DA PRENDERE CON LE MOLLE. Ora il pentito Francesco Zagaria, Ciccio e Brezza, fa anche il nome di Stefano Graziano sulla vicenda di palazzo Teti Maffuccini. Non ci convince, ecco perchè

4 Agosto 2021 - 22:03

SANTA MARIA CAPUA VETERE(g.g.) Quando un collaboratore di giustizia parla con i magistrati dell’accusa, la maggior parte di ciò che dice non viene reso pubblico. Di solito, per sapere qualcosa bisogna imbattersi nei passi di quelle ordinanze, con cui un giudice decide di applicare misure cautelari più o meno restrittive della libertà personale di uno o più indagati  corroborate da dichiarazioni dei pentiti, utilizzate a supporto delle richieste formulate dai pubblici ministeri e riscontrate totalmente o parzialmente dai gip.

Se poi si ha la pazienza di aspettare qualche anno, i verbali di interrogatorio disponibili per la pubblica lettura aumentano significativamente. Ciò perchè questi vengono calati dai pubblici ministeri in processi che hanno contribuito ad istruire, magari quando quel dato camorrista o presunto tale non si era ancora pentito. Dichiarazioni che, ad avviso del pm o del pm, impegnato o impegnati  in quel dato processo, vanno  a rafforzare, a consolidare  il cosiddetto impianto accusatorio.

Così è successo ultimamente con le fluviali dichiarazioni di Nicola Schiavone, applicate in pratica anche nei dibattimenti riguardanti le contravvenzioni stradali, così sta capitando per Ciccio e Brezza al secolo Francesco Zagaria, sedicente esponente di punta del clan dei casalesi, naturalmente per la fazione di Michele Zagaria. 

Nelle ultime settimane sono diversi i verbali di interrogatorio di Ciccio e Brezza arrivati nei molti processi che si stanno celebrando nel primo o nel secondo grado di giudizio.

Uno di questi lo abbiamo intercettato anche noi visto e considerato che è diventato pubblico a tutti gli effetti. Diciamo subito che non ha determinato in noi un ripensamento sulle forti perplessità espresse da questo giornale e integrate da ampie motivazioni e da speculari argomentazioni, sulla genuinità del suo contributo.

Al contrario, avendo letto solo il primo passo di questo nuovo interrogatorio mai pubblicato precedentemente, la nostra perplessità procede dinamicamente e ineluttabilmente verso la convinzione.

Francesco Zagaria dice chiaro e tondo che a lui la politica e piace che lui la seguiva.  Questo, dunque, potrebbe rappresentare una delle spiegazioni possibili sul fatto che spesso e volentieri il pentito di Casapesenna trapiantato a Capua incroci correttamente i contesti storici e le cornici che strutturavano il quadro politico dei tempi di cui lui parla. Ma andiamo per ordine: quando narra di un incontro che sarebbe avvenuto nei pressi della stazione ferroviaria in Capua con Alessandro Zagaria è molto probabile che racconti un fatto veramente accaduto. Fino ad oggi, però, Alessandro Zagaria è risultato agli occhi dei giudici, di solito severi, del tribunale di Santa Maria Capua Vetere un millantatore più che un camorrista, tant’è vero che a fronte della pesantissima carcerazione preventiva, subita in un carcere della Sardegna, la sua condanna in primo grado, ben più lieve rispetto a quanto aveva richiesto il pubblico ministero, solo per corruzione in concorso, escludendo categoricamente l’aggravante camorristica.

Il fatto che, come racconta Francesco Zagaria, i due abbiano potuto parlare del progetto di ristrutturazione dell’ormai famosissimo palazzo Teti Maffuccini,  è pure  parimenti verosimile, anzi probabile. Che questo, però si sia potuto tradurre nella costruzione di una tela relazionale, che avrebbe coinvolto anche livelli politici, ce ne passa, dato che per giunta la sentenza di primo grado lo ha categoricamente escluso.  Francesco Zagaria fa il nome dell’allora sindaco Biagio Di Muro.  Ma dice di non “avergli dato niente“. Indica, poi, in Alessandro Zagaria colui che avrebbe dovuto fare da tramite. Ed anche questo è probabile che il giovane rampante di Casapesenna, in questo caso trapiantato a Santa Maria Capua Vetere,  gli abbia effettivamente detto, gli abbia garantito. Ma queste sono le costruzioni che già il giudice di prime cure ha scartato nel momento in cui ha escluso che Alessandro Zagaria potesse essere il gran tessitore dei rapporti tra la camorra che Francesco Zagaria dice, ripetiamo dice lui, di aver rappresentato e i livelli politici.

Nella chiacchierata tra  “Zeta più Zeta” viene fatto anche il nome di Stefano Graziano. Rispondendo al pubblico ministero che lo interroga, lo Zagaria lo individua genericamente come politico,” consigliere o assessore regionale“. Non lo definisce, dunque,  con precisione ma con quella infarinatura di cognizioni che dichiara di avere in quanto appassionato di politica, gli permette di collegare Graziano alla Regione Campania. Non è improbabile che Alessandro Zagaria abbia detto a Francesco Zagaria che era stato proprio Stefano Graziano “a far arrivare il finanziamento per palazzo Teti Maffuccini” intervenendo in concordia con il faccendiere Laregina, l’architetto che fa da perno a tutti i filoni dell’indagine denominata The Queen. Ma il fatto che Alessandro Zagaria abbia potuto raccontare questo a Ciccio e Brezza non vuol dire assolutamente, anche sulla scorta della sentenza di primo grado citata che la circostanza  relativa a Stefano Graziano fosse vera.