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Menomale che c’è Santa Rosaria Capacchione. Ecco chi è l’imprenditore d’oro, socio in affari di Michele e Pasquale Zagaria, colpito stamattina da un sequestro di beni per quattro milioni di euro

30 Giugno 2022 - 22:14

CASERTA (g.g.) – Per tutta la giornata abbiamo cercato di venire a capo di quello che è diventato ormai un game show. I comunicati stampa, inviati dalle procure, soprattutto da quella di Napoli, relativamente ad esiti di indagini condotte dalla DDA, hanno nei loro contenuti un’apparenza di irrisione per i giornalisti.

Non sono abbottonatissimi. Nel senso che ti dicono che è stata arrestata una persona o è stato realizzato un sequestro.

Poi, manco si trattasse di una caccia al tesoro o di una ricerca di identità per indizi, roba da Amadeus, compaiono le mezze indicazioni che però non sono mai dettagliate in modo da consentire al giornalista di arrivare all’identità di una persona che ha subito un provvedimento cautelare.

Stamattina, ad esempio, il comunicato-Amadeus, informava di un sequestro di beni immobili, mobili e di conti correnti per un valore di quattro milioni di euro, ad una persona condannata a sette anni e mezzo di reclusione nel 2021 dal tribunale di santa Maria Capua Vetere. Se ci avessero inserito almeno il mese noi avremmo cercato di risalire, attraverso l’archivio, a quel processo e dunque anche all’identità di chi vi fu condannato, e invece nulla. Manco gli avvocati penalisti più informati sono riusciti a capire.

C’è voluta “Santa” Rosaria Capacchione, autentica testimone del tempo in cui questo imprenditore operava e anche di molti tempi durante i quali si è sviluppata l’attività economica stratosferica del clan dei casalesi e del gruppo di Michele Zagaria in particolare.

D’altronde, la Capacchione, nella sua lunga esperienza professionale a Il Mattino, ha realmente raccontato quasi tutta la storia di questo clan, esponendo qualità ed esperienza sia quando la bilancia dell’informazione pendeva dalla parte del racconto delle vicende militari, cioè degli agguati, del sangue, del fuoco, sia quando cominciava a cogliersi la necessità di studiare i meccanismi complessi, spesso geniali, attraverso cui i casalesi tenevano aperta la fabbrica del riciclaggio ventiquattro ore su ventiquattro e a ciclo continuo.

Ad una che ha scritto “L’oro della camorra”, libro guida sulla fabbrica della ricchezza del re Mida di Casapesenna e dei suoi fratelli, soprattutto di Pasquale Zagaria, non poteva certo sfuggire l’identità del mister x colpito dal sequestro. Nel pomeriggio, dunque, l’ha raccontato in un articolo pubblicato da Fanpage.

Trattasi di Giuseppe Carandente Tartaglia, imprenditore di Camorra molto conosciuto a Napoli e in provincia di Napoli, meno conosciuto da noi.

Ma per chi si è occupato del core business dei rifiuti e dei mille modi con cui far quattrini attraverso lo sfruttamento delle attività di smaltimento, quello di Giuseppe Carandente Tartaglia è un nome importante, anzi importantissimo, che campeggiò anche nei titoli di apertura dei giornali all’epoca dell’indagine sulla mega invaso di Chiaiano, una cava che si voleva trasformare in una delle discarica più grandi d’Europa o del mondo , luogo in cui il patto scellerato tra camorra e aziende incaricate dallo stato e dalla regione Campania, Fibe in primis, si manifestò in maniera palmare, clamorosa.

Giuseppe Carandente Tartaglia iniziò la sua carriera criminale con il clan Nuvoletta di Marano. Successivamente, come scrive sempre Rosaria Capacchione nell’articolo citato, si associò ai Mallardo di Giugliano e, dopo un fugace sodalizio con i Polverino, approdò in quella che per lui divenne una sorta di destinazione naturale, visto che Michele Zagaria, suo fratello pasquale, dedicavano la maggior parte delle proprie energie, dei loro sforzi criminali al settore dei rifiuti.

D’altronde, Carandente Tartaglia e Zagaria parlavano la stessa lingua e provenivano dalle stesse competenze in fatto di movimento terra. UN’attività che prima dell’emergenza rifiuti riguardava soprattutto il settore dell’edilizia ma che, con le crisi ripetute, con le città piene di immondizia e costellate da enormi scarrabili in cui ogni sera venivano addirittura sparsi chili e chili di calce viva per evitare infezioni, era divenuta un’attività fondamentale, cruciale, vitale al punto che pezzi dello Stato e grandi imprese scelte dallo stato e dalla regione Campania, stipularono una sorta di contratto, un compromesso con la camorra, con il clan dei casalesi, in grado di presidiare il territorio e di tenere buone le popolazioni, le comunità, in modo da non mettere in discussione la realizzazione degli invasi.

Le inchieste sui rifiuti e su questo particolare filone hanno rischiato di finire nel dimenticatoio, di arenarsi. L’unico magistrato che ci ha creduto fino in fondo è stato Antonello Ardituro, che oggi non ha potuto non accogliere con la stessa soddisfazione che lo attraversò al momento della sentenza che condannò Carandente Tartaglia a sette anni e mezzo, il sequestro deciso dalla sezione delle misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Gabriella Casella), che presiede anche il tribunale nel suo complesso, giudici Francesco Balato e Marinella Graziano. Tra i beni sequestrati, con proposta di confisca, diverse case, intestate a congiunti, precisamente moglie e figli di Giuseppe Carandente Tartaglia, in quel di Marano, Mugnano, Castel Volturno, Sperlonga.

Ora, la procedura di prevenzione vivrà una sua seconda fase, quella della trattazione del merito, nel prossimo mese di settembre.