Ci scrive l’avvocato della Friozzi: “Mai sequestrata”. Casertace: “Okay, ma ha subito un significativo dei suoi beni e Giovanni Friozzi è indagato”
7 Febbraio 2019 - 15:18
PASTORANO (gianluigi guarino) – Per carità, CasertaCe è sempre a disposizione per ospitare le richieste formulate da persone di cui scriviamo nei nostri articoli o dai loro legali di fiducia. Considerando che non piace a nessuno stare su un giornale per vicende giudiziarie, facciamo finta di non aver letto la parte si usa la parola “diffida” perché a noi, ma più che a noi, al loro che facciamo, non ci diffida nessuno. L’avvocato di Giovanni Friozzi sostiene che il suo cliente non ha mai ricevuto un sequestro dell’azienda. L’errore che abbiamo fatto è proprio quello di non aver voluto infierire. Ci serva da lezione perché la prossima volta faremo un analisi rigorosissima del testo dei provvedimenti della Corte di Cassazione.
Come potrete leggere qui sotto, i giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto inammissibile il ricorso in quanto esiste una non irrilevante differenza, gentile avvocato che sicuramente comprenderà, anzi ci stupiamo che uno bravo come lei non si sia accorto tra chi ha presentato il ricorso sul sequestro al Gip, cioè la persona fisica Giovanni Friozzi e chi, invece, ha presentato il ricorso in Cassazione, cioè Giovanni Friozzi amministratore e legale rappresentate della persona giuridica “Friozzi Petroli S.r.l.”. Questione importante secondo i giudici, visto che, scrivono testualmente: “Giovanni Friozzi persona fisica è indagato mentre la Friozzi Petroli s.r.l., la società proprietaria del bene, è soggetto terzo”. Letto bene? Ve lo ripetiamo e lo ripetiamo all’avvocato, la società è proprietaria del bene.
La Cassazione poi dice un’altra cosa, spostandosi dall’aspetto formale e d entrando in quello sostanziale. Dice che il fumus commissi delicti ha validamente retto al tribunale del Riesame visto che, rispetto ad un precedente appello presentato al tribunale per la Libertà, non è stato prodotto alcun documento nuovo che potesse in qualche modo rendere possibile un cambiamento delle condizioni che avevano spinto il Gip a emettere il ravvedimento di sequestro.
L’avvocato sostiene che l’azienda non è stata mai sequestrata. probabilmente è vero e qui abbiamo peccato di una minima imprecisione nella traduzione in titolo del testo che, in cui veniva scritto testualmente che la Friozzi aveva subito un sequestro di beni. Forse la società non è stata sequestrata ma ha subito un sequestro, a questo punto riteniamo, di alcuni beni, visto che, in caso contrario, sarebbe da camicia di forza presentare un ricorso in Cassazione cambiando addirittura l’identità del ricorrente dalla persona fisica a quella giuridica. L’avvocato ha detto la sua, noi abbiamo detto la nostra e speriamo di aver dato ai lettori un quadro della situazione reale. per il resto, come abbiamo già scritto prima, pubblichiamo integralmente il testo del provvedimento della Corte di Cassazione.
LA REPLICA DELL’AVVOCATO
L’Avv. Pasquale Friozzi, in nome , per conto e nell’interesse della società Friozzi Petroli srl in persona del leg. Rapp.te p.t. Friozzi Giovanni, visto l’articolo pubblicato sul vostro quotidiano on-line in data odierna 06/02/2019, ravvisa che i contenuti del medesimo sono non attendibili, non veritieri, non pertinenti ai fatti realmente accaduti e pertanto diffamatori.
Le preciso, che l’azienda Friozzi Petroli srl non è stata mai sequestrata e tale articolo , tra l’altro non recante nemmeno la firma dell’autore, risulta lesivo per l’immagine dell’azienda.
Come è noto il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art 21 Cost. non può essere garantito in maniera indiscriminata ed assoluta ma è necessario porre dei limiti, al fine di poter contemperare tale diritto con quello dell’onore e della dignità , proteggendo ciascuno da aggressioni morali ed ingiustificate.
L’ARTICOLO
Era il 16 maggio 2018 quando il Gip del tribunale della repubblica di Napoli Nord aveva disposto il sequestro di beni alla Friozzi Petroli s.r.l. di Giovanni Friozzi. Provvedimento confermato dal Tribunale del riesame di S. Maria Capua Vetere, con l’ordinanza del 5 luglio 2018, ha rigettato l’appello proposto da Friozzi.
L’imprenditore del mondo dei carburanti però non si è arreso e attraverso il suo legale ha fatto ricorso presso la Corte di Cassazione. Tra le motivazioni portate davanti ai giudici, il legale della Friozzi Petroli, ha fatto presente che, secondo la propria tesi , il Riesame avrebbe ipotizzato i reati senza descrivere il percorso logico.
Gli ermellini hanno dato però ragione ai al tribunale della Libertà e quindi anche al provvedimento del Gip, confermando quindi il sequestro dei beni per la società. Inoltre i giudice hanno rilevato che l’appello presentato al tribuanle del Riesame, avverso al provvedimento del 16 maggio 2018 assunto dal Gip, è stato proposto da Giovanni Friozzi in proprio e non quale legale rappresentante Friozzi Petroli s.r.I., società proprietaria dei beni in sequestro.
IL TESTO DELLA CASSAZIONE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FRIOZZI GIUSEPPE nato a CASERTA il 27/02/1982
avverso l’ordinanza del 05/07/2018 del TRIB. LIBERTA’ di SANTA MARIA CAPUA
VETERE
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
sentite le conclusioni del PG GIULIO ROMANO
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3600 Anno 2019
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: SEMERARO LUCA
Data Udienza: 16/01/2019
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di S. Maria Capua Vetere, con l’ordinanza del 5
luglio 2018, ha rigettato l’appello proposto da Giovanni Friozzi avverso il
provvedimento del 16 maggio 2018 del giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Napoli nord con il quale era stata rigettata l’istanza di dissequestro
formulata dalla difesa dell’indagato.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di S. Maria Capua Vetere ha
proposto ricorso per cassazione il difensore di Giovanni Friozzi, quale legale
rappresentante della Friozzi Petroli s.r.l. deducendo con unico motivo, il vizio ex
art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 325 cod. proc. pen., sotto il
profilo della mancanza di motivazione.
Dopo aver riportato i motivi di appello proposti nell’interesse di Giovanni
Friozzi e la sintesi della motivazione dell’ordinanza impugnata, si rileva che il
Tribunale del riesame avrebbe omesso ogni valutazione sulla configurabilità
dell’art. 40 del d.lgs. 504/1995; avrebbe ipotizzato i reati senza descrivere il
percorso logico.
Si riporta poi la giurisprudenza in tema di motivazione delle ordinanze in tema
di verifica del fumus commissi delicti e si sostiene che il Tribunale del riesame
avrebbe omesso di valutare le censure difensive relative all’errore materiale nella
compilazione del documento di trasporto, alla legittima provenienza del carburante
ed all’assolvimento dell’imposta – dovendosi ritenere al più la sussistenza
dell’illecito amministrativo ex art. 49 comma 2 del d.lgs. 504/1995 –
all’inapplicabilità della confisca prevista dall’art. 40 del d.lgs. 504/1995 poiché il
richiamo contenuto nell’art. 49 comma 1 d.lgs. 504/1995 sarebbe solo in relazione
alla pena ma non alla confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Va in primo luogo rilevato che l’appello avverso il provvedimento del 16
maggio 2018 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli nord è
stato proposto da Giovanni Friozzi in proprio e non quale legale rappresentante
Friozzi Petroli s.r.I., società proprietaria dei beni in sequestro.
Il ricorso per cassazione risulta presentato da Giovanni Friozzi quale legale
rappresentante Friozzi Petroli s.r.I.: non vi è dunque identità tra il soggetto che ha
proposto l’appello e quello che ha proposto ricorso per cassazione, con
conseguente mancanza di legittimazione di Giovanni Friozzi, quale legale
rappresentante Friozzi Petroli s.r.l. La società proprietaria del bene è infatti
soggetto terzo mentre Giovanni Friozzi è l’indagato; hanno dunque due posizioni
processuali diverse.
1.2. In ogni caso, il Tribunale del riesame ha ritenuto, rispetto al fumus
commissi delicti, che sussistesse il giudicato cautelare, in quanto già era stato
rigettato il riesame e non erano stati prodotti nuovi elementi di valutazione rispetto
ai reati contestati.
Rispetto a tale motivazione dell’ordinanza impugnata, la difesa si è limitata a
riproporre i motivi di appello, senza minimamente indicare perché la decisione sia
errata in diritto. Sul punto, pertanto, il motivo è privo del requisito della specificità
estrinseca, poiché non si confronta con le ragioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato (Cass. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco,
Rv. 255568). Le ragioni della necessaria correlazione tra la decisione censurata e
l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le
ragioni del provvedimento censurato (così le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione nella motivazione della sentenza n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv.
268822).
1.3. Va altresì rilevato che la procedura innestata non è un riesame bensì un
appello cautelare reale: non sussiste alcun vizio radicale della motivazione
dell’ordinanza perché il Tribunale del riesame ha chiaramente esaminato i motivi
di appello e ad essi ha dato risposta.
1.4. Quanto poi alla questione della qualificazione giuridica del fatto ai sensi
del comma 1 o 2 dell’art. 49 del d.lgs. 504/1995, il Tribunale del riesame ha
correttamente ritenuto la questione del tutto irrilevante ai fini del mantenimento
del sequestro, essendo stato contestato all’indagato, anche mediante l’esercizio
dell’azione penale, il reato ex art. 40 per il quale, ai sensi dell’art. 44 comma 1 del
d.lgs. 504/1995, «I prodotti, le materie prime ed i mezzi comunque utilizzati per
commettere le violazioni di cui agli articoli 40, 41 e 43 sono soggetti a confisca
secondo le disposizioni legislative vigenti in materia doganale».
2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n.
186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro
2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/01/2019.