soggettiva, legata all’attribuzione di un valore, di un peso specificio ad una dichiarazione comunque esplicitata da De Simone. No, il trentolese non l’ha proprio nominato Giancarlo Iovine.

Il nome di quest’ultimo lo fa, invece, Antonio Iovine poco meno di 4 anni dopo il suo pentimento. Nel 2014, infatti, ‘o ninno descrive, con dovizia di particolari, quello che sarebbe stato il ruolo ricoperto dal suo concittadino come elemento complementare, ma presente e soprattutto consapevole, già da qualche tempo, della decisone del clan, di far fuori Antonio Pagano, Giuseppe Gagliardi, Giuseppe Mennillo e Giuseppe Orsi. Qualche mese dopo, Dario De Simone che durante il processo Spartacus aveva ricostruito le fasi di quell’agguato a cui avrebbe dovuto partecipare anche lui, salvo poi ritirarsi all’ultimo momento, per motivi non noti, e al quale il tribunale aveva chiesto di dire tutto, ma proprio tutto di ciò che sapeva, si ricorda 15 anni dopo di Giancarlo Iovine, confermando nell’anno 2015 ciò che Antonio Iovine aveva esposto l’anno prima.

Qui non si tratta di stabilire se Dario De Simone abbia detto la verità o una bugia; se le abbia dette, la verità e/o la bugia, durante il processo Spartacus o durante l’interrogatorio di 15 anni dopo. Qui si tratta di avere l’onestà intellettuale di riconoscere che di fronte a una situazione del genere Dario De Simone andava riconvocato dalla Corte d’Assise di appello, applicando, in questo caso doverosamente, l’istituto della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, che in taluni casi, riapre il confronto costitutivo della prova con lo strumento del dibattimento, anche in Corte di Appello, la quale, ordinariamente, discute e sentenzia, invece, sui ricorsi scritti presentati dalle parti, sulla requisitoria della procura generale e sulle discussioni dei difensori.

E invece, inspiegabilmente, anche secondo la Corte di Cassazione, i giudici dell’appello, obiettivamente schiacciati, non sappiamo se intenzionalmente o meno, hanno opposto un diniego all’istanza degli avvocati difensori, come se ascoltare uno che 21 anni fa ha detto una cosa, contribuendo alla condanna di tot persone, e 6 anni fa, a tre lustri di distanza da quel verbale certificato e firmato nel processo Spartacus, ne dice una completamente nuova aggiungendo alla lista dei condannati un’altra persona, fosse un fatto di routine, un fatto che non debba essere quantomeno esplorato in funzione dell’unico obiettivo che almeno sulla carta costituzionale (campa cavallo) sarebbe alla base dell’attività di ogni tribunale grande e piccolo: l’accertamento della verità, occupando graniticamente una funzione terza, assolutamente terza rispetto alle parti in causa.

Ed è ovvio che su queste basi, i ricorsi degli avvocati difensori hanno riscontrato la ragione e dunque il consenso della Corte di Cassazione che ha annullato la sentenza di condanna nei confronti di Giancarlo Iovine e ha ordinato un nuovo processo che si svolgerà in un’altra sezione, diversa da quella che emise la sentenza impugnata e che dovrà necessariamente riaprire il dibattimento con tanto di esame e controesame di Dario De Simone oltre a far tesoro ed uniformarsi agli altri rilievi di forma e di contenuto, esposti dai giudici della legittimità e che ugualmente potrete ben apprendere dal testo integrale della sentenza.