NICOLA SCHIAVONE ci racconta la storia dell’Hyppo Kampos: “A Pagnozzi ho dato 300 mila euro e tanto altro. Lui prese un finanziamento della Regione e poi…”
22 Marzo 2019 - 19:06
CASTEL VOLTURNO – Ovviamente, essendo stati testimoni del tempo, ci siamo incuriositi non poco sulla vicenda dell’Hyppo Kampos, l’area eventi della movida in zona Ischitella, al centro di importanti dichiarazioni, rese dal collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, in uno dei processi in cui è imputato e che hanno rappresentato oggetto delle domande, indirizzate dal pubblico ministero della dda, Alessandro D’Alessio, a Sergio Pagnozzi, patron dell’Hyppo Kampos e testimone nel giudizio che si sta tenendo davanti al giudice per le misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Massimo Urbano, in riscontro al ricorso presentato proprio dalla dda allo scopo di ricostituire, almeno in parte, le misure patrimoniali adottate ai danni dell’imprenditore ed ex consigliere regionale Nicola Ferraro.
Ieri abbiamo riportato (LEGGI QUI) una sintesi delle cose affermate da Nicola Schiavone. Oggi siamo in grado di ricostruire più precisamente e più rigorosamente ciò che il pentito più importante del clan dei casalesi ha dichiarato un paio di mesi fa.
Primo punto: Nicola Schiavone ha tirato fuori 150 mila euro per entrare in società direttamente nell’Hyppo Kampos 2.0, cioè in quel super locale rimasto orfano di una sede, dopo che Coppola, a contratto scaduto, aveva dato a Pagnozzi il benservito, avendo evidentemente compreso chi fossero i personaggi che lo frequentavano, dalla prima location di Pinetamare. Ma ha detto anche altro. Mentre i primi 150 mila euro erano funzionali al ristoro che Sergio Pagnozzi aveva promesso alla famiglia Mauriello inizialmente proprietaria del terreno di Ischitella e che si era vista sequestrare il proprio bene dal tribunale del fallimento, Nicola Schiavone afferma di aver tirato fuori altri soldi, precisamente altri 150 mila euro, dunque complessivamente 300 mila euro per assecondare i primi costi relativi alla costruzione delle strutture.
Non solo: oltre a questi soldi, Schiavone avrebbe inviato sul cantiere imprese vicine al clan dei casalesi e a lui stesso. Questo ha permesso a Pagnozzi di avere sempre ossigeno nei pagamenti, anche quando era in difficoltà, visto che Nicola Schiavone sapeva trovare le parole per indurre queste imprese edili ad aspettare un pò per il saldo del dovuto.
Secondo punto: è interessante constatare dalle dichiarazioni del pentito che lui, nel momento in cui decise di entrare nell’affare dell’Hyppo Kampos, si mosse sempre nel rispetto dell’ortodossia camorristica e dunque rispettando sempre la potestà del gruppo che comandava a Castel Volturno, cioè dei Bidognetti. Per questo motivo, i soldi (non quelli pattuiti, ma sicuramente di meno) all famiglia Mauriello furono consegnati da Pasquale Morrone che in quel periodo, nei primissimi anni 2000, era comunque un punto di riferimento a Castel Volturno, in una zona del territorio in cui, per volontà dello stesso Francesco Bidognetti, il ruolo di capozona era stato assunto dal napoletano Luigi Guida, detto ‘o drink.
Per questo motivo Nicola Schiavone tenne al corrente delle sue mosse Emilio Di Caterino, uno dei pezzi da 90 del gruppo di Bidognetti.
Terzo punto: secondo Nicola Schiavone le difficoltà di Sergio Pagnozzi furono dovute anche alla necessità di apparecchiare l’intero cantiere e anche altre strutture di costo, visto e considerato che l’imprenditore di Castel Volturno aveva avuto accesso ad un finanziamento, che il pentito non ricorda bene se fosse di origine regionale o di provenienza Unione Europea.
Alla prossima.