Dichiarati così, i racconti di Nicola Schiavone junior su Paolo Corvino, Gennaro Mastrominico, Dante Apicella, Giacomo Capoluongo e co somigliano al gioco del Monopoli: “Avevo un milione 200mila euro in contanti”

19 Settembre 2022 - 20:17

Ma non si capisce, poi, che fine abbiano fatto tutti questi soldi. Non si capisce se al suo arresto, avvenuto nell’anno 2010, li abbia fatti disperdere al punto che chi li ha ricevuti non ne abbia mai dovuto rendere conto. Altra vicenda sulla carta interessante, ma da approfondire, altrimenti sopravvivere solamente il suggestivo racconto, è quello dei 7 milioni e mezzo di euro stanziati dal comune di Casal di Principe, tra il 2009 e il 2010, per il piano di riqualificazione

CASAL DI PRINCIPE – (g.g.) Quando si legge un verbale contenente le dichiarazioni di Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan e oggi collaboratore di giustizia, ti viene quasi naturale chiedere, quando lui parla dei soldi anzi della montagna di quattrini che incassava personalmente quale percentuale delle società di fatto a cui lui partecipava insieme a imprenditori di Casal di Principe, di San Cipriano e dintorni, dove diavolo siano finiti tutti questi quattrini.

Il quesito non è retorico, perchè Nicola Schiavone afferma testualmente che quei soldi lui li incassava in contanti e poi li metteva a disposizione, ugualmente in contanti per i vari investimenti. Ad esempio, in un interrogatorio, reso ai magistrati della Dda di Napoli il 18 luglio 2018, cioè alle primissime battute successive alla sua formale acquisizione dello status di collaboratore di giustizia, dice di aver avuto in un certo periodo una dotazione di moneta contante pari a un milione e 200 mila euro. Oh, un milione 200 mila euro che sono più di due miliardi delle vecchie lire.

Suo padre, Francesco Schiavone Sandokan che ha operato ai tempi della lira, non li ha mai tenuti in valigia due miliardi di lire. Può anche darsi che questi soldi siano andati persi nel momento in cui, nell’anno 2010, erano stati consegnati ai vari imprenditori in società con Nicola Schiavone senza che poi questi potesse controllare se fossero o meno fruttati visto e considerato che proprio nell’anno 2010 le manette delle forze dell’ordine si strinsero ai suoi polsi.

Può darsi, ma la questione rimane poco chiara. E si sa che un collaboratore di giustizia può essere considerato credibile nel momento in cui spiega con precisione, logica e soprattutto con una fondatezza riscontrabile, fatti importanti come questo appena citato.

Tornando a testo letterale dell’interrogatorio che pubblichiamo nella sua versione integrale in calce a questo articolo, Nicola Schiavone racconta di essere stato a tutti gli effetti un socio in affari di Dante Apicella detto damigiana, vero punto di riferimento nel settore degli appalti pubblici e con il quale avrebbe concordato il versamento del 10% dei 7 milioni e mezzo di euro dell’appalto per la riqualificazione urbana, bandito dal comune di Casal di Principe, dice Schiavone nel 2009, inizio 2010.

In questo caso è possibile che l’accordo sia rimasto lettera morta anche se cercheremo di informarci sull’esito di quella procedura in modo da capire se Apicella i lavori li fece realmente oppure no. Magari si tratta di dichiarazioni segretate e dunque sarà necessario prodigarci in una nostra indagine giornalistica indipendente.

Di questi 750mila euro, 400mila sarebbero finiti nelle disponibilità personali di Schiavone, il resto cioè altri 350mila nelle casse del clan.

I numeri illustrati da Nicola Schiavone sono vertiginosi: racconta di aver consegnato in modo che fossero adeguatamente investiti, 500mila euro a Giacomo Capoluongo, fratello dell’ancor più noto Maurizio, che i nostri lettori, appassionati di storie di camorra ben conoscono. Questa cifra, Giacomo Capoluongo, avrebbe dovuto gestirla sempre secondo il racconto di Schiavone con Gennaro Mastrominico, condannato in via definitiva con sentenza della Cassazione passata in giudicato, per il reato di estorsione aggravata dall’articolo 7.

Ulteriori 250mila euro Nicola Schiavone sempre rigorosamente in contanti li avrebbe consegnati a Paolo Corvino detto o generale, anche lui colpito successivamente da una condanna per estorsione aggravata dall’articolo 7, altri 100mila euro erano stati consegnati al suo omonimo Nicola Schiavone detto o russo, anche lui noto pregiudicato e oggetto di condanne per camorra, ad epilogo dell’operazione Normandia.

Infine, oltre alla questione del 10% sui 7 milioni e mezzo di euro per il piano di riqualificazione di Casal di Principe, ci sarebbe stato un altro passaggio di danaro tra Nicola Schiavone e Dante Apicella, con il primo che avrebbe consegnato al secondo la cifra di 400mila euro da investire nelle varie procedure riguardanti gare d’appalto bandite da enti della pubblica amministrazione.

Questo stralcio dell’interrogatorio di Nicola Schiavone è stato inserito dentro alla maxi ordinanza, che ne contiene, sostanzialmente, al di là di qualche collegamento, tutto sommato non fondamentale, due. Una ordinanza espone i contenuti del lavoro della Dda riguardo al sistema dei rapporti e degli affari tra Nicola Schiavone senior, il padrino di battesimo del Nicola di cui stiamo parlando in questo articolo, e una serie di manager di stato, largamente corruttibili tra le fila più influenti di Rete Ferroviaria Italiana, l’altra ordinanza, ripetiamo ricompresa in un tutt’uno con quella su monaciello, è dedicata alle attività di riciclaggio del danaro sporco imperniata proprio sulla figura di Dante Apicella.

Ripetiamo, raccontate così, appaiono dichiarazioni un pò campate in aria dato che si parla di cifre enormi di danaro in contanti su cui poi non si registra, almeno nei documenti non secretati una indicazione chiara da parte dello stesso Schiavone, sul destino incrociato da tutti questi soldi che lui dice di aver incassato e di aver reinvestito.

Speriamo di trovare in futuro qualche ulteriore spiegazione o qualche fatto giudiziario che alle dichiarazioni di Nicola Schiavone junior forniscano una più affidabile solidità.

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA