Pasquale Corvino scagionato per il reato di voto di scambio per arricchire la camorra

12 Luglio 2019 - 17:30

CASERTA (G.G.) – Nessuna collateralità, men che meno intraneità, di tipo camorristico.

Il capo di imputazione nei confronti di Pasquale Corvino, l’indagato più in vista dell’ordinanza sul presunto voto di scambio alle elezioni regionali del 2015, perde di vigore, a conclusione delle indagine per stessa convinzione del Pm che questo collateralismo aveva ipotizzato.
Potrebbe rimanere come accusa, da sostenere in processo e da cui eventualmente Corvino dovrà difendersi, di un voto di scambio senza alcuna implicazione, senza meccanismi collegati all’attività della criminalità organizzata.
Dunque, un’accusa che, se dovesse essere formulata a tutti i politici che partecipano ad elezioni in Campania e nelle regioni dell’Italia meridionale, renderebbe processabile il 90% di coloro che entrano in lizza per un posto in Regione, al Comune e, perché no, anche nei Parlamenti Europeo e Italiano.

Ma perché cade l’imputazione provvisoria ai sensi dell’articolo 416 ter, che regola specificatamente il reato di voto di scambio mafioso?
Per due motivi sostanziali. I due beneficiari, cioè Vincenzo Rea e Agostino Capone, giocano una partita propria.

Come hanno fatto notare in udienza preliminare gli avvocati Roberto e Massimo Garofalo, esiste una intercettazione, a pagina 99 dell’ordinanza, in cui Rea e Capone affermano esplicitamente e precisamente che quell’accordo economico doveva rimanere questione segretissima e che “gli

altri non lo dovevano sapere“. Questo di per sé scollega la struttura del vantaggio economico che deve arrivare fino alle casse del clan, in questo caso specifico del clan Belforte.
Il secondo motivo, ha pure sempre notare la difesa, riguarda l’assoluta non conoscenza, da parte di Corvino, di una relazionabilità, anche lontana, tra Rea e Capone e la camorra del clan Belforte.

Un concetto lo aggiungiamo noi: chi ogni giorno segue la dinamica delle vicende giudiziarie attinenti alle inchieste sui vari clan casertani, sa bene che se esistono ancora oggi dei tentativi di riarticolare le linee di comando degli antichi gruppi, ciò non viene realizzato perché i colpi inflitti ai Mazzacane, ai Piccolo-Quaqquarone, ai Letizia, sono stati tanti e tali da rendere impossibile la riaggregazione.
Per cui, fermo restando i reati compiuti in passato, da tre o quattro anni a questa parte questi soggetti si muovono autonomamente.
Quindi o si riesce a ridefinire l’intera struttura della contestazione associativa, partendo da questi microgruppi e provando a collegare il loro agire con le previsioni delle due sezioni dell’articolo 416, cioè la bis e la ter, oppure diventa molto complicato (in quanto non più realistico) collegare comportamenti del presente alla struttura dei vecchi cartelli, allo scopo di costruire accuse pesanti, quelle appunto regolate dagli articoli 416 bis e ter, che determinano pene detentive molto pesanti (da 6 a 12 anni per quanto riguarda il ter).

Per cui, quello che Capone e Rea si dicono nella telefonata è perfettamente normale.
Quando parlano degli altri, non si riferiscono certo ai Belforte di Marcianise, ma ad altri broker del consenso cittadino che fanno questo ogni volta, che l’hanno fatto alle elezioni regionali del 2015, ma anche prima e dopo questa consultazione elettorale.

Isole, piccoli arcipelaghi di criminalità comune interpretata da chi, in passato, è stato effettivamente seconda o terza fila della camorra organizzata.

Ciò, ripetiamo e concludiamo, deve spingere la magistratura inquirente ad uno sforzo ulteriore che parta dalla ridefinizione del quadro delle attività e di come queste si collegano agli interpreti, che sempre i delinquenti fanno, per carità, ma che non possono essere utilizzati ogni volta come dei 416 bis viventi, in permanente servizio di attività, per costruire accuse che poi consentano di bypassare tutti i vincoli di tipo temporale, di solito regolati dalla prescrizione, mantenendo nel tritacarne per dieci o anche quindici anni.

Certo, non ne uscirà fuori la camorra tremenda di un tempo.
Il gomorrismo che ha prodotto come sua faccia speculare la pur giurata notorietà di tanti magistrati, non potrà appartenere a soggetti come Rea e Capone.

Bisognerà accontentarsi di fare il proprio dovere dentro ad inchieste non più illuminate dalle luci psichedeliche.