CASERTA (g.g.) C’è tanto, c è quasi tutto dentro alla storia, fatta di molte altre, piccole storie, ognuna di questa collocata in un’ampia parte comune di numeri reali, espressione e saldo ancoraggio ad un presente di inesausta passione. Quando entri nell’Enoteca Il Torchio, nel grande negozio di Mezzano, quando connetti al tuo camminare lento quelle penombre che sanno di rovere, di legno buono, custode del pregio che occhieggia, si mostra, sfoggia orgoglioso le sue etichette che sono già storia, ricevi dagli scaffali e dall’ambiente circostante dei segnali contrastanti.
Diciamocelo tutta: solo una strettissima minoranza dei visitatori e, conseguentemente, degli avventori possiede un minimo di competenza, sufficiente solamente a decifrare quelle etichette. Non ne parliamo proprio se questa identificazione dovrà, poi, trasformarsi in acquisto venale di qualche bottiglia estratta da tutto quel bendidio offerto dall’enoteca de Il Torchio.
Alcuni di questi visitatori si aggirano, poi, guardinghi cercando inutilmente di sgamare i prezzi di quelle bottiglie, mostrandosi sollevati dal poter finalmente armare uno sguardo e un movimento delle mani quando incrociano un marchio tanto noto da superare il discrimine della minima competenza. Ad esempio un rassicurante Bordeaux, che non occorre certo un esperto per sapere che si tratta di un vino nobile e costoso.
Ai tempi dei Master chef assortiti, capita, anche facendo semplicemente zapping con il telecomando, di incrociare le parole “Chianti, Amarone, Barolo”, per citare tre tipi di vino tra i più rinomati. Insomma, tra quei legni che odorano di memoria e di conoscenza, ti senti, al di là di queste eccezioni di contatto, un pesce fuor d’acqua. E la situazione non migliora se entri nell’area delle birre prodotte in antichi monasteri fiamminghi, olandesi, tedeschi. Whisky, brandy, cognac, scotch o, peggio ancora, introvabile bourbon: guardi, ma non proferisci parola, per non dare a vedere che tu forse, altro che struttura di un vino, non conosci nemmeno la differenza tra una frizzante naturale e un’acqua gasata, tipo Perrier o, per rimanere ad un esempio più casareccio, l’antica e non più prodotta acqua Claudia. Sai solo che là dentro ci sei entrato per spendere cento o duecento euro, per fare bella figura con un parente o con un amico a cui vorresti regalare una bottiglia di qualità o addirittura di gran classe.
Una pacca sulle spalle e il luogo dei vini preziosi e incomprensibili ti diventa familiare
Quando pensi di dover iniziare a rinculare in una ritirata strategica per interrogare l’oracolo di Google in modo da chiedere lumi su qualche marca per te sconosciuta, in modo da capire se sia buona o meno buona, evitando, in questo modo, di incorrere in una “figurella fantozziana”, ti giri e incroci gli sguardi di Mauro e Oreste Giannini. Sono i proprietari dell’enoteca e tu all’inizio non ci credi. Perché in un posto del genere ti aspetti persone che l’empatia la vogliono produrre in proprio, tra pochi iniziati alla materia, attraverso l’espressione autoreferenziale e non con il prossimo. Insomma, immagini persone che indossano la catenella che sostiene il tastevin, cioè il piattino del sommelier. E invece no. In quel luogo delle meraviglie sconosciute, delle lavorazioni di artigiani intergenerazionali, costruttori di storia, incontri due facce normali e immediatamente torni a sentirti a tuo agio. Quando non conoscevo bene Mauro Giannini anche io entravo nell’enoteca con modalità guardinga. Poi mi sono sciolto. E siccome non sono un grande intenditore di vino, né di birre, né di liquori eccellenti, ma sono uno a cui la storia piace soprattutto quando questa è scritta anche attraverso la fisionomia di chi la popola, mi sono incuriosito di fronte a queste atmosfere divergenti, comprendendo che la contraddizione tra l’austera autorevolezza di quelle bottiglie e dei legni che le contengono e la bonarietà, la semplicità delle facce di chi quel luogo lo governa, è solo un’apparenza, frutto del pensiero debole, quello dei luoghi comuni, quello di un’ignoranza, che solo un distillato avariato di appuntamenti mancati con i saperi, può portarti a cogliere come distonia, appunto, come contraddizione.
La grande identità del vino di casa e il seme degli intenditori. La storia di nonno Oreste
E allora, amico Mauro, ma perché conosci tutti i cabernet, gli spumanti e gli champagne di pregio, perché sai ruotare, con rara maestria, il calice per far defluire i profumi primari e secondari di un qualsiasi vino d’Italia e d’Europa e, allo stesso tempo, rifili affettuose e confidenziali pacche paesane sulle spalle di amici e conoscenti, allo stesso modo con cui si faceva con gli incontri nelle belle osterie di una volta, dove si serviva in brocca il bel e buon “vino di casa”?
Succede perché Mauro e Oreste Giannini hanno conosciuto i grandi vini, densi di essenze fruttate e/o saline prodotti dal cammino faticoso, dal procedere lento e delicato di vitigni coccolati dai grandi esperti, solo perché hanno conosciuto prima di tutto il buon vino di casa, come racconta a CasertaCe proprio Mauro Giannini.
“Esattamente 30 anni fa nostro padre, Tommaso Giannini, aprì l’enoteca. Non lo fece, così, all’improvviso, per una scossa passionale, ma perché l’enoteca completò un percorso familiare di conoscenza, di saperi e di esperienze, iniziato da suo padre dunque, da mio nonno, Oreste Giannini. Un nonno che io e mio fratello ricordiamo bene quando eravamo molto giovani, lavorare nella sua vigna qui a Mezzano per accudire le uve di Aglianico e di Falanghina fino al momento della vendemmia con la passione e l’abilità del contadino-artigiano. Il tutto in una relazione strettissima tra la vigna e la cantina di famiglia, dotata di tutti gli attrezzi della grande storia e della grande tradizione contadine. Nonno Oreste – ricorda Mauro Giannini – produceva vino sfuso, quello che si vendeva nelle damigiane da cinque e da dieci litri, soprattutto a ristoranti e trattorie, ma anche a consumatori privati. Tanti clienti aveva mio nonno, a dimostrazione della qualità del suo prodotto”.
In sintesi, dopo avere ascoltato questa dichiarazione e dopo averla messa su carta, c’è rimasto nella testa un concetto fondamentale di quella vita e di quell’esperienza antica di Oreste Giannini senior, capace di trasformare in qualità la cultura della stanzialità. Una riflessione non fine a se stessa, perché la vigna e la cantina e dunque, la stanzialità di nonno Oreste hanno costituito la base di partenza per esperienze che da questa stanzialità sono passate alla mobilità e all’assorbimento di un diverso tipo di conoscenza e di conoscenze.
Da Tommaso “il viaggiatore” l’idea della birra di pregio
Tommaso Giannini, figlio del produttore di vini sfusi, nonché papà di Mauro e Oreste junior, ha, infatti, mescolato l’identità di quella vigna e di quella cantina di Mezzano con la curiosità e la sete di conoscenza per altre identità, quelle che ha incontrato nel corso di centinaia e centinaia di viaggi consumati a bordo del suo autotreno in ogni angolo d’Europa. Ed è nel contesto di queste esperienze, soprattutto quando il suo tir transitava nei Paesi del Centro e del Nord del Continente, che Tommaso Giannini scoprì che in Italia, dove la birra, bevanda gradita e largamente consumata, potevano aprirsi autentiche praterie in un mercato che non era protetto per legge, ma lo era per inerzia, per abitudine poco più o poco meno. La pur mitica Peroni, la sottomarca Dreher, qualche Heineken olandese e niente più. Così, gli si accese la proverbiale lampadina. “L’enoteca, come vendita di vini di qualità – racconta ancora a CasertaCe Mauro Giannini – era già nella testa e nel cuore della nostra famiglia. La grande birra internazionale, la grande birra di pregio lo è diventata poi attraverso i viaggi e le idee di mio zio”.
… E 30 anni fa l’apertura dell’enoteca di successo a Mezzano
E fu così che nel 1993 Tommaso Giannini tagliò il nastro del bellissimo negozio di Mezzano che in questi giorni ha compiuto il suo 30esimo compleanno. La denominazione stabilì, comunque, la priorità del primo amore e allo stesso tempo dell’identità: l’enoteca riguarda, infatti, il vino, e dunque, le grandi vendemmie, quelle che emozionano, che incubano le speranze di chi coltiva per un anno intero una vigna, un vitigno, ma che in realtà, lo alleva come se fosse un figlio che porta in grembo. Una storia piena di soddisfazioni, ma anche di preoccupazioni che solo quando arriverà il momento in cui Il Torchio svolgerà il suo lavoro e la sua funzione, potrà raccontare di un grande successo, di un parto da cui sarà nata una grande bellezza delle essenze e dei sapori, oppure un vino normale o ancora, da buttar via o quasi. I due ragazzi, Mauro e Oreste junior, si fecero le ossa nei primi anni di vita dell’enoteca di Mezzano. Si occuparono materialmente, infatti, degli ordini, della distribuzione materiale, manuale e muscolare dei prodotti, prima di diventare loro stessi, col cammino dell’eta, i titolari de Il Torchio, che non è solo una enoteca del pregio, internazionale, un percorso commerciale dei luppoli e delle lavorazioni delicatissime di birre provenienti da tutto il Continente, spesso a produzione limitatissima oppure dei grandi liquori a lunga decantazione. No. Non è solo questo. Quando leggerete, clikkando dal banner celebrativo che associamo anche a questo articolo e che si può rintracciare da qualche settimana nella nostra home page, sappiate che nell’enoteca Il Torchio di Mezzano scoprirete storia, qualità, conoscenza, talento, ma non presunzione. Troverete chi vi darà una pacca sulla spalla per comunicarvi la semplice cordialità di chi ha realizzato qualcosa di grande senza bonus. Partendo da un granello di terra non sempre amica, dalla durezza di viaggi in camion fino a spaccarsi la schiena. I Giannini sono questo ed è perciò che sono da tempo partner di Casertace, a cui piace il merito, a cui piace il sacrificio, il lavoro pesante e anche pesantissimo come unici, esclusivi strumenti di affermazione economica e sociale di una famiglia di imprenditore.