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L’EDITORIALE. Se gli anti camorristi, orfani della camorra, si avventano su un anziano prete di CASAPESENNA tacciato di apologia della violenza sulle donne

26 Novembre 2018 - 11:26

di Gianluigi Guarino 

Che i fedeli di Casapesenna, non quelli dei soliti apparati delle anime belle, abbiano potuto indignarsi provando un moto di autentica riprovazione espresso dall’autenticità di pensiero interiore, non mediato dalla cultura, pardon, incultura dell’apparenza, è meno probabile di una rivoluzionaria tesi geocentrica che, vaffanculo Galileo Galilei, rimetta al centro dell’universo la Terra con il sole che le gira intorno.

Le genti di Casapesenna, in realtà, nella loro maggioranza, la pensano, anche se non lo dice in giro, come la pensa questo anziano sacerdote che ieri ha pronunciato un’omelia toccando l’argomento della violenza contro le donne, alle cui attività di resistenza civile e culturale era dedicata la giornata di ieri.

Ma ieri, intrufolate in gran numero, come i casseur che si erano infiltrati nelle manifestazioni dei gilet gialli in Franci,a sputtanandone in senso con l’uso del mai desueto strumento della guerriglia urbana, c’erano le anime belle, quelle in grado di dire la parola giusta e la parola seria in ogni circostanza. Un tempo, in queste zone neglette, facevano finta di avversare la camorra. Ma con questa convivevano tranquillamente.

Oggi, resi orfani di quel “meraviglioso” target che ha permesso di costruire fortune anche economiche (l’anti-camorrismo, primo indotto della camorra), hanno trovato, come tossicodipendenti dispersi e disperati per una lunga crisi di astinenza, hanno potuto avventarsi (non è la stessa cosa di un convegno riformista di denuncia ai clan, a colpi di super cazzole, ma di questi tempi, meglio accontentarsi) sul povero don Luigi Menditto,

anziano sacerdote 82enne che, proprio nel giorno dedicato alla testimonianza contro la violenza sulle donne, ha operato qualche distinguo, nella chiesa di Santa Croce, nella sua omelia domenicale, dentro alla quale le anime belle della testimonianza civile, hanno ritenuto di intravedere una deriva giustificazionista.

Cosa sia stata realmente la rivolta degli uomini liberi e forti, di quelli del Sol dell’Avvenire nell’agro aversano contro la criminalità organizzata, è scritto nella storia e in pile di documenti giudiziari che hanno smascherato, pur usando nei loro confronti più di qualche riguardo, gli antichi arruffapopolo dei comunicati stampa, dell’appena citata convegnistica militante, ma sempre, rigorosamente di lucro vestita.

Per cui, anche chi commenta in queste ore a Casapesenna, a partire dal primo cittadino (il problema, caro sindaco Marcello De Rosa, è che noi c’eravamo quando suo fratello faceva il vice, e quando esisteva quella bella compagnia di giro della sinistra locale, fondata su Angelo Brancaccio ed altri esponenti del magnifico riformismo in salsa agroaversana), coglie quella caratteristica, sostenuta, alimentata da quello che è l’organo nazionale delle anime belle, di tutte le ipocrisie nostrane, della espressione stabile di un senso comune, vera foglia di fico, quest’ultimo, che nasconde le vergogne del cattivo vivere, dell’auto censura giornalistica, del malanimo con cui si sceglie di non affrontare i temi, a partire da quello della corruzione nella pubblica amministrazione, da cui discendono tutti i mali della nostra terra, come finanche il super pentito Gaetano Vassallo ha dichiarato in un’intervista, rilasciata circa un mese fa, a Sandro Ruotolo.

Insomma, il mite don Luigi Menditto è stato molto più coerente di chi lo utilizza cinicamente per riverniciare, sotto mentite spoglie, un modello di femminismo progressivo, monumento che non può rappresentare, almeno in quelle che sono state le sue pur legittime espressioni testimoniali degli anni 60, una risposta al modo con cui la questione si pone nei tempi contemporanei, nei quali le deficienze culturali alla base di tanti atti di violenza, si vanno a fondere con lo spazio aperto e sterminato delle sollecitazioni provenienti dalle reti globali della comunicazione e della cosiddetta socializzazione.

La violenza contro le donne è, insomma, una cosa troppo seria per essere trattata come è stata trattata, in queste ore, a Casapesenna e da parte di chi ha raccontato, in maniera tendenziosa e acritica, intendendo con questa parola l’incapacità di porsi delle domande liberali, che partano dal rispetto e dalla corretta comprensione del pensiero altrui.

Don Luigi Menditto è coerente perchè nel momento in cui formula quelle allusioni, affermando in pratica che la solidarietà non può riguardare tutte le donne (“Preghiamo per le donne, ma quali?“), testimonia l’arretratezza attuale di un modello culturale, per natura, senza se e senza ma, sbagliato, ma che ha pur rappresentato, per secoli e secoli, come ogni storico, anche di serie C sa bene, uno dei meccanismi base dei sistemi di convivenza sociale, a carattere universale. In questo tempo ignorante, nessuno se ne ricorda o meglio in pochissimi sanno, compresi i professori e le professoresse di Storia, e soprattutto nelle analisi giornalistiche composte con i bigliettini dei Baci Perugina, che le donne hanno votato in Italia per la prima volta subito dopo il fascismo e che non votavano di certo nel periodo dei governi cosiddetti liberali.

Per cui, don Luigi, che al tempo del plebiscito istituzionale tra Repubblica e Monarchia, aveva già 11 anni, avrebbe potuto anche sviluppare una coscienza diversa rispetto al senso comune dei tempi in cui si è formato, ma il fatto che non ci sia riuscito, non può essere strumento di colpevolizzazione, dato che lui è rimato legato, evidentemente a un modello culturale, ad una struttura sociale che ha permeato l’educazione, e non solo dei preti, per ben più della metà del ventesimo secolo.

Va bè, mo’ stiamo andando un pò oltre, non calibrando la nostra analisi al livello di cui ci stiamo occupando e alla situazione, creata ad arte per essere montata e per appuntare la medaglia del progressismo a persone la cui colpa più grave da addebitare è quella di non aver mai fatto i conti con la propria coscienza e con una ricerca finalizzata a migliorare la propria relazione con la verità, andando al di la e vincendo interiormente la battaglia contro le consuete categorie del pensiero debole, a partire dal conformismo, vero distillato del vizio capitale dell’ipocrisia.