IL FOCUS. JAMBO. Il super business del nuovo multicinema. Per l’architetto dell’amministratore, il Jambo è “nato da un sogno”. E chi è, Martin Luther King?

3 Febbraio 2020 - 18:37

TRENTOLA DUCENTA – Non ci risultava, almeno fino a qualche giorno fa, che le amministrazioni giudiziarie di imprese sequestrate alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra contenessero, tra i loro obiettivi, anche quello di sognare. E invece ci sbagliavamo.
Scrive testualmente l’estroso architetto capuano Francesco De Lucia nella relazione tecnica che accompagna la richiesta, a dir poco anomala, di permesso a costruire di un grande impianto destinato ad accogliere un numero ancora non precisato di sale cinematografiche, come diretta pertinenza del centro commerciale Jambo.
Leggiamo, allora, cosa scrive questo buffo Martin Luther King in salsa capuana: “Il centro commerciale Jambo nasce da un ambizioso progetto imprenditoriale. Nessuna impresa umana è riuscita pienamente nel suo intento, se non è stata generata da un sogno. Un sogno che genera sviluppo territoriale e occupazionale. Grande polo d’attrazione dell’agro aversano, del litorale Domitio, di Napoli e Caserta. Il centro commerciale Jambo è oggi una realtà polivalente , con una grande varietà di offerte di beni e servizi…”.
Dunque, il Jambo è stato prodotto da un sogno imprenditoriale, da un ambizioso progetto.
E ha ragione l’archittetto: non ambizioso, ma ambiziosissimo. Ce ne siamo accorti leggendo la corposa ordinanza del 2015 nella quale veniva descritto, per l’appunto, il sogno di un Anticristo, del fantasmino olografico di colore nero (ricordate quella scena del film “Ghost“?)

del pastore che cambiò la storia della lotta per i diritti razziali degli Stati Uniti?
“I have a dream”.
Michele Zagaria diceva ai suoi amici quando in segreto li portava a visitare il Jambo: vedete, questo è il mio orgoglio, la migliore delle mie iniziative imprenditoriali.

In effetti ci piacerebbe conoscerlo di persona, l’architetto De Lucia. Gli vorremmo domandare com’è possibile che un tecnico, assoldato da un amministratore giudiziario, scriva un incipit di una relazione presentata al Comune di Trentola, definendo il Jambo come una sorta di Disneyland, di meravigliosa creazione dell’uomo in grado di far vincere insieme l’onestà e la visione.
L’inizio di questa relazione tecnica, al momento, merita solo una sonora pernacchia.
E se De Lucia e l’amministratore giudiziaria non sono d’accordo, pazienza, ce ne faremo una ragione.

Questa premessa, che si guadagna una pernacchia, espressione tanto fragorosa quanto platonica del pensiero umano, diventa la ragion d’essere, questa sì pericolosa, di una considerazione naturalmente conseguenziale alla elegia del sogno: la presentazione di tale progetto importa l’automatico riconoscimento della circostanza che tutti gli interventi realizzati in precedenza in ragione dei permessi a costruire rilasciati nel corso del tempo sono legittimi.
Come facciamo a sostenere ciò? Mai e poi mai questo giornale ha sostenuto una tesi senza affiancarla con dati oggettivi che la provino.
E allora, siamo andati a leggere la “Tabella Dati Tecnici di progetto” al punto A, allegato alla relazione tecnica ove si riportano come “area coperta esistente” tutte le strutture già assentite dai vari Permessi a Costruire, proprio a dimostrazione della legittimità degli stessi.
Attenzione: Francesco De Lucia ha dichiarato queste cose in quanto diretto rappresentante, anzi emanazione, dell’amministratore giudiziario Scarpa, il quale, dunque, si assume l’intera responsabilità di quanto asserito.

In poche parole, l’amministratore giudiziario, attraverso il progettista, ha dichiarato al Comune di Trentola, che firma il permesso a costruire, badate bene, con un atto dell’Ufficio Tecnico che risponde ad un’altra autorevole rappresentanza istituzionale, cioè il commissario prefettizio che governa questo Comune, che “le opere sono conformi alle norme urbanistiche vigenti sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R 380”.
Trattasi del cosiddetto “Accertamento di conformità”.
E d’altronde, altro non avrebbe potuto dichiarare De Lucia.
In caso contrario, la mega operazione imprenditoriale del multicinema non avrebbe ricevuto alcun permesso a costruire.
In poche parole, si ha la sensazione che la ragione di un business che onestamente sta all’identità e alle necessità di un’amministrazione giudiziaria di un bene sequestrato alla camorra come i proverbiali cavoli stanno alla merenda, abbia assorbito le motivazione di chi oggi tiene in mano il pallino del comando del Jambo, diventando nettamente prevalente, anzi sovrastante, fino ad annullarle, le ragioni giudiziarie che invece hanno visto addirittura costruire diversi capi di imputazione per coloro che furono arrestati in quella notte del dicembre 2015.
Atro paradosso: con la realizzazione del maxicinema di cui alla analizzata richiesta di permesso a costruire, verrebbero eliminati tutti i parcheggi.

Entrando maggiormente nel dettaglio, in un primo momento sono state emesse misure cautelari anche sulla scorta della ritenuta insussistenza delle aree di parcheggio; nella fase successiva delle indagini e nella prima porzione del processo, si è scoperto che i parcheggi c’erano; infine, oggi, l’amministratore giudiziario e il progettista intendono realizzare una struttura che elimina i parcheggi.
Ergo: il fatto che i parcheggi risultassero e non ci fossero ha ispirato alcuni degli arresti; ora i parcheggi ci sono e si vogliono eliminare. Se diciamo paradossale, siamo eleganti.

Siccome quella ordinanza la conosciamo come le nostre tasche, siamo andati a tirare fuori il capo O) dei capi di imputazione provvisoria ascritti ai vari indagati.
All’ex sindaco di Trentola Ducenta Michele Griffo, il patron del centro commerciale Alessandro Falco, l’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico, poi transitata a Teverola, Maria Carmen Mottola, Antonio Munno ma soprattutto il boss Michele Zagaria, ai sensi del citato capo O) viene contestato il reato di abuso di ufficio in concorso con la’ggravante mafiosa dell’articolo 7.
Scrive testualmente il Gip Federica Colucci: