La guerra tra l’Agenzia delle Entrate e il notaio casertano-aversano Gennaro Fiordiliso non è ancora finita. Condannato a pagare per un’imposta di registro di dubbia quantificazione, ecco la sentenza della Cassazione che annulla la sua “assoluzione”

2 Settembre 2023 - 12:06

La vicenda presumibilmente è nata addirittura 12 o 13 anni anni fa e il primo pronunciamento della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta è avvenuto nel 2012. Poi nel 2015 quello della Commissione Tributaria Regionale, nel 2020 quello della Cassazione che ha demolito l’inammissibilità sancita dall’organismo di appello. E ora… IN CALCE ALL’ARTICOLO LA COPIA INTEGRALE DELLA SENTENZA DEI GIUDICI “SUPREMI”

AVERSA(g.g.) Come quasi sempre capita, le liti tra il fisco, rappresentato dall’ Agenzia delle Entrate, e i cittadini che possono consentirsi il lusso di fronteggiare questi contenziosi fino alla corte di cassazione durano moltissimi anni.

Cercheremo di capire già nei prossimi giorni, ad esempio, se la Commissione Tributaria Regionale, che eroga la giurisdizione di appello in questo tipo di cause, si sia pronunciata sul ricorso, presentato proprio dall’agenzia delle entrate, avverso alla sentenza di primo grado, emanata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta ben 11 anni e mezzo fa precisamente nel febbraio 2012 con la quale l’organismo di primo grado di giudizio aveva cancellato il provvedimento, precisamente un avviso di liquidazione al notaio di Aversa Gennaro Fiordiliso. Con questo atto, l’agenzia, andava a recuperare la maggiore imposta proporzionale di registro (autoliquidata dal notaio, in sede di registrazione telematica, in misura fissa) ed ipocatastale sull’atto 19 febbraio 2012; atto con il quale si conveniva la cessione volontaria in luogo di espropriazione – tra una Onlus cedente ed alcune cooperative edilizie cessionarie – di aree destinate ad edilizia residenziale ex articolo 35 I. 865/71.

La sentenza della Commissione Tributaria di Caserta veniva impugnata dall’agenzia delle entrate davanti ai giudici di appello della Commissione Tributaria Regionale, che addirittura, troncavano la procedura ritenendola inammissibile il ricorso per la cancellazione della sentenza n. 1268/52/15 del 9 febbraio 2015, non si dava per vinto e si rivolgeva alla Corte di Cassazione che, si pronunciava, con sentenza nel 9/10/2020.

E siamo arrivati a quasi 9 anni dalla prima sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e probabilmente a quasi 10 anni dal momento in cui l’avviso di liquidazione è stato notificato al notaio Gennaro Fiordiliso.

I giudici supremi hanno dato piena ragione, a differenza di quello che è successo in sede di Commissione Tributaria Provinciale e di Commissione Tributaria Regionale la quale aveva, a suo tempo, rilevato che la Commissione Tributaria Provinciale avesse basato la sua decisione di respingere il ricorso dell’agenzia delle entrate sul fatto che quell’imposta di registro si era configurata quantitativamente con quelle modalità visto che aveva ritenuto valida l’applicazione da parte del notaio dell’ agevolazione prevista dall’articolo 74. Bocciando dunque la posizione dell’agenzia delle entrate la quale aveva impostato il suo provvedimento sulla base della necessità di applicare l’articolo 35, in entrambi i casi della legge 865/71.

Questo era una dei motivi per il quale la Commissione Tributaria Regionale aveva sancito l’inammissibilità del ricorso presentato dalla stessa agenzia delle entrate. Nello specifico, tralasciando in questa sintesi di trattazione di una sentenza della Cassazione che pubblichiamo nella sua interezza in calce a questo articolo, si trattava di cessione volontarie in luogo di espropriazione di aree destinate alla realizzazione di edilizia agevolata. Secondo il notaio e secondo la Commissione Tributaria Provinciale questa cessione rientrava appieno nella ratio agevolativa con conseguente relativa definizione quantitativa di un imposta di registro contestata e sanzionata dall’agenzia delle entrate.

Veniamo rapidamente alla valutazione della Cassazione sulla sentenza di inammissibilità formulata dalla Commissione Tributaria Regionale. Un impugnazione o ricorso che dir si voglia, per evitare di essere dichiarata inammissibile, deve contenere  “una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando – osserva la Cassazione – alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio priorís instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”. 

Al riguardo i giudici della legittimità considerano pienamente integrato, questo fondamentale requisito nel ricorso, presentato a suo tempo dall’agenzia delle entrate, alla Commissione Tributaria Regionale e che andava ad impugnare la sentenza di primo grado emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta.

Nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci”.

Ancora più dettagliatamente, la Cassazione , spostandosi dalla cornice legislativo-giurisprudenziale, afferma che nel caso di specie “a censura di appello proposta dall’agenzia delle entrate era in effetti connotata da un aspetto tanto volitivo-contrappositivo di riforma integrale della sentenza di primo grado, quanto da un aspetto prettamente argomentativo volto a riaffermare, in frontale contrasto con la decisione impugnata, la insussistenza dei presupposti soggettivi della agevolazione ex articolo 35 I. 865/71.

E non è che l’agenzia delle entrate potesse far di più o scrivere di più di quello che ha scritto nell’impugnazione della sentenza emanata dalla commissione tributaria provinciale “del resto, – spiega la Corte di Cassazione – il livello di specificità della censura non poteva prescindere dalla natura prevalentemente tecnico-giuridica della questione affrontata dal primo giudice, sicché il tenore dell’atto di gravame esplicava efficacia censoria della sentenza impugnata anche mediante la riproposizione della tesi giuridica già recepita dall’amministrazione finanziaria a fondamento dell’avviso di liquidazione in esame.

In poche parole la Cassazione rispedisce al mittente cioè alla commissione tributaria regionale, con quest’ultimo passaggio uno dei motivi per i quali la stessa commissione aveva sancito l’inammissibilità del ricorso dell’agenzia delle entrate, al quale dunque non poteva non portare all’attenzione del giudice d’appello quegli elementi, considerati, invece, in maniera errata, dalla tributaria regionale ripetitivi, ridondanti e dunque non rappresentativi di argomentazioni nuove rispetto a quelle esposte nel primo ricorso presentato alla Tributaria Provinciale

A questo punto la Cassazione entra anche nel merito della contrapposizione tra gli articoli 35 e 74 della legge 865/71. Lo fa alla pagina 5 (la penultima) della sua sentenza. Per motivi di spazio e di leggibilità rimandiamo alla lettura di questa parte secondo noi molto interessante.

In conclusione quasi 3 anni fa, cioè il 9/10/2020 la Cassazione ah annullato senza remissioni il pronunciamento di inammissibilità del ricorso presentato dall’agenzia delle entrate, da parte della Commissione Tributaria Regionale rispondendo tutta al documentazione allo stesso organismo che, come capita in ogni tipo di procedimento, sia di tipo penale, sia di tipo civile, sia di tipo civile-tributario, dovrà pronunciarsi attraverso giudici diversi da quelli che hanno emesso la sentenza annullata.

L’avranno fatto in questi due anni e mezzo? La domanda è assolutamente pertinente, visto che noi questo articolo lo abbiamo scritto anche per sottolineare i tempi a dir poco elefantiaci e vergognosamente lunghi dell’erogazione del servizio di giustizia in Italia. Cercheremo di informarci già nei prossimi giorni