Le omelie di don Franco: “Nel più freddo avaro, nel cuore della prostituta, nel più disonesto ubriaco, c’è un’anima immortale…”
25 Agosto 2019 - 15:42
Prima lettura: Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli (Is 66, 18). Seconda lettura: Il Signore corregge chi ama (Eb 12, 5). Terza lettura: Sono pochi o molti quelli che si salvano? (Lc 13, 22)
La domenica “della porta stretta”. La domanda sul numero degli eletti ha tormentato tutte le generazioni. Nel vedere gli uomini vivere le loro miserabili esistenze, si ha motivo di chiedersi quanti sono quelli che desiderano salvarsi, e quali sono quelli che meritano la vita eterna. E tuttavia, nel fondo di queste coscienze spente si muove una potenza straordinaria di interrogazione, di aspirazione, di elevazione. Quante persone odiose, acide, scostanti … non sono che povere creature senza aiuto, che vi supplicano di essere aiutate; persone (in latino significa maschera!) aggressive, autoritarie, sfolgoranti sul cattedrino del potere, in realtà hanno paura e si augurano che qualcuno le liberi. La carità non è una pia cecità o una religiosa sordità; è una passione, una superiore lucidità; è vedere il prossimo come è realmente, abitato da Dio, nonostante il peccato, tentato da Dio che cerca di farsi sempre più strada nell’uomo. Quanta gente non è in grazia, ma è minacciata dalla grazia, percorsa da questo paziente, immenso amore di Dio. P. Claudel bene ha scritto: “Nel più freddo avaro, nel cuore della prostituta, nel più disonesto ubriaco c’è un’anima immortale, santamente occupata a respirare e che, esclusa di giorno, pratica l’adorazione notturna”. Nessuno può giudicare definitivamente un uomo, nessuno sa quello che esiste nell’uomo, se non Colui che crea e ama l’uomo. In ogni uomo, perciò, esiste sempre più futuro che passato. Saranno pochi gli eletti, come sostengono i giansenisti? La cosa più ripugnante è che essi abbiano creduto che Dio ha predestinato all’inferno la maggior parte degli uomini (massa damnationis!), e che essi erano i predestinati a una salvezza così arbitraria e ad un cielo così poco popolato! Esistono persone spregevoli che godono di essere salvate solo se gli altri sono perduti. Quanto più nobile, in confronto, il rifiuto di C. Péguy a salvarsi da solo: “Finché c’è un uomo fuori, la porta che gli è chiusa in faccia, chiude una città di ingiustizia e di odio”.
“Io verrò a radunare tutti i popoli”. Gli israeliti erano convinti di essere gli unici preferiti davanti a Dio; si consideravano i giusti e avevano stabilito leggi severe per impedire amicizie e matrimoni con gli altri popoli (Dt 7,1-8). Gli avvenimenti della storia si sono incaricati di sgretolare questa presunzione; durante l’esilio a Babilonia hanno dovuto riconoscere che, se erano stati castigati duramente da Dio, questo significava che non erano poi tanto giusti e soprattutto che anche tra i non-ebrei c’era tanta gente simpatica e buona. E’ in questo periodo che sorge l’idea che Dio è padre universale di tutti i popoli. Un profeta (il Tritoisaia?) registra questa conquista teologica, fino ad annunciare qualcosa di inaudito: gli stranieri saranno tanto devoti a Dio che egli li sceglierà, a preferenza degli stessi ebrei (v.9). E infine – una promessa scansalosa – anche tra i pagani il Signore si sceglierà sacerdoti e leviti (v.21).
“Sono pochi quelli che si salvano?”. E’ una domanda alla quale Gesù non risponde. Ci sono domande alle quali non risponde, perché la semplice curiosità non merita nessuna risposta A questa domanda, in cui ha più posto la curiosità che la volontà di convertirsi, Cristo risponde in maniera ambigua. Non accontenta la nostra curiosità, ma ci invita a scegliere il bene con perseveranza. Da una parte afferma l’amore di Dio e la sua volontà di salvezza: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio suo nel mondo”. E d’altra parte ci mette in guardia: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. Come conciliare queste affermazioni? Questi due testi non si contraddicono, ma lasciano tra loro un margine, una indeterminazione che è proprio il campo della nostra azione. Se ci fossero state più precisazioni, saremmo scoraggiati dall’agire, o per disperazione o per presunzione. Sarebbe la fine per la nostra responsabilità sapere che tutti sono salvi o che tutti sono dannati. Cristo ci annuncia solo che la salvezza è offerta a tutti, poiché è Dio Padre che la propone, ma che può essere rifiutata poiché è l’uomo libero che ne dispone. Era necessario lasciarci in questa incertezza per impegnarci a lavorare per la salvezza nostra e altrui. Vi è tuttavia una precisazione che Cristo ritiene essenziale: la salvezza non si deciderà in base alle relazioni di familiarità con lui, ai diritti ereditari, all’appartenenza biologica, ad attività religiose … ma unicamente in base al compimento della volontà del Padre. Non sarà il semplice adempimento degli atti cultuali più sacri in religione che automaticamente ci salveranno, ma l’obbedienza al grande comandamento di Cristo: “Amatevi gli uni gli altri!”. Meno futurologia, quindi, e più servizio. Porre la questione teorica del numero dei salvati non serve a nulla. Che la porta della salvezza sia stretta, lo sappiamo. Ciò che conta è vigilare sino alla fine, perché non c’è prenotazione che ci garantisca un posto nel regno di Dio.
“Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. La Bibbia è un libro religioso, la sua verità è di tipo religioso e non scientifico; essa ci vuole insegnare non come vanno i cieli, ma come si va in cielo. La fede non risponde alle domande curiose; essa dà certezza, ma non sempre dà chiarezza; la fede è anzi un cammino nel buio, fa comprendere la piccolezza dell’uomo e la gioia di essere salvato da Dio. Gesù non risponde alla curiosità di quel tale, ma sposta l’attenzione sul vero problema: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta” (Lc 13, 24). Non importa sapere quanti si salvano, ma come ci si salva. E’ una persona leale: “La porta è stretta”. Gesù non ci attira con gli specchietti né con la demagogia. Una persona diventa adulta nella fede quando la croce non scandalizza più, ma diventa cammino quotidiano con Cristo. Lo hanno capito i santi. Dopo avere ricordato questa esigente verità, Cristo sviluppa una conseguenza: se la porta della salvezza è stretta, allora tutte le strade larghe non portano a Dio. Neppure quelle che portano in chiesa, per ricevere i sacramenti, perché siamo salvati dall’amore reale e non dalle belle parole: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Via da me, operatori di iniquità” (Lc 13, 26). Mangiare e bere il corpo e il sangue del Signore ogni domenica, ascoltare la sua parola, moltiplicare le preghiere è importante ma non è ancora decisivo. Alla liturgia va unita la vita, la religione deve innervarsi nell’esistenza, la preghiera deve fiorire in carità. L’accento cade tutto su quell’operare, che significa esistenza coerente, amore di Dio e servizio del prossimo. Non è necessario essere cristiani per essere morali. E’ vero che non tutte le religioni sono uguali, ma è anche vero che la chiesa non coincide con il regno di Dio: si può appartenere alla chiesa e non al Regno universale di Dio. Ogni chiesa è come un dito puntato verso Dio. Strumento, via, sacramento e niente altro! Adorerai solo il Signore! E per rovinare ancor più i nostri sonni tranquilli, Gesù aggiunge che un cristiano può essere condannato, mentre può essere salvato un non-cristiano. La strada di Dio è aperta a tutti, nessuno è escluso, nessuno è privilegiato.
Gesù non vuole spaventare nessuno con la minaccia dell’inferno. La sua condanna è contro la vita tiepida, ipocrita, egosista. Luca – forse a malincuore perché non è nel suo stile – ha introdotto nel suo vangelo questo testo, ma, a differenza di Matteo che conclude in modo cupo e minaccioso (saranno cacciati fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti: Mt 8,12), Luca chiude la parabola con la scena della festa e del banchetto e con la frase signficativa: Ecco, ci sono ultimi che saranno i primi e ci sono primi che saranno ultimi (v.30). Alla fine quindi tutti verranno accolti, anche se, purtoppo gli ultimi avranno perso l’opportunità di gdere dall’inizio delle gioie del banchetto del regno di Dio. Non è la stessa cosa arrivare all’inizio del banchetto o arrivare alla fine!
E’ utile ricordare la scena del giudizio finale descritta da Matteo, nel capitolo 25: non solo tutti quelli che hanno accettato esplicitamente il Cristo (solo in Cristo c’è salvezza: “Io” ero malato …), ma anche chi lo ignora (“Quando ti abbiamo visto malato?”). Non saremo esaminati sulla teologia ma sull’antropologia, non sulle ore di adorazione ma di servizio, non sulle vesti liturgiche ma sul grembiule, non sulle annunciazioni ma sulle visitazioni. Noi possiamo anche distinguerci e distinguere (frontiere, bandiere, religioni, libri sacri, luoghi di culto, teologie, codici canonici, tradizioni, lingue, simboli, liturgie, preghiere, …); è anche un bene, perché questa diversità è sinonimo di ricchezza. Ogni spirito loda il Signore come sa! Le diversità diventano un pericolo per l’uomo e un’offesa per Dio quando subentra l’arroganza, l’intolleranza, il rifiuto delle minoranze e delle diversità. Noi cristiani abbiamo molte cose da farci perdonare. Papa Giovanni Paolo II lo ha fatto, e con molto coraggio! Il cristianesimo è entrato nel mondo come un piccolo gregge; Paolo si chiedeva dove fossero nel cristianesimo i sapienti e i potenti; poi il cristianesimo ha cercato l’affermazione, il potere, il primato; da “religione tollerata” sotto Costantino, è diventata unica “religione di stato” sotto Teodosio. Il concetto di tolleranza lo dobbiamo agli illuministi; a tanti teologi dobbiamo i Tractatus adversus; a tanti imperatori e papi dobbiamo il ghetto, le scomuniche, le crociate, le persecuzioni.
Gli eletti, i salvati, sono gente invisibile. Nessuno li conosce. Ritorniamo tutti a casa, alla fine di una giornata, ciascuno con la propria vita, i propri affanni, le proprie speranze. I nostri volti si somigliano, i nostri corpi sono simili, eppure ciascuno nasconde un segreto: quanti di noi si salveranno, e chi, e perché? Forse quell’uomo preoccupato, quella donna sorridente, quel bimbo che gioca, quel mendicante triste, quel vigile urbano, quel marocchino che vende accendini, quel ragazzo in bici, quel vecchio che fuma? Chi di costoro sta davvero bussando a quella porta stretta, chi siederà a mensa nel regno di Dio? E’ domenica. Entriamo in chiesa: i fedeli cantano, pregano, si confessano, ricevono il Signore … Forse questi fedeli cristiani si salveranno? Mai come oggi è ignoto chi siano gli eletti. Il nostro oriente e il nostro occidente non sono più una dimensione geografica ma spirituale. Cristiani per nascita, per anagrafe, per abitudine, supponiamo di avere un posto nel cielo, ne siamo tanto certi che non ci pensiamo, e intanto l’esercito degli sconosciuti ci precede. Ricordo un fatto di cronaca: una madre si uccide sotto un treno con i suoi due bambini. Era disperata! Si nega loro la funzione religiosa, il portone della chiesa non si apre per loro. Ma forse si apre proprio quella “porta stretta”, che introduce nel regno di Dio. Forse i grandi occhi tristi di Dio guardano là dove noi non sappiamo, dove i nostri cuori inariditi non osano spingere lo sguardo. Dagli uomini quella madre è stata condannata, ed è stata assolta da Dio! Buone Vacanze e Buona vita!