Salvatore Belforte fa il “bacchettaro” su un omicidio. Tutto ciò che non torna nel suo racconto rispetto a quello di Buttone. Parla il figlio di o’pechinese

28 Agosto 2019 - 13:03

MARCIANISE(g.g.) Di certo, intorno al delitto di Giovanni Battista Russo, c’è solo il fatto che è stato ammazzato. Anzi, di certi ce ne sono due: la missione di morte fu compiuta da un equipaggio formato da Bruno Buttone e Pasquale Cirillo. Già sulle sequenze dell’agguato certezze non ce ne sono più. Nel senso che Buttone afferma di aver partecipato all’agguato direttamente e che lui e Cirillo portavano con loro 4 pistole. Dunque, c’era l’idea che anche Bruno Buttone dovesse sparare. Di pistole, sempre secondo la ricostruzione del collaboratore di giustizia, ne fu utilizzata una sola e dunque probabilmente, ma questo lo possiamo dedurre, perchè dalle dichiarazioni pubblicate nell’ordinanza non risulta direttamente, a sparare sarebbe stato solo Cirillo.

Se andate poi a guardare le dichiarazioni di Salvatore Belforte, rivelatosi sostanzialmente un “bacchettaro” poco credibile e per questo motivo tornato al 41bis in conseguenza della cancellazione dello status di collaboratore di giustizia, dall’auto dell’agguato sarebbe sceso il solo Cirillo con una sola pistola, quella consegnatagli dallo stesso Salvatore Belforte, precisamente una 9 per 21.

Riavvolge il nastro della lettura di questo giudiziario e non può non ritornare in mente la testimonianza, assunta al tempo dell’omicidio, cioè più di 20 anni fa, di Pasquale Mezzacapo, titolare dell’officina di Recale davanti alla quale avvenne il delitto. Mezzacapo che nel momento in cui ascoltò il fragore del primo colpo di revolver, andò a nascondersi dietro ad un’auto in riparazione, parla di due uomini con il viso travisato da altrettante calze nere. La narrazione del meccanico rende più credibile il racconto di Bruno Buttone. Oddio, il meccanico raccontò meno di quello che aveva effettivamente vissuto, dato che Buttone che o dice la verità o è più bravo di Stephen King nella ricostruzione, illustra lucidamente i fotogrammi dell’omicidio, che vi presentiamo nell’ultimo stralcio di ordinanza pubblicato in calce a questo articolo.

Arrivano in due, cioè lui e Cirillo. Scendono dall’auto senza calza. Si avvicinano all’officina e nel mentre si accordano sui compiti da svolgere. Cirillo che è un killer professionista a differenza di Buttone che non aveva mai partecipato ad un agguato, ucciderà giovanni Battista Russo, così come fece qualche secondo dopo aver indossato la calza nera. Buttone si occuperà invece di tenere a bada i presenti. Soprattutto il meccanico che era accovacciato a fianco di Russo nell’intento di riparargli lo sportello della sua auto. E’ Buttone a dire al meccanico di allontanarsi.

Insomma, anche in questo caso, Salvatore Belforte non convince. L’indagine stabilisce che Domenico Belforte poteva trovarsi a Marcianise, raggiunta dal suo luogo di confino lombardo di Martinengo in provincia di Brescia. Buttone afferma di essere stato raggiunto da una telefonata di Mimì Mazzacane che gli diceva di recarsi immediatamente da suo fratello Salvatore per ricevere una direttiva. Lo stesso Salvatore racconta che con ogni probabilità che Domenico Belforte era presente con lui quando Cirillo e Buttone arrivarono e quest’ultimo avrebbe insistito per partecipare all’omicidio, anche di fronte alla disponibilità di Belforte a non farlo andare, dato che fino ad allora Buttone, di omicidi, non ne aveva mai compiuti.

Per quanto riguarda il movente, non ne parliamo proprio. La sensazione è che lo conoscano solo Domenico e Salvatore Belforte e che non lo diranno mai. Nel tempo in cui, da pentito, il citato Salvatore Belforte, faceva, come si suol dire, le bacchette alla dda, parlò di una decisione legata ad un presunto coinvolgimento, mai dimostrato che dalle indagini della dda risultò infondato, di Giovanni Battista Russo nell’omicidio di Luca Famiano. Buttone aveva dato un’altra spiegazione e cioè che Giovanni Battista Russo sarebbe stato ucciso in quanto testimone scomodo del delitto di Giuseppe Farina.

In questo focus inseriamo, al riguardo anche le dichiarazioni di Mario Russo, figlio di Giovanni Battista, il quale, invece, afferma di aver saputo negli ambienti delinquenziali, che lui aveva cominciato a frequentare dopo la morte del padre, Giovanni Battista Russo, detto ‘o pechinese, che quella missione di morte fu compiuta nell’ambito della lunga faida che aveva contrapposto il clan Belforte al clan Piccolo, di cui Giovanni Battista Russo era uno storico appartenente al punto che anche il figlio Mario vi si affiliò quando le redini erano state assunte da Andrea Letizia.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA

QUI SOTTO LO STRALCIO DELLE DICHIARAZIONI DI BRUNO BUTTONE