L’omelia di don Franco: “E’ difficile uccidere il fariseo che ognuno di noi porta dentro”

27 Ottobre 2019 - 09:34

27 ottobre 2019 XXX Domenica del T.O. (C)

DIO RENDE GIUSTO CHI LO PREGA CON FEDE

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

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I lettura: La preghiera dell’umile penetra le nubi (Sir 35, 12).

II lettura: Ora mi resta solo la corona di giustizia (2 Tm 4, 6).

III lettura: Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo! (Lc 18, 9).

La domenica “della preghiera autentica”. E’ stato detto che “un cristiano vale quanto la sua preghiera”. Sì, la preghiera è fatta per vivere bene. Gesù con la parabola del fariseo e del pubblicano ci vuole insegnare quanto sia necessario essere assolutamente sinceri con Dio. Presentarci davanti a Dio per quello che siamo, sinceri, cioè sine cera, senza mascherine sul viso! Una cosa che Dio non sopporta è quella di crederci migliori degli altri. Davanti a Dio siamo tutti figli, ma Dio ascolta sempre volentieri la preghiera dei poveri.

Chi racconta una parabola, anche senza volerlo, tende una trappola al lettore: lo spinge, a sua insaputa, a schierarsi a favore dell’uno o dell’altro e poi, quando hanno scelto, arriva la conclusione morale. Anche nella parabola di oggi: proviamo subito antipatia verso il fariseo ipocrita e le nostre simpatie vanno tutte al pubblicano che, sì, ha combinato qualche malefatta, ma è pentito. Ma attenzione: non si tratta del comportamento morale ma dell’immagine che abbiamo di Dio. Gesù non dice che il pubblicano era buono e il fariseo bugiardo. Dice solo che il primo se ne tornò a casa giustificato,

cioè “reso giusto” da Dio, mentre il secondo se ne tornò con tutte le sue opere buone ma non giustificato. Il fariseo non chiede di essere giustificato da Dio ma che Dio lo dichiari giusto grazie ai meriti della sua buona condotta. Non capisce che il paradiso può essere ricevuto in dono e non meritato con le opere. Il fariseo non deve rinunciare alle opere buone ma alla falsa immagine di Dio: non un contabile che registra le nostre opere buone/cattive. Chi pensa di accumulare meriti davanti a Dio, finisce per disprezzare gli altri, per credersi migliore e superiore.

“Due uomini salirono al Tempio per pregare”. L’evangelista Luca non scrive un Tractatus de oratione, non presenta idee sulla preghiera ma due persone concrete in preghiera, in opposizione, secondo la tecnica orientale del contrasto. E’ una pagina popolata non da uomini del passato ma di oggi, nelle nostre comunità cristiane. Nella parabola ci sono due modi di concepire Dio e il rapporto uomo-Dio:

la preghiera del fariseo è un pretesto per lodarsi; più che pregare, egli si prega; prega nella posizione giusta: in piedi, testa alta, braccia sollevate al cielo; però ha bisogno dello sfondo scuro, dei peccati altri, per far risaltare meglio le proprie virtù; gli altri gli servono per distinguersi, per confrontarsi, per sopravvalutarsi. Il suo incipit è bellissimo: “Ti ringrazio, o Dio”; solo che non ringrazia Dio ma ringrazia se stesso! Il fariseo, come un sacro pavone, sfoggia tutte le sue presunte virtù, in un crescendo di esagerazioni. “Io digiuno due volte la settimana, pago la decima su tutto ciò che acquisto”. In realtà, il digiuno è obbligatorio una volta all’anno, nel Giorno del Kippur, e la decima va pagata solo su farina, mosto, olio.

Il pubblicano esercita l’antipatico mestiere di riscuotere le tasse, per giunta è al servizio dei romani; sfruttatore, strozzino, ladro, collaborazionista; resta in fondo alla chiesa, non osa alzare gli occhi in alto e le mani al cielo. Il pubblicano non confessa neppure le proprie colpe, perché l’accusa dei peccati già l’ha fatto il fariseo al suo posto; il fariseo elenca le malefatte, il pubblicano chiede perdono. A questo punto entra in scena il Signore, che ha visto e sentito tutto, e sentenzia. Una conclusione sconcertante, un capovolgimento di posizioni, molto frequente nel Vangelo: “Il pubblicano è giustificato, il fariseo è condannato”. Due uomini erano saliti per pregare, ma uno solo ha veramente pregato. Dio non condanna le opere buone del fariseo, né approva le disonestà del pubblicano. Ordina solo di “non giudicare”, di non credersi migliori di nessuno.

Gesù censura in maniera implacabile la mentalità del fariseo, per varie ragioni: 1) Perché una persona così è una persona che in sé vede solo “meraviglie”, poiché pensa in realtà che come lui non c’è nessuno nel mondo. 2) Perché una persona così è una persona che pensa male degli altri (ladri, ingiusti, adulteri), che vede sempre errori, lacune, difetti … in tutti quelli che non sono come lui o non la pensano come lui. 3) Al contrario, il Padre accetta, accoglie ed abbraccia colui che considera sé stesso come essere così disprezzabile da non avere il coraggio di alzare gli occhi da terra. Questi Dio preferisce. Non perché è un santo, ma perché si considera come l’ultimo di questo mondo. E’ difficile uccidere il fariseo che ognuno di noi porta dentro. Il modello di persona, rappresentato dal fariseo, continua ad esistere oggi, come esisteva al tempo di Gesù. Il fariseo che dovremmo uccidere. Molto difficile! BUONA VITA!