La Domenica di don Galeone: “L’Avvento: il tempo liturgico di preparazione al Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini”

29 Novembre 2020 - 15:50

29 Novembre 2020 – I Domenica di Avvento / B

VIETATO DORMIRE! IL SIGNORE VIENE!

Prima lettura: Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (Is 63,16). Seconda lettura: Aspettiamo la manifestazione del Signore (1Cor 1,3). Terza lettura: Vegliate! Non sapete quando il padrone ritornerà! (Mc 13,33).

La domenica dell’attesa vigile   I discepoli pongono a Gesù una domanda: “Quando avverrà la fine del mondo?”. Gesù risponde (meglio: non risponde) raccontando la parabola del padrone che rientra nella notte. Non viene indicata nessuna ora. Tutte le ore sono buone per Dio e per l’uomo. Quello che occorre è che il portinaio non si faccia trovare addormentato. E questo può accadere anche di giorno! Gesù non vuole individui che aspettano nell’ozio, ma credenti ai quali affida un compito. Il pericolo per il credente non è quello di “non sapere” ma di “non essere sveglio”. Non c’è spazio per la curiosità! Gesù non dice “State tranquilli!”, ma “Non dormite!”.

Capodanno liturgico   Oggi è capodanno per la Chiesa. Inizia un nuovo anno liturgico (Anno B), che non è un freddo e inerte ripetersi di fatti, non è un semplice calendario di giorni e mesi, a cui sono legate le celebrazioni religiose, ma è lo stesso Cristo che ci salva nel tempo. L’anno liturgico, purtroppo, è ancora per molti fedeli una sorta di misterioso geroglifico da decifrare, nonostante la riforma avviata dal Vaticano II. Ripercorreremo le tappe della salvezza, i misteri della vita del Cristo, della Vergine, dei Santi; nella nostra piccola Chiesa, che è la famiglia, saremo testimoni della crescita dei figli, delle manifestazioni quotidiane dell’amore, dell’intreccio continuo di sofferenza e coraggio, di miseria e nobiltà, di nascita e di morte. Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, Ascensione, Pentecoste… ogni anno le stesse feste ma con una partecipazione più intensa. Tutto è grazia! Come diceva Mario Pomilio, ogni generazione, ogni persona può riscrivere il suo “quinto Vangelo”. Sarà bello ogni settimana ritrovarci per riflettere, confrontarci con la parola di Dio, cercare di migliorare anche solo un piccolo tratto della nostra vita. A cominciare da questo primo appuntamento dell’Avvento.

Presso gli ebrei Capodanno (Rosh ha-shanàh) è un giorno di riflessione e di revisione; i nove giorni che seguono Rosh ha-shanàh sono chiamati anche Giorni di penitenza (Iemei selichòt), e terminano con il terribile e meraviglioso Giorno dell’espiazione (Iom kippùr), durante il quale “è vietato mangiare, bere, lavarsi, ungersi, calzare le scarpe, accoppiarsi”. Il tema centrale è il giudizio di Dio; da qui anche la definizione di Giorno del giudizio (Iom ha-din) e di Giorno del ricordo (Iom ha-zikaròn). Le ore trascorrono in preghiera, per riuscire a fare un bilancio della propria vita e pentirsi. E’ una giornata intensa, che pochi riescono a vivere in profondità, come rimprovera lo stesso Isaia (58,3). Chi ha vissuto bene Iom Kippùr, si è avvicinato a Dio, è passato dalla schiavitù alla libertà (Pèsach), dalla trasgressione alla Toràh (Shavuòt), dal pentimento alla salvezza (Sukkòt). Nessuno ha fatto festa, né ha salutato questo “Capodanno liturgico”. Quanta festa, invece, per il “Capodanno civile”, atteso nella notte di san Silvestro con botti e spumante, cenoni e feriti! Questo ci fa capire che le cose dello spirito poco interessano!

Un anno nuovo in compagnia di Marco   A partire da questa domenica ascolteremo il Vangelo di Marco; per questo voglio presentare, in rapida sintesi, le caratteristiche maggiori di questo evangelista. Il Vangelo di Marco fu il primo ad essere composto, intorno al 70 d.C.; amico, segretario, compagno di Pietro, Marco è uno scrittore semplice ed elementare; le frasi sono brevi e collegate con “e”, ma vivaci e pittoresche; il suo è il Vangelo più breve: appena 11.229 parole greche, rispetto alle 19.404 di Luca e le 18.278 di Matteo; perciò Agostino lo chiama “il divino abbreviatore”. Brevità e semplicità, ma con un progetto teologico: usando l’immagine oscurità/luce, possiamo dire che Marco ci conduce prima sulla soglia di una basilica, in cui si intravede alla lontana il volto di Gesù nell’abside, poi, avanzando, quel volto diventa più chiaro: nei capitoli 1-8, Gesù raccomanda il silenzio sulla sua persona (il segreto messianico); nei capitoli 8-15 inizia la rivelazione, che culmina nella confessione di Pietro: “Tu sei il Messia!”; dal capitolo 15 in poi abbiamo la rivelazione conclusiva: “Veramente quest’uomo è Figlio di Dio!”.

Se verso il 70 d.C. l’evangelista Marco avesse portato a Roma il suo Vangelo, i librai avrebbero trovato difficoltà a collocarlo. Tra le biografie di uomini famosi? Tra i grandi politici e i sapienti del tempo? Tra gli asceti e i rivoluzionari della Palestina? Difficile rispondere. Gesù è privo di quegli elementi che compongono una biografia: Marco non ci dà notizie sulla sua nascita, sulla sua famiglia. Nessuna scheda biografica; solo qualche indicazione generica come “in quei giorni”, un accenno a Nazaret, un paese mai nominato nei libri sacri. Appare sulla scena già adulto, dà per scontato che tutti sappiano che Gesù è un giudeo vissuto al tempo dell’imperatore Tiberio. Questo va tenuto presente per evitare di credere che il suo Vangelo sia una Vita di Gesù. Allora cosa è? È il racconto di un viaggio: Gesù è presso il fiume Giordano e poi si sposta in direzione di Gerusalemme. Leggere il Vangelo di Marco significa partecipare a questo viaggio. Nel suo Vangelo è raro trovare Gesù da solo; è sempre in compagnia, e non sempre in buona compagnia! Su 671 versetti – tanti costituiscono il suo Vangelo – ben 498, cioè il 76%, descrivono Gesù insieme a … Gesù con … Ecco l’immagine preferita da Marco: la presenza di Gesù è continua, reale, invisibile.

Gesù è uno che ama “stare con”    Solo camminando con Gesù si può scoprirne il volto. Chi ritiene di conoscerlo, non coglierà mai la sua vera identità. Egli è sempre Altro, sempre Oltre. Camminare con lui è un po’ come il camminare di due innamorati, che, frequentandosi, si amano e scoprono di essere fatti uno per l’altra. Ma bisogna riflettere prima di iniziare questo viaggio. Potrebbe capitare che Gesù ci conquisti il cuore, e che non riusciremo più a staccarci da lui. Potremo anche tradirlo ma ci convertirà sempre a sé. Lo ha capito Pietro: Signoreda chi andremoTu hai parole di vita eterna!” (Gv 6,68). Anche Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Riflettere prima di mettersi in viaggio, perché, dopo avervi fatto innamorare, Gesù vi chiederà di giocarvi tutto, perché il suo mondo è veramente diverso dal nostro. Il basso diventa alto, l’ultimo arriva primo, la vecchia verità è errore, chi perde tutto per Dio vince, chi rinuncia ad una famiglia diventa padre di molti figli, chi lavora solo un’ora riceve quanto chi ha sudato tutta una giornata! Pensate: a chi lo segue promette il fallimento; i suoi preferiti sono la gentuccia senza valore; la gente per bene è chiamata “razza di vipere, sepolcro imbiancato”. Dio sceglie le cose deboli per confondere i forti; non sceglie il sano ma il malato; fa più festa per la pecorella perduta e ritrovata che non per le novantanove al sicuro. Potremmo concludere come Geremia: “Mi hai sedottoSignore!” (Ger 20,7). Il viaggio sarà affascinante ma faticoso. Saremo tentati di imboccare strade più comode. Non lo facciamo! L’incantesimo finirebbe!

Avvento è riconoscere Gesù negli altri   Avvento = attesa di qualcosa, meglio, di Qualcuno! Attesa vigilante e operosa, come suggeriscono i tre verbi: “State attenti … Vegliate … Vigilate!”. Il forte richiamo alla vigilanza ci può apparire forse strano. Vigilare perché non sappiamo quando il Signore verrà! Ma noi sappiamo quando verrà: la notte del prossimo 24 dicembre, metteremo Gesù nei nostri presepi! Allora, perché vigilare? Dov’è la sorpresa? La verità è che non si tratta di una nascita cronologica, di una commemorazione storica, di un avvenimento passato. Il Signore viene non solo nel giorno stabilito dal calendario, ma ogni giorno. Vigilare significa allora riconoscere Gesù nelle forme quotidiane e meno appariscenti: in chi ci siede accanto, nel collega di lavoro, in chi pulisce i vetri della macchina al semaforo … Attraverso loro, Gesù ci chiede di essere accolto, e non è sicuro che noi lo riconosciamo. Anche di noi si potrebbe dire: “E’ venuto tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto!” (Gv 1,11).

Ad – tendere, cioè tendere verso …Perché noi comprendiamo la necessità della vigilanza, Gesù ricorre all’immagine del portiere di notte. L’evangelista Marco, diversamente dagli ebrei, che dividevano la notte in tre veglie, scandisce la notte secondo l’uso romano, in quattro veglie: la sera, la mezzanotte, il canto del gallo, l’alba. Indizio che Marco non scrive il suo Vangelo agli ebrei, ma ai lettori pagani. In ogni caso, il messaggio centrale è quello della “imprevedibilità” del padrone. Per ben due volte, Gesù dice: “Non sapete quando sarà … Non sapete quando ritornerà!”. E’ una vera spada di Damocle sospesa sul capo del credente! Monito terribilmente vero soprattutto in questo tempo di pandemia. L’evangelista Matteo ricorda addirittura l’episodio del diluvio “che inghiottì tutti” (Mt 24,37). L’evangelista Luca è ancora più severo, perché aggiunge l’immagine del ladro (4,19; 12,40). Inquietanti sono anche le parole di Paolo (1Tess 5,2), il libro dell’Apocalisse (3,3; 8,15) e l’apostolo Pietro (2Pt 3,10). Insomma, Gesù usa molti espedienti per scuotere le nostre coscienze indifferenti, e provocare una santa inquietudine. Quando siamo santamente inquieti, solo allora possiamo stare tranquilli!

Siamo sulla terra per arredare il cielo   Gesù ci avvisa che il giudizio non è lontano, orizzontale, esteriore, ma è vicino, verticale, interiore. Non dobbiamo immaginare Gesù come un giudice che verrà nell’ultimo giorno per la resa dei conti, ma noi stessi ci giudichiamo ogni giorno: “Chi non accetta le mie parole, ha già chi lo condanna: la parola che ho annunciato, quella lo condannerà” (Gv 12,47). Il giudizio avviene ogni giorno, come la luce brilla senza interruzione, ma noi preferiamo le tenebre alla luce. L’inferno e il paradiso non sono uno stato futuro. Noi siamo già passati dalla morte alla vita, se amiamo i nostri fratelli (1Gv 3,14). La nostra eternità è già cominciata. E’ inutile aspettare segni nel cielo. E’ oggi il giudizio! Il credente non crede a una vita “futura” ma a una vita “eterna”, e se è “eterna” essa è già cominciata. Non dobbiamo raggiungere Gesù in un’altra vita, perché egli è con noi tutti i giorni. Allora, la vera domanda è la seguente: nella nostra vita, abbiamo qualcosa da eternare? Amiamo qualcuno tanto da voler vivere sempre con lui? Facciamo qualcosa di bello e di buono che ci piacerebbe poterlo fare in eterno? Se non abbiamo niente da eternare, per noi non ci sarà eternità. Quello che resterà è solo l’amore: “Le tre cose che contano sono fede, speranza, amore, ma più grande di tutte è l’amore” (1 Cor 13,13). Quindi noi siamo sulla terra per arredare il nostro cielo. Nell’inferno si aspetta che qualcosa cambi: che la moglie cambi, che il marito cambi, i celibi desiderano sposarsi, gli sposati tornare celibi; l’inferno è lastricato di buone intenzioni! Nell’inferno ci si vuole liberare del fardello della vita e degli altri. Ma nel cielo si desidera vivere e amare senza fine. Il cielo sarà la continuazione di ciò che abbiamo conosciuto, fatto, amato, sulla terra. BUONA VITA!