LE CONFESSIONI DI NICOLA SCHIAVONE. 600 mila euro di estorsioni su tre appalti di S.MARIA C.V. Il ruolo di Alfonso Salzillo e…
18 Ottobre 2018 - 12:29
SANTA MARIA CAPUA VETERE – (g.g.) Tutti i nodi vengono al pettine. Siamo ormai troppo esperti per rivangare, per praticare un’attività che un giornalista vero non deve fare, perchè sa che ognuno nell’impari lotta tra chi imbroglia, ruba, delinque e chi invece prova a denunciare tutto ciò, ognuno fa la sua parte per quello che ha deciso di fare nella propria vita, ma, almeno questo ce lo possiamo permettere.
Chi ha seguito negli anni CasertaCe e i miei articoli, sa che ho sempre ritenuto Alfonso Salzillo un imprenditore e un politico altamente pericoloso.
Niente di personale, come sempre. Solo che il lavoro di analisi, le 100 persone che ascoltavamo per costruire articoli seri che andassero a sindacare in maniera imparziale sull’operato di tutte le amministrazioni comunali, avvicendatesi dal 2000 in poi, portavano immancabilmente a questo nome quando si affrontava l’argomento di certi cantieri, di certi lavori, di certe concessioni.
Lui non ha mai querelato e questo ha sempre rappresentato per me un indicatore chiaro di quella scelta di vita di chi riconosce di fare un lavoro sporco, ma che riconosce anche, tutto sommato, e più lealmente rispetto ad altri personaggi che le querele le fanno e certo non sono meglio di Alfonso Salzillo, che ci siano persone, professionisti, un solo giornalista in questa provincia che come una sorta di Wisenthal va a caccia di cattivoni assortiti.
Oggi siamo a una svolta. Perchè nell’ormai famoso verbale, depositato dalla Dda negli atti dell’udienza preliminare del procedimento The Queen, Nicola Schiavone si sofferma con grande precisione su quello che è stato il rapporto tra il clan dei casalesi e la città di Santa Maria Capua Vetere.
Alfonso Salzillo viene definito, dal figlio di Sandokan, come “il tramite tra noi, cioè il clan dei casalesi) e l’amministrazione comunale.”
Attenzione: Nicola Schiavone racconta di cose risalenti al primo decennio di questo secolo, perchè, è lui stesso a precisarlo, nel 2010 fu arrestato e andando in carcere non potette svolgere i suoi molti compiti criminali tra cui c’era anche quello riguardante il controllo diretto della ricca piazza di Santa Maria, storica roccaforte del gruppo Schiavone, che l’aveva controllato con i capi zona, prima con Augusto e Cesare Bianco e, successivamente, con Vincenzo Conte, nas e’ can, il quale non a caso fa parte del commando che ammazza Sebastiano Caterino nel 2005, quando l’evraiuolo si stava “allargando” conquistando spazi, che la famiglia Del Gaudio-Bellagiò aveva sempre avuto in subappalto dagli Schiavone i quali avevano consentito ai Del Gaudio e alle Del Gaudio di controllare il traffico degli stupefacenti.
Ma dopo Vincenzo Conte, è Nicola Schiavone che, direttamente, acquisisce il controllo di Santa Maria Capua Vetere. Per cui, mettendo in relazione i tempi, si può immaginare che Nicola Schiavone svolse questo ruolo dal 2007, forse 2008, fino al 2010.
Per cui, Alfonso Salzillo sarebbe stato il tramite con l’amministrazione comunale di quel periodo, cioè quella guidata dal sindaco Giancarlo Giudicianni, con componenti non identificati della stessa. Sono due gli appalti da cui il clan dei casalesi fa discendere laute entrate, a titolo di pizzo estorsivo.
Attenzione, il figlio di Sandokan spiega le modalità, il meccanismo con cui queste tangenti venivano pagate e si capisce che tante cose erano cambiate e in qualche modo si erano modernizzate nei rapporti triangolari tra clan, politici e dirigenti dei comuni e imprese vincitrici delle gare di appalto.
Quando, infatti, il magistrato che lo interroga gli domanda se conosce l’impresa di Rino Dimola, il boss risponde che questo cognome non gli dice niente. E probabilmente afferma la verità, perchè lui e il clan che comandava, non si concentravano a Santa Maria Capua Vetere su chi faceva i lavori; non andavano a bussare all’imprenditore, com’è successo, invece, negli anni precedenti in maniera consuetudinaria.
Stipulavano, invece, una sorta di accordo quadro con l’amministrazione, la quale, dichiara il pentito “decideva chi doveva aggiudicarsi la gara, mentre noi stabilivamo il prezzo della tangente estorsiva.”
E così, il ricordo di Nicola Schiavone ritorna nitido quando il pm che lo interroga gli cita palazzo Cappabianca. Schiavone ricorda tutto, perchè lui andò a trattare, attraverso un mediatore o più mediatori con chi, nel comune aveva la potestà per decidere certe cose, i soldi che il clan avrebbe dovuto introitare. E non gli interessava chi li tirasse fuori, purchè uscissero. Nel caso dei lavori di Palazzo Cappabianca, 200 mila euro suddivisi in diverse rate, di cui il pentito dice di aver controllato la riscossione, fino al momento del suo arresto e di non sapere se le rimanenti sono state poi versate.
200 mila euro per palazzo Cappabianca e altri 200 mila euro per un secondo appalto “su un altro edificio di Santa Maria” dichiara Schiavone al pm.
In realtà, nel verbale, il figlio di Francesco Schiavone Sandokan parla di tre appalti per i quali sono state concordate altrettante tangenti di 200 mila euro. Ma le dichiarazioni sul primo di questi sono totalmente “omissate” perchè è chiaro che la magistratura inquirente cerca di secretare fatti per i quali sta indagando.
Dei rapporti con i fratelli Bretto, uno dei quali è imputato nel processo The Queen, scriveremo nel pomeriggio.