La Domenica di Don Galeone. Nel suo insegnamento, Gesù prende spesso lo spunto da cose familiari agli ascoltatori e che erano sotto gli occhi di tutti.

28 Aprile 2024 - 09:47

28 aprile 2024 ✶ Quinta Domenica di Pasqua / B

Chi rimane in Gesù fa molto frutto (Gv 15,1)

La prima comunità cristiana era attraversata da tensioni tra conservatori e innovatori (I lettura); la comunità di Gerusalemme tendeva a custodire le tradizioni. Ogni crescita è sempre accompagnata da tensioni; anche le tensioni, che oggi attraversano la Chiesa, possono rivelarsi feconde, a condizione che siano vissute nella carità. Per questo non basta possedere la fede, occorre anche la carità. L’ingresso di Paolo nel gruppo dei credenti non fu facile né indolore, come sempre accade quando nelle strutture ordinarie occorre iniettare il dinamismo della novità. I primi apostoli erano tutta brava gente, ma integralista, pronta a fare quadrato, anziché a sperimentare il pluralismo (Cfr Atti cap. 10). Paolo si era convertito, ma aveva idee troppo nuove, e in tutta la storia della Chiesa queste due componenti (il dinamismo paolino e la prudenza petrina) saranno presenti con alterne vicende. Gerarchia e profezia, tradizione e innovazione, antico e nuovo: due dimensioni necessarie, altrimenti o si va incontro all’invecchiamento o a pericolose fughe in avanti.È una schematizzazione semplicistica, che pure fotografa 20 secoli di storia del cristianesimo. Le tensioni diventano illegittime solo quando provocano settarismo e divisioni. Aveva ragione Papa Giovanni quando diceva: “Nelle

cose necessarie: l’unità; nelle cose facoltative: la libertà; sempre la carità”.

Per definire bene il nostro rapporto con Gesù, egli non poteva trovare una immagine più poetica e realistica come quella della vite e del tralcio; il tralcio è un prolungamento della vite, su di esso cresce il grappolo, ma la linfa che lo nutre gli viene dalla vite (vangelo). È un problema quello di distinguere la vera vite; abbiamo un mondo popolato di viti, che producono messaggi tossici; ogni vite promette frutti di salvezza, un vino inebriante; alla fine qualcuno arriva anche a pensare che tutte le viti si equivalgono e che tutte le religioni sono uguali. La nostra vita è un’infinita ricerca di questa “vera vite”, di quest’albero che salva; una ricerca umile ed onesta, che esige libertà interiore. Ogni uomo è così alla ricerca di un “Santo Graal”, che si rivela a chi cerca con amore la libertà. Il vangelo ci esorta a stare uniti a Gesù, come il tralcio alla vite. Se facciamo il male, ci stacchiamo da Gesù vera vite.

L’immagine della vite suggerisce che la fede è intimità, e ce lo ricorda il verbo rimanere, dimorare; alla pallida religiosità di molti cristiani, tutta folclore ed esteriorità, Gesù chiede un’adesione cordiale e radicale, come il legame nuziale. Ma la fede è anche sofferenza, e ce lo ricorda il verbo potare, tagliare, ma sempre perché porta più frutto. Dio ci toglie una gioia perché ce ne vuole offrire una più grande. “Le mani di Dio sono mani ora di grazia ora di dolore, ma sempre di amore”, ha scritto D. Bonhoeffer, pastore protestante, morto impiccato nel carcere nazista di Flossenbürg.

Potare non è odiare la pianta: se questa non viene potata, la sua forza si disperde, mette grappoli più del dovuto, non li porta tutti a maturazione; se resta a lungo senza essere potata, finisce addirittura per inselvatichirsi, come il giardino di Renzo descritto da Manzoni. Lo stesso avviene nella nostra vita. Vivere è scegliere, è rinunciare. Chi coltiva molti interessi, chi fa tante cose … finisce con il disperdersi. Occorre potare! La santità somiglia alla scultura, che Leonardo da Vinci definisce “l’arte di levare” perché, mentre tu e le altre arti aggiungono qualcosa (il colore sulla tela, la pietra sulla pietra in architettura, la nota sul pentagramma …), solo la scultura consiste nel togliere i pezzi di marmo superflui, per fare venire fuori (e-ducere) la figura. Un giorno Michelangelo vide un blocco di marmo ricoperto di terra e di erbe; come colpito, disse agli amici che lo accompagnavano: “In quel blocco di marmo è racchiuso un angelo, che io devo tirare fuori!”. Anche Dio ci vuole educare: dentro ognuno di noi vede la sua immagine, e la vuole tirare fuori. Come? Prende lo scalpello della croce e ci modella; prende le forbici del dolore e ci plasma. In genere non si tratta di croci e di dolori eccezionali: sono le sofferenze della vita quotidiana!

BUONA VITA!