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PIP LUSCIANO, IL PROCESSO AI FRATELLI CESARO. Il detective De Vivo conferma in aula: “Non avevano i requisiti, quella gara fu truccata”

31 Maggio 2019 - 18:50

LUSCIANO – Il maresciallo dei carabinieri De Vivo è stato uno dei maggiori protagonisti dell’indagine che portò, nell’anno 2009 all’emissione di misure cautelari nei confronti dei fratelli Aniello e Raffaele Cesaro. Quella storia sul Pip di Lusciano portò all’iscrizione sul registro degli indagati anche dell’ex sindaco Isidoro Verolla e dell’ancor oggi parlamentare, Luigi Cesaro, fratello di Aniello e Raffaele.

De Vivo, nell’udienza di ieri, nell’ambito del processo che si sta svolgendo in un’aula del tribunale di Aversa-Napoli nord, ha confermato per filo e per segno la tesi accusatoria relativamente allo specifico reato della turbativa d’asta in concorso, aggravata dall’articolo 7, contestata specificatamente ai fratelli Cesaro, cioè a Raffaele ed Aniello, oggi imputati (la posizione di Luigi Cesaro è stata stralciata), a Nicola Ferraro, al tempo consigliere regionale dell’Udeur, nonchè secondo l’accusa, gran mediatore, in terra bidognettiana, dell’orientamento di questa gara a vantaggio dei Cesaro, a scapito dell’imprenditore locale Francesco Emini, e non solo. Alla sbarra per questo specifico reato ci sono anche Alfonso Santoro, Nicola Mottola, Raffaele Bidognetti, Francesco Pirozzi, il citato Isidoro Verolla, Vincenzo Salernitano, Francesco Pezzella, Immacolata Verde, Raffaele Vassallo e Luigi Guida.

Insomma, politici e dirigenti del comune di Lusciano.

La gara, secondo la tesi accusatoria, sarebbe stata truccata per farla vincere ai Cesaro. Il maresciallo De Vivo ha confermato davanti ai giudici che i due imprenditori di Sant’Antimo non possedevano i requisiti per partecipare a quella gara. Soprattutto uno: un capitale sociale adeguato allo standard previsto dalla norma.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DEL CAPO DI IMPUTAZIONE