La domenica di don Franco: “Parlare di perdono come virtù privata, senza rapportarlo ai grandi temi della giustizia, della libertà, del diritto…nelle delizie della solitudine…” un errore

23 Febbraio 2020 - 10:17

23 febbraio 2020 – VII Domenica del Tempo Ordinario /A

PERDONARE È SEMPRE UNA VIRTÙ?

riflessoni politematiche – gruppo biblico השרשים הקדושים

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Siate santi!     Nel linguaggio corrente, il santo è colui che ha condotto una vita esemplare, è andato in paradiso e, se pregato con fede, può fare miracoli. In realtà nella Bibbia, santo è tutto ciò che è “separato e consacrato a Dio”. Erano santi i templi perché distinti, ritagliati dal mondo profano e riservati alla divinità. Varcare la soglia di un santuario era entrare nel mondo di Dio, per questo era necessario sottoposti a complicati riti purificatori. Il luogo santo godeva i privilegio della extraterritorilità: un criminale nel luogo santo non poteva essere preso dalle forze dell’ordine. Cosa intendeva il Signore quando comandava al suo popolo di essere santo? Non sappiamo il pensiero di Dio, ma sappiamo bene come lo hanno inteso gli ebrei: per loro essere santi significava evitare ogni contatto con i diversi per il pericolo dell’idolatria: per questo hanno moltiplicato i divieti, come contrarre matrimoni misti, entrare o mangiare in casa di stranieri, stringere la mano a un pagano… In realtà, il brano di Levitico 19 fa capire che la santità voluta da Dio è molto diversa da quella immaginata dagli uomini: una vita santa è “diversa” non perché separata e consacrata a Dio, ma perché attenta all’umano: onorare

il padre e la madre, non odiare il fratello, rinunciare al rancore, amare il prossimo come se stessi (Lv 19,17-18). E la tentazione continua: pensare di trovare Dio in un luogo sacro pieno di giocattoli religiosi, gestito da un gruppo religioso che trasforma quel luogo di culto in macchina per fare soldi! Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti!

Occhio per occhio…   Gesù parla della “nuova” legge dell’amore. La “vecchia” legge cercava di contenere la vendetta nei limiti della perfetta parità (occhio per occhio, dente per dente); la nuova legge chiede al discepolo di Cristo di rinunciare anche al proprio diritto, per imitare la pazienza di Dio con noi. E’ così che Cristo e il cristiano spezzano in se stessi la spirale della violenza. Il perdono è difficile, difficilissimo; occorre una grazia speciale di Dio. Perdonare è somigliare a Cristo! Se conserviamo odio, non dobbiamo scoraggiarci, ma pregare di più; in quella preghiera calma, silenziosa, a tu per tu con Dio, sentiremo a poco a poco placare l’odio, rinunzieremo alle meschine vendette, muoveremo il primo passo. Nella preghiera non accetteremo come definitiva la situazione di ingiustizia, ma cercheremo di farla evolvere, di fluidificare i sentimenti irrigiditi. Il passato insomma passa! Sotto il cielo nessuna situazione è immutabile. Il perdono rappresenta la novità. Chi rompe i circoli chiusi dei nostri bisticci, fa qualcosa di nuovo, come il Padre: Dio non fa piovere solo sui giusti, altrimenti la terra sarebbe già da tempo un deserto; Dio non illumina solo i giusti, altrimenti staremmo al buio tutta la vita. Occorre rompere la concatenazione degli atti violenti con un fatto nuovo.

Il perdono è la novità    Saper perdonare è porre un atto nuovo. Niente di più rivoluzionario di un perdono sincero. Tutti abbiamo la vecchia abitudine di comportarci come le scimmie. Mi ha fatto questo? Lo ripago con la stessa moneta. Non usciremo più da questo cerchio infernale! La storia, finché andrà avanti con la logica dell’occhio per occhio, sarà ferma, stagnante; i giornali sforneranno quotidianamente notizie clamorose … in realtà non succederà nulla di nuovo. La novità è e sarà sempre rappresentata dall’amore, l’unica energia in grado di cambiare il mondo e la vita. I semplici e i puri di cuore comprendono bene questa grandezza e debolezza della parola di Dio. Essi passano per stolti, ma quanta sapienza in questa stoltezza! Beati coloro che credono nell’onnipotenza dell’amore, senza mai fare dell’amore la nebbia rosea che copre situazioni ingiuste, come abbiamo fatto nel passato! Chi decide di non vincere con la violenza, è grande, perché egli salva la speranza che forse oggi non conta niente, ma che domani, quando avranno vinto i giusti, sarà il pane necessario. Personaggi non cristiani come Gandhi e Luther King hanno visto in questa pagina di Vangelo un programma molto positivo. La “ahimsa” (non-violenza) è stata utilizzata per realizzare anche grandi rivoluzioni politiche, come in India contro gli inglesi. Le parole di Cristo non sono norme precise, regolamenti definiti; sono piuttosto degli orientamenti che indicano il senso della ricerca. Con il Vangelo siamo in piena pedagogia della creatività; occorre immaginazione; la carità è un’avventura che ci porta di scoperta in scoperta.

Dalla “lex talions” alla “lex cordis”  In continuità con la domenica precedente, Gesù completa la serie delle sue antitesi: “E’ stato detto … Ma io vi dico”. Gesù non vuole abolire la Legge di Mosè, ma solo condurla a quella pienezza che essa conteneva solo in seme. Il primo superamento riguarda la nota “legge del taglione”, formulata in Esodo con l’incisiva immagine dell’occhio per occhio, dente per dente, che nell’originale continua con questo implacabile elenco: “vita per vita, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido” (Es 21,23). “Legge del taglione” è una locuzione che deriva dal latino “ius talionis”, pena consistente nell’infliggere al colpevole una lesione (o taglio) uguale a quella provocata. Lo “ius talions” era già presente nell’antica legge delle Dodici Tavole e nel Codice babilonese di Hammurabi, 1700 anni prima di Cristo. Nella realtà, la morale del taglione era molto attenuata in Israele: l’accomodamento, l’indennizzo, il risarcimento … erano la prassi normale. Spesso calunniata dai cristiani quasi fosse una legge di vendetta, essa è invece un preciso strumento di equilibrio giuridico. Ma Gesù propone al suo discepolo un colpo d’ala, una vigorosa sterzata, per passare dal piano della legge a quello dell’amore. E’ il rifiuto della vendetta, ma anche della legge, per un nuovo rapporto umano con il nemico; sono celebri i tre esempi che porta Gesù per farci convincere: porgere la guancia, cedere il mantello, camminare con il nemico.

Amare il nemico: una follia per la ragione!  L’amore del prossimo non era del tutto sconosciuto nel mondo antico; anche il saggio cinese Confucio, Buddha, il rabbino Hillel, il platoneggiante Filone, Odisseo nell’Aiace, Socrate, Seneca, Epitteto, Diogene… hanno invitato ad amare il prossimo, ma nessuno raggiunge l’altezza eroica di Gesù: nella sua formulazione, nel suo contenuto, nella sua esigenza, Gesù è davvero rivoluzionario! Il suo comandamento è nuovo per il suo “universalismo orizzontale”, nel senso che non conosce confini di razza o di religione; è nuovo per la sua “estensione verticale”, cioè per il suo modello di riferimento: “Amatevi come io vi ho amati”; è nuovo infine per la sua “motivazione profonda”: amare con disinteresse, senza ombra di compenso, sull’esempio di Dio che fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti. Questa pagina di Vangelo è davvero la Magna Charta della terza razza umana: la prima fu quella della bestia senza legge, la seconda fu quella dei barbari dirozzati dalla legge, la terza è quella dei veri credenti, che si lasciano guidare dall’amore. Amare il nemico sembra follia per la ragione; questo vuol dire che la nostra salvezza è nella follia, nella follia della croce. E’ la logica di Dio. Del resto abbiamo sperimentato la legge, e abbiamo constatato che “summum ius summa iniuria”; abbiamo sperimentato la ragione, e quanti delitti abbiamo commesso in nome della dea Ragione e degli immortali principi. Gesù ci propone un’ultima chance: amare, costruire la civiltà dell’amore. L’unico modo per interrompere il ciclo diabolico della violenza è il perdono. Se alla violenza si reagisce con altra violenza, non solo non viene eliminata la prima ingiustizia, ma se ne aggiunge un’altra. Questo circolo può essere spezzato solo con un gesto originale, nuovo: il perdono!

Perdonare: una regola irrinunciabile per Gesù  Con il Vangelo di oggi siamo davanti a delle esigenze tanto alte, che sembrano superare le nostre possibilità. Chi riesce a porgere l’altra guancia appena ricevuto uno schiaffo? Chi riesce ad amare il nemico e a pregare per lui? Sì, pensiamo a qualche rara eccezione, come ai martiri, a Francesco di Assisi che considerava “perfetta letizia” essere bastonato dai suoi frati, di notte, in pieno inverno; pensiamo a qualche teorico della non-violenza finito male, come a M. L. King o a Gandhi. Ma gli altri? I cristiani del medioevo, durante le crociate, hanno praticato, e meglio degli ebrei, la legge dell’occhio per occhio, per cui san Bernardo poteva scrivere al papa: “Io morirò nell’odio dei nemici della Chiesa”; e Dante poi applicherà la norma del contrappasso più spietato nell’Inferno. Il Vangelo parla di uno schiaffo ricevuto, di una tunica contesa, di un seccatore che non ti molla … Ma nel mondo c’è ben altro, e Gesù lo sapeva. Le sue parole non vanno prese alla lettera. Anch’egli, quando ha ricevuto lo schiaffo, non ha presentato l’altra guancia, ma ha protestato (Gv 18,23). Davvero Gesù pensava che dovremmo amare un Hitler o uno Stalin o un Saddam Hussein? Che davvero le vittime dei lager dovrebbero amare i loro aguzzini? Sì, per quanto terribile, questa regola è per Gesù irrinunciabile. Anche perché egli stesso ce ne ha dato la prova dalla croce: “Padre, perdona loro!”.

Perdonare sempre è una virtù?  L’amore verso i nemici costituisce una fra le più vistose caratteristiche della morale evangelica. Ma, come spesso capita, più alta è la meta indicata, più meschina appare la realizzazione: esiste una scandalosa discrasia fra ideale e reale, fra volontà volente e volontà voluta. Certo, tanti cristiani, lungo la storia della Chiesa, hanno realizzato la Parola di Cristo, e l’agiografia è piena di gesti di riconciliazione. Ancora oggi, ricordiamo il perdono di Maria Fida Moro, del figlio del giudice Chinnici e Bachelet, del Papa verso il suo attentatore turco … Ma la storia “cristiana” è anche piena di testimonianze negative: l’imperialismo economico, lo sfruttamento del Terzo Mondo, l’industria della guerra e del vizio sono opera di cristiani e dell’Europa cristiana. Oggi, parlare di perdono è diventato difficile. Siamo stati testimoni di terribili delitti, commessi in nome della religione e degli immortali principi. A. Hitler (certo è un caso limite!) nel suo Mein Kampf scriveva di essere convinto di operare “in conformità con l’Eterna Volontà che domina l’universo”; i commentatori cattolici della legislazione nazista si richiamavano alla “fede incrollabile di agire secondo il disegno dell’On­nipotente”; e al processo di Norimberga, alcuni generali nazisti, per scusarsi, si appellarono al pensiero di Martin Lutero!

Ci sono oggi sommovimenti nella società, che coinvolgono ceti che vivevano, sino a ieri, nella mitezza rassegnata. Pensate alla millenaria pazienza con cui il mondo femminile ha perdonato le prepotenze maschili. Un discorso cristiano sul perdono sembra ratificare e legitti­mare una mitezza rassegnata alla dipendenza ingiusta. Che significa, ad esempio, predicare il perdono e insieme l’uguaglianza? Pensate ai popoli del Terzo Mondo: che significa predicare agli oppressi il perdono, mentre essi acquistano coscienza dei loro diritti? a quello che è avvenuto in passato nelle chiese e nel conventi: i cristiani parlavano di perdono e di amore per il nemico, e intanto preparavano la guerra, organizzavano crociate, roghi e inquisizioni. Si era relegato il Vangelo nel privato, e la storia degli uomini era stata abbandonata alla iniquità della prepotenza. Noi, oggi, non possiamo più accettare questa divisione; il nostro compito è di comprendere il senso universale della Parola di Dio, Parola che siamo stati abituati a consumare nelle delizie della solitudine. Buona vita!