MAI VISTO: decine e decine di società, un esercito di teste di legno. Il sistema del clan dei Casalesi ha raggiunto i massimi livelli dello Stato tra corruzioni e riciclaggio

15 Maggio 2022 - 14:01

Completiamo il blocco dei capi di imputazioni relativi all’associazione messa in piedi dal cugino di Francesco Schiavone Sandokan con i 5 capi riguardanti altrettante intestazioni fittizie e del capo 42, che contesta il riciclaggio

 

CASAL DI PRINCIPE (g.g.) – Completiamo stamattina la trattazione relativa ai capi di imputazione provvisoria contestati a Nicola Schiavone, l’imprenditore faccendiere che ha rappresentato la punta avanzata delle grandi attività imprenditoriali partite probabilmente grazie all’utilizzo del danaro sporco del clan dei Casalesi, e a tutti i componenti della presunta associazione a delinquere, contestata specificamente nel capo 11, con la quale Schiavone è andato letteralmente all’assalto di un numero impressionante di appalti di una delle aziende pubbliche per antonomasia, visto che Rfi (Rete Ferroviaria Italiana) è una delle eredi delle storiche Ferrovie dello Stato, che se si sono chiamate così per decenni significherà pure qualcosa.

E allora, diciamocela tutta. Il clan dei Casalesi si è infiltrato dentro a strutture fondamentali dello Stato, della Repubblica Italiana.

Lo ha fatto con le modalità e le abilità che gli sono consone, che appartengono a un tessuto operativo svelato sin dai tempi del processo Spartacus nel quale, non a caso, Nicola Schiavone riesce a strappare un’assoluzione, al contrario del fratello Vincenzo, che viene definitivamente condannato alla pena di tre anni.

I reati sono fondamentalmente tre: la citata associazione a delinquere, formata da 17 persone (CLICCA E LEGGI), la corruzione, reiterata in molti episodi distinti tra loro e, a latere, l’abuso del loro ufficio, compiuto, come reato aggiuntivo, causalmente collegato a quello corruttivo, dai manager di Rfi.

Il tutto aggravato, naturalmente, da quello che fino a poco tempo fa veniva menzionato negli atti giudiziari come articolo 7 del decreto legge 152/91, entrato a far parte poi del corpo dell’articolo 416 bis, dove ha occupato la postazione del comma 1, come aggravante costituita dall’aver favorito, compiendo determinati reati, gli interessi di un clan mafioso.

Perché l’associazione a delinquere potesse perseguire e raggiungere i suoi scopi, non solo c’era bisogno, come si suol dire, di oliare costantemente le ruote del carro, cioè di elargire mazzette, vacanze a 5 stelle, gemelli d’oro di Cartier, stipendi collaterali e laterali, favorire le carriere di questi manager attraverso le raccomandazioni che evidentemente Nicola Schiavone, esponente di spicco del clan, era in grado di fare ai piani altissimi di Rfi e probabilmente non solo di Rfi (al riguardo abbiamo sempre avuto l’idea, controllando da lontano queste indagini fin dal 2019, che di mezzo ci sia stata anche la massoneria), ma occorreva avere a disposizione un grande ventaglio di operatori economici pronti e utilizzabili nelle varie procedure di aggiudicazione, senza ovviamente esporre più di tanto certi nomi e certi cognomi.

Di qui la realizzazione di un’altra specialità della casa, di un’altra “eccellenza criminale” dei Casalesi, che da anni e anni monopolizzano, in pratica, l’utilizzo dell’articolo 512 del Codice Penale, che prevede e punisce il reato di intestazione fittizia.

Ieri (CLICCA E LEGGI) abbiamo già attivato il rosario delle società di ogni genere messe insieme, spostate, incorporate, modificate da Schiavone che, evidentemente ha camminato per anni con il notaio in tasca.

Stamattina completiamo la lunga trattazione dei fatti per i quali è stato contestato sla più soggetti il reato di intestazione fittizia. Come vedrete,  la fila dei prestanome e delle persone arruolate da Nicola Schiavone cresce ulteriormente, con tanti nomi di indagati per il 512, pur non facendo parte del gruppo dei 17 in associazione a delinquere. Famiglie intere mobilitate, a partire da quella di Carmelo Caldieri, il soggetto, insieme a Luca Caporaso, di cui Nicola Schiavone si fida di più e a cui affida le operazioni più delicate.

Stefania Caldieri, Vincenzo Caldieri, sorella e fratello di Carmelo, ma anche altri.

In verità, Vincenzo Schiavone fratello di Nicola utilizza, il 31 luglio del 208, Carmela Baldi, sua cognata, in quanto sorella della moglie Tiziana Baldi, posizionandola in controllo con la carica di amministratore unico della L.A.TE.C.

Ora, è inutile per quelli che sono gli obiettivi della nostra trattazione, che ci porteranno a incrociare e reincrociare più volte questa pletora di società, quando entreremo di qui a un paio di giorni nella trattazione viva dell’ordinanza, metterci a indicare nel dettaglio questa autentica matassa di operazioni societarie, visto che la semplice elencazione non contribuisce a capire bene come funzionassero le cose, semmai solo a complicare la memoria.

Naturalmente, chi volesse già approfondire, può accomodarsi in calce.

Leggerete della ITEP, della GSC Global Services Contract Scarl, un consorzio, forma giuridica molto utilizzata da Nicola Schiavone soprattutto per associare e dunque aumentare il numero dei requisiti in funzione gare.

Tornerete a incrociare la Tec. già protagonista dei capi di imputazione di cui ci siamo occupati. Per quanto riguarda i nomi, oltre a quelli già noti e citati, incontrerete Pietro Andreozzi, Crescenzo De Vico, Umberto Di Girolamo, Luca Palma, Mario e Francesca Filosa. E ancora Michele Carmine Tambaro della BETS, 68enne di Parete, Roberto Petrone, amministratore unico della TecnoSystem Srl, Giovanni Fiocco, noto imprenditore di Sparanise, anche lui già incontrato nella veste di vittima in altri capi di imputazione, ma che in questo caso risulta socio al 5% della stessa Bets in una collaborazione con il mondo di Nicola e Vincenzo Schiavone, iniziata all’inizio degli anni 2000 e continuata a lungo, configurando una condizione che qualche dubbio sulla tenuta del ruolo di vittima la suscita, almeno in noi, come poi spiegheremo meglio.

C’è poi Roberto Petrone di Napoli, Simone Del Dottore, roman0 39enne, connesso alla Tecnos Project, Debora Scacco, altra laziale, stavolta residente a Cori in provincia di Latina.

Insomma, un vero e proprio ginepraio che cercheremo di districare nelle prossime puntate.

In conclusione, va citato anche l’ultimo capo di imputazione provvisoria, precisamente il 42.

Il salto è così netto perché dal capo 23 fino al 41i riflettori vanno ad inquadrare l’imprenditore di Casal di Principe Dante Apicella e le sue attività, le cui vicende, in qualche modo connesse a quella di Nicola Schiavone sono state indagate in un primo momento distintamente dalla Direzione Investigativa Antimafia, che poi ha fatto convergere gli elementi nel lavoro lungo e certosino svolto dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta su Nicola Schiavone e compagnia.

Dicevamo del capo 42.

Possiamo definirlo una sorta di staffa, di concetto riassuntivo, di conseguenza ovvia ma giuridicamente rilevante: Nicola Schiavone, Vincenzo Schiavone, Carmelo Caldieri, Luca Caporaso, Vincenzo Bove – fondamentalmente l’autista di Nicola Schiavone – insieme a Sannina Visone, ai già noti Umberto Di Girolamo, Claudio Puocci, Crescenzo De Vito, il commercialista che ha curato molti dei affari di Schiavone, Ciro Ferone, Carlo Pennino, delegato agli affari legali, e poi il gruppo dei manager Pierfrancesco Bellotti, Giuseppe Russo, Masssimo Iorani, Paolo Grassi e Giulio Del Vasto.

Sono tutti indagati in concorso del reato di riciclaggio ai sensi dell’articolo 648 ter comma 1 del C.P., con la solita “aggravante camorristica” del 416 bis comma1 per aver impiegato e/o consentito, attraverso il loro apporto diretto, delle società economiche e imprenditoriali consorzio Imprefer, società che, esprimendo valori economici, diventano loro stesse elemento di riciclaggio.