😂😂”E dall’!” La sentenza della corte di Appello su Adele Vairo è esecutiva. Il Ministero deve rimuoverla per diritto, al di là del ricorso in Cassazione

11 Febbraio 2021 - 19:46

Siamo costretti a tornare sull’argomento solo perché in rete la dottoressa Vairo ha immesso informazioni inesatte. Esisteva una sola strada per sospendere l’esecutività del verdetto dei giudici napoletani e non è stata utilizzata. ECCO QUALE
Ovviamente, in caso di altre notizie errate immesse in rete scriveremo uno, due, dieci, mille altri articoli

CASERTA (gianluigi guarino) – Vedete, se la dottoressa Adele Vairo ritiene, seppur in tutta legittimità, di inserire in rete informazioni come quella che ha inserito nei giorni scorsi, relativa alla vicenda giudiziaria che l’ha coinvolta più di un anno fa, quando la corte di Appello di Napoli definì illegale la sua nomina a preside del liceo Manzoni di Caserta,

noi, che pur eviteremmo volentieri di tornarci sopra, facendolo solo all’esito del pronunciamento finale del giudice della legittimità, ci vediamo costretti a re-intervenire sulla vicenda, visto è considerato che siamo stati noi a sollevarla, a darne notizia, quando la citata corte ha pronunciato la sentenza in questione.

Beninteso, non è che ce l’abbia ordinato il medico di rilanciare e di distribuir rimbrotti. Se la dottoressa Vairo, che tra le altre cose è assessore alla Pubblica Istruzione al comune di Caserta, avesse inserito in rete delle informazioni esatte, tecnicamente, formalmente e di conseguenza sostanzialmente precise, oggi questo articolo non sarebbe uscito. Ma siccome non è andata così, siamo qui a tenere botta.

Lungi da noi cavalcare le passioni del passato di CasertaCe. Qui, l’unica cosa che conta, trattandosi di funzioni svolte in nome e per conto dello Stato italiano, del popolo sovrano e dunque finanziate dalle casse pubbliche, occorre riproporre la trattazione di questo argomento, magari confidando in una replica di merito e non costituita dalle solite malevolenze da vere e proprie comari di provincia, ad opera della dottoressa Vairo.

Quando a suo tempo abbiamo pubblicato e commentato la sentenza della corte di Appello, le repliche gliele chiedemmo invano. Perché la dottoressa Vairo interpreta lo stesso difetto riguardante molti soggetti di questa terra, che hanno costruito una posizione professionale ed economica di grande rilievo, ma che non vivono, chissà perché, questa loro condizione con la serenità di chi, non avendo nulla da nascondere, non ha nessun problema a confrontarsi su ogni tema, non trincerandosi dietro a difese meramente assertive, ma totalmente prive di qualsiasi fondamento logico e culturale. E allora, oggi, ribadiamo l’invito alla dottoressa Vairo a replicare. Senza stare lì a buttarla sempre in ammuina, proponendo lo stucchevole discrimine del chi sono io e chi sei tu, ma proteggendo l’unica cosa che conta e cioè l’interesse collettivo, il bene comune, che viene difeso e tutelato se esiste la certezza del diritto e se ogni cittadino può trovare nel diritto le ragioni o i torti, al di là e al di sopra di ogni contingenza.

Per capirci meglio: se la preside Maria Rosa Clemente, che aspirava a diventare dirigente scolastico del liceo Manzoni, non aveva riferimenti importanti come quelli posseduti dalla dottoressa Vairo, che ancora oggi può contare, grazie al suo autorevole genitore, importanti e (perché no) meritate entrature nell’associazione di lobbying Anp, sigla che sta per Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola, in pratica la principale associazione dei presidi, ci deve pensare il giudice naturale, cioè la democrazia, a colmare questo gap, a determinare la pari opportunità della preside Clemente rispetto alla dottoressa Vairo nella concorrenza relativa all’obiettivo di diventare la guida di un importante istituto superiore qual è il liceo Manzoni di Caserta.

Questo cerchiamo di far capire da anni alla dottoressa Vairo. Invano. Al punto di averci perso le speranze e dal cominciare a ritenere che se una persona che svolge una professione importante com’è la sua, non è in grado di sintonizzarsi nella comprensione concettuale, in modo da articolare una dialettica del confronto e dello scontro, da cui possano venire fuori ragioni da ambo le parti e da cui comunque, almeno per quanto ci riguarda, verrebbe fuori apprezzamento e rispetto nei confronti di chi ha accettato il confronto-scontro delle idee, vuol dire che non ci arriva, dato che noi onestamente abbiamo fatto i disegnini nelle decine di articoli che a questa persona abbiamo dedicato.

Cosa c’è di astioso, di personale, da parte nostra nei confronti della dottoressa Vairo nel momento in cui rimarchiamo che ciò che è circolato in rete in questi giorni è, ripetiamo, tecnicamente, sostanzialmente e formalmente errato? Il problema non è che queste cose (altro disegnino) le sostenga la dottoressa Vairo, ma consiste nel fatto che queste cose sono sbagliate. E ciò varrebbe anche se fossero esposte dal mio angelo custode.

Dunque, la dottoressa Vairo ha presentato ricorso in Cassazione. Rispettabile, legittimo. Non l’abbiamo letto, ma anche se non condividessimo una sola sillaba di ciò che è stato messo nero su bianco nell’istanza, ci faremmo uccidere (alla maniera di Voltaire) perché alla dottoressa Vairo e ad ogni altro cittadino del mondo non sia impedito la piena agibilità dei diritti umani, delle ragioni della democrazia, tra cui c’è anche quella relativa alla libertà di dire cazzate. Quando però leggiamo in rete che questo ricorso in Cassazione blocca l’esecuzione della sentenza pesantissima pronunciata dalla corte di Appello, un’eventuale scelta da parte nostra di stare zitti significherebbe infliggere una ferita al nostro spirito liberale e al rapporto di crasi che sentiamo di avere con la democrazia.

Non è vero, infatti, che il ricorso in Cassazione blocchi gli effetti della sentenza di Appello. E non è solamente una questione inerente alla struttura generale che dal diritto civile genera il suo conseguente diritto processuale, perché questo significherebbe dire semplicemente, semplicisticamente e dunque rozzamente che una sentenza civile è esecutiva sin dal primo grado di giudizio a prescindere dalla possibilità, che viaggia su un binario parallelo e non intersecante con l’istituto dell’esecuzione, di impugnarla dinanzi ai giudici dell’Appello e poi in Cassazione. Non a caso, nel diritto processuale penale, la condanna ad una pena detentiva o pecuniaria non sarà mai definitiva fino all’ultimo grado di giudizio, cioè fino alla sentenza di Cassazione, qualora a questa si adisca. Al contrario, una sentenza di condanna penale attiva già dal primo grado la procedura di risarcimento danni a cui una parte offesa – non a caso definita parte civile – può accedere, con una domanda presentata in separata sede e cioè davanti al giudice civile. Insomma, per avere un risarcimento danni, frutto di una costituzione di parte civile in un processo penale, non bisogna attendere il verdetto della corte di Appello o quello della Cassazione, fermo restando che se questi fossero difformi dalla sentenza di primo grado, revocherebbero anche l’effetto civile, costringendo magari la parte offesa (che i soldi li ha già eventualmente ricevuti, grazie ad una sentenza di primo grado in sede civile) a restituire il risarcimento al convenuto.

Ciò esiste in linea di principio e in linea di sostanza nel procedimento civile. Ma non si tratta di un dato assoluto, ma solo prevalente, L’articolo 373 del codice di procedura civile se da sancisce prima di tutto il principio appena citato (cioè che il ricorso per Cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza), dall’altro lato contempla un’eccezione. “Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione“. Fermo restando, dunque, che il giudice emissore del verdetto, dunque la corte di Appello di Napoli, debba pronunciarsi sui possibili gravi danni con l’esecuzione della sentenza, ciò avverrà solo se la parte interessata avrà presentato una formale istanza per accedere a questo istituto.

In caso di mancata notifica della sentenza, ci sono sei mesi a disposizione per presentare l’istanza di sospensiva. Un tempo trascorso da un bel pezzo, senza che alcuna richiesta sia stata presentata alla corte di Appello. E noi prendiamo come riferimento i sei mesi, non perché conosciamo il fatto della mancata notifica della sentenza del secondo grado di giudizio alla dottoressa Vairo, ma perché questo è il caso che riproduce il lasso di tempo possibile più ampio, più lungo. In poche parole, se dal pronunciamento di una sentenza trascorrono sei mesi, non sarà rilevante se la medesima sia stata notificata o meno, ma si avrà la certezza che, in assenza di un’istanza di sospensiva, il verdetto della corte di Appello è esecutivo.

Ed è questo che è successo ed è questo che ci fa dire alla sciagurata ministra Lucia Azzolina che il dicastero della Pubblica Istruzione si è reso colpevole di un mancato adempimento di un solenne atto pronunciato da un’altissima magistratura qual è una corte di Appello.

Non è così, ma è chiaro che con questo comportamento dell’Azzolina presta il fianco alle malevolenze e alle illazioni che vanno a rivangare la storia del suo concorso per ricoprire la funzione di preside, vinto in un contesto in cui l’Anp monopolizzava le commissioni e anche i corsi di preparazione, così come abbiamo dimostrato in più articoli sul prode Angelo Marcucci, preside e braccio destro di Vairo padre e a capo della famigerata commissione che operò, nella selezione dei nuovi dirigenti scolastici all’interno, manco a dirlo, del Manzoni di Caserta.

La nostra è una battaglia di legalità. La sentenza della corte di Appello è esecutiva. Non c’è ombra di dubbio. E non a caso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere è stato costretto a fissare davanti al giudice Capasso l’udienza nella quale dovrà assorbire l’intimazione dei giudici di secondo grado che, indicando la strada, hanno chiesto a quelli sammaritani di procedere alla determinazione del risarcimento danni a favore della preside Clemente, ormai in quiescenza e quindi non più interessata ad ottenere la carica di preside dell’istituto scolastico casertano, colei che con il giochino di Tufariello (LEGGI QUI LA STORIA) fu tenuta all’oscuro di ciò che stava avvenendo dietro le quinte del Manzoni, in modo da favorire (questo lo dicono i magistrati dell’Appello e non noi di CasertaCe) l’illegale nomina della dottoressa Vairo. Quindi, il ministero della Pubblica Istruzione deve procedere alla revoca dell’incarico di preside del Manzoni alla dottoressa Adele Vairo. In caso contrario, il governo italiano continuerebbe a violare la legge.

Poi, qualora la dottoressa Vairo dovesse ricevere soddisfazione dalla corte di Cassazione, siamo pronti ad incatenarci su viale di Trastevere davanti alla sede ministeriale, affinché venga immediatamente reintegrata al suo posto.

Questo si chiama Diritto, fondamento e presupposto di ogni sistema democratico.