LA NOTA. La morte di Massimo Golino. Il Pronto soccorso di Caserta troppo spesso bersaglio immeritato di critiche superficiali (anche le nostre) e quell’invito alla sorveglianza h24 formulato alla famiglia

10 Febbraio 2024 - 11:53

Purtroppo siamo costretti di nuovo a intervenire su una vicenda sulla quale, probabilmente, sarebbe utile far calare il silenzio. Ma la lettera scritta dal cognato dell’avvocato marcianisano merita un’analisi che parte da una vulgata non basata (e siamo noi i primi a dover fare autocritica) sulla considerazione oggettiva, obiettiva e, soprattutto, maturata sul campo sull’operatività del Pronto soccorso dell’ospedale civile di Caserta.

MARCIANISE (gianluigi guarino) Negli anni abbiamo scoperto che è troppo facile prendersela con il Pronto soccorso di Caserta. Al riguardo, solo gli stupidi non cambiano idea e noi, come abbiamo già scritto in diverse occasioni, abbiamo modificato, da 24 mesi a questa parte, il nostro giudizio, avendo avuto la possibilità di constatare direttamente che nel Pronto soccorso di Caserta esiste un’organizzazione ben strutturata. Ciò non basta, purtroppo, a risolvere tutti i problemi e nemmeno a ridurne la cifra di clamore. Ciò, perché questi problemi si configurano in maniera vistosa, in quanto un Pronto soccorso è sempre il primo punto di impatto, la struttura di resistenza e di protezione chiamata a fronteggiare l’emotività, il primo acchito di chi vi si reca perché subisce o pensa di subire un problema molto grave per la sua salute e per la sua sopravvivenza, con tutto il contorno delle emotività associate e spesso prevalenti dei suoi familiari.

Insomma, un mestiere maledettamente difficile quello dei medici e degli altri sanitari del Pronto soccorso di Caserta. Lo capisci e lo capisci bene di notte, quando, al di là di una numerosità di situazioni caotiche, legate soprattutto ai fine settimana e ai mesi estivi, si incrocia un clima mediamente disteso. Nel momento in cui ci transiti di giorno, oppure scendi da un reparto in cui hai ricoverato un tuo congiunto, ti trovi di fronte, aprendo la porta dell’area reception, ad una realtà del tutto modificata. Sembra un altro posto rispetto a quello che hai visto e che magari hai vissuto la notte prima. Se, infatti, nottetempo, ci sono 15, 20 persone ad attendere gli esiti delle visite a cui sono sottoposti familiari e/o amici, la mattina pensi di stare in un ufficio dell’Asl, in un ufficio dei vigili urbani in cui si pagano le contravvenzioni, oppure agli sportelli di un ufficio postale di una città metropolitana, o anche di medie dimensioni, dove si procede in base al numero. E allora pensi: se stanotte eravamo in 15 ed ora, di mattina, ci sono 150 persone, i 135 aggiunti cosa facevano stanotte? Naturalmente dormivano e solo alle 8 del mattino hanno scoperto di avere bisogno del Pronto soccorso. Capisci, allora, che qualcosa non funziona, non solo nella testa della gente, ma anche nell’assetto complessivo dei servizi sanitari territoriali. La testa della gente, perché se a uno fa male il piede alle 10 di sera e poi decide di andare a dormire, progettando che alle 9 del mattino successivo dovrà andare a rompere le scatole al Pronto soccorso, che per definizione non dovrebbe occuparsi di quel piede, in quanto una cancrena avrebbe potuto diventare letale nelle 10 ore di sospensione dovuta alla volontà di andarsene a dormire. Ma non funziona neppure la rete territoriale dell’assistenza, più che dell’emergenza, perché il fallimento della credibilità, della reputazione della rete delle Guardie mediche ha fatto sì che i Pronto soccorso della Campania, vedi anche quello di Caserta, diventino spesso ingestibili e non certo per colpa del personale. Davanti a quella reception o “Accettazione” che dir si voglia, è scritta a lettere cubitali la parola Triage. Riteniamo che più del 90% delle valutazioni, soprattutto di quelle diurne, rechi alla fine il bollo del “codice bianco”, al massimo del “codice verde”. Tutti casi che non c’azzeccano nulla con un Pronto soccorso.

Ma qui il problema diventa politico e ti viene da pensare che se c’è uno che forse realmente avrebbe bisogno del Pronto soccorso ogni giorno, non un giorno sì e l’altro no, questi si chiama Vincenzo De Luca… Vabbè, evitiamo, come avrebbe detto Totò, di buttala in politica, andiamo avanti, altrimenti divaghiamo.

La lettera del familiare di Massimo Golino e il nostro punto di vista

La famiglia di Massimo Golino si è sentita toccata nel vivo nel momento in cui i giornali, non solo il nostro, dando la notizia dell’apertura di un fascicolo di indagine da parte della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere sul gesto estremo compiuto dall’avvocato marcianisano, ha anche raccolto, esponendola, l’indiscrezione che ha raccontato di una volontà ferrea, manifestata da Massimo Golino, di tornare a casa, di non accettare il ricovero o un ulteriore supplemento di analisi di tipo neuropsichiatrico, dopo essere stato medicato al Pronto soccorso di Caserta per una ferita infertasi al collo con un gesto di autolesionismo.

Abbiamo ricevuto e abbiamo volentieri pubblicato il punto di vista di Emilio Caterino, cognato di Massimo Golino, in quanto marito di una delle due sorelle. Questi accusa direttamente, frontalmente un medico del Pronto soccorso di Caserta il quale, a suo avviso, avrebbe sbrigativamente spinto per l’immediata dimissione dell’avvocato appena medicato. Ciò, nonostante un confronto dialettico durante il quale lo stesso Emilio Caterino avrebbe manifestato la richiesta di trattenere il cognato, oppure di somministrargli almeno un calmante, sottoponendolo magari a una visita psicologica. Rispetto a queste parole, il medico del Pronto soccorso avrebbe reagito con fastidio, addirittura formulando un’analisi causale del fatto, qualificandolo come un “gesto dimostrativo”. Naturalmente, le parole di Caterino sono molto serie e molto gravi. Argomentazioni che dovrebbero essere riscontrate da una replica ad opera di questo medico, ma gli organismi dirigenti del Ps di Caserta difficilmente reagiranno pubblicamente avendo già conferito con la mgaistratura inquirente, alla quale è stata consegnata l’intera documentazione, l’intero fascicolo sull’attività svolta in occasione dell’arrivo dell’avvocato Massimo Golino nella struttura di emergenza dell’ospedale civile del capoluogo.

Fermo restando che la vicenda andrebbe gratificata, a questo punto, con il doveroso approdo alla dignità del silenzio, anche e soprattutto nel rispetto della memoria di Massimo Golino, ma, per nostra esperienza riteniamo che una famiglia non abbia come unica sua carta a disposizione, per un ricovero coattivo di un proprio componente, quella costituita da una decisione di imperio assunta da un medico del Pronto soccorso.

Ricordiamo che il Tso è un percorso amministrativo stabilito espressamente dalla legge. Quando una famiglia ritiene che ci sia un congiunto non in grado di essere autonomo e autentico nell’elaborazione dei propri pensieri, che abbia perso temporaneamente la capacità di intendere e di volere, al punto da volersi togliere la vita, può chiedere che le autorità di polizia propongano il Trattamento sanitario obbligatorio, atto amministrativo la cui firma, cioè l’ultima decisione, spetta al sindaco, massima autorità sanitaria del Comune in cui il paziente è residente. Probabilmente nella sua lettera Caterino ha dimenticato una cosa. Tutt’altro che un dettaglio, tutt’altro che irrilevante. Se, infatti, ha scritto che il medico del Pronto soccorso si è limitato a consigliare una visita psichiatrica, non ha scritto, sicuramente per dimenticanza, che quello stesso medico, aveva anche indicato alla famiglia di Golino la necessità di tenerlo continuamente sorvegliato, continuamente sotto controllo oculare. Un’indicazione presente in quel referto e oggi ben conosciuta dai magistrati della Procura i quali, se da un lato stanno valutando la rispondenza del comportamento di quel medico ai protocolli e, dunque, ai suoi doveri professionali, in funzione del trattamento adottato nei confronti di Massimo Golino, dall’altro lato stanno anche verificando se la famiglia abbia dato riscontro all’indicazione fornita di esercitare un controllo a vista del professionista marcianisano. Proprio quell’indicazione del medico, infatti, e della sua difficoltà di concreta realizzazione (cisto che per una famiglia non è certo agevole tenere sotto controllo “a vista” un suo componente adulto), avrebbe potuto costituire il punto di partenza di una procedura di Tso finalizzato a proteggere la vita dell’avvocato. Quindi, come sempre capita, gestire situazioni di questo genere è molto difficile, in quanto l’affetto, l’attaccamento familiare ad un fratello, ad un cognato, molto spesso – e nessuno deve farsi maestro in queste cose, perché si tratta di un fatto umano e comprensibile – si scontra con la difficoltà di far passare questo tipo di patologie per quelle che sono, ossia una malattia grave, come tante altre malattie gravi esistenti.

Il cosiddetto scuorno rappresenta, a volte, seppur in buonissima fede, in quanto uno ritiene che, tutto sommato, quella persona conosciuta come normale, ordinariamente vitale, non possa arrivare all’idea di uccidersi, un elemento immateriale che incide sulla spietata materialità di un gesto estremo. Ma lo scuorno diventa, tutto sommato, e dopo l’epilogo tragico di un’esistenza, non solo un fattore decisivo, una discriminante che fa pendere la bilancia tra la vita e la morte dalla parte di quest’ultima, ma anche un marchio del rimpianto, del rimorso, che probabilmente aggiungerà dolore su dolore nei parenti di Massimo Golino, segnando per sempre anche le altre vite all’interno della stessa famiglia.

Ecco perché, a questo punto, sarebbe opportuno proteggere con il silenzio non solamente la memoria dell’avvocato marcianisano, ma anche tutto ciò che ha costituto il contorno della sua tragica fine.