Politica, camorra e i PAPERONI degli APPALTI. Nicola Schiavone “si scorda” il terzo imprenditore ma dice una cosa importante sul periodo del governo di Sandro De Franciscis

8 Luglio 2020 - 12:22

Il collaboratore di giustizia afferma, infatti, che oltre a Raffaele Pezzella e Tullio Iorio, c’era un terzo uomo di danari che lo rappresentava in Provincia, facendo a sua volta incetta di appalti. Poi spiega nei dettagli come avveniva il cambio degli assegni e come con le fatture false veniva prodotto il danaro contante

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Sarà utile o meglio, sarebbe stato già utile farlo al tempo degli interrogatori da lui resi, chiedere a Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan, e dunque principale pentito del clan dei casalesi, chi fosse questo terzo imprenditore di cui, in due distinti passaggi del citato interrogatorio datato 3 ottobre 2018, lui parla affermando una cosa molto importante e cioè che per gli appalti all’amministrazione provinciale, il cui controllo da parte del clan dei casalesi diventò sistemico, Schiavone lo dice testualmente, durante l’amministrazione capitanata da Sandro De Franciscis, vincitore delle elezioni 2005 soprattutto per effetto della scelta di Nicola Ferraro, imprenditore associato al clan e direttamente connesso a Nicola Schiavone, dicevamo, per gli appalti all’amministrazione provinciale, il suo gruppo collegato storicamente a quello della famiglia Russo, puntò sull’imprenditore Raffaele Pezzella di Casal di Principe, trapiantato a Maddaloni, sul suo socio strutturale sanciprianese Tullio Iorio,

entrambi arrestati il 27 giugno scorso, ma anche su un terzo imprenditore, di cui gli sfugge l’identità.

Siccome questo non è un dettaglio secondario, siccome su queste dichiarazioni di Nicola Schiavone è stata costruita larga parte dell’accusa che ha portato all’emissione di due misure cautelari agli arresti domiciliari per Pezzella e Iorio, siccome Nicola Schiavone non considera una gerachia, ma considera questo imprenditore alla stregua di un imprenditore diretto quali erano i due di cui ricorda il nome, la sua amnesia si traduce in un’occasione persa per mettere a fuoco un’altra parte del meccanismo politico, tangentizio e camorristico che si sviluppò nel corso di diverse amministrazioni provinciali, ma soprattutto, lo dice Schiavone, non noi, durante quella di Sandro De Franciscis, il quale, quando noi abbiamo scritto queste cose in passato, prima di andarsene in esilio a Lourdes, ha trovato il tempo per sciorinare querele ai danni del sottoscritto che in una circostanza hanno anche fatto breccia nella buona fede di qualche giudice che non ha avuto la possibilità, suo malgrado, di approfondire tutti gli aspetti di quegli articoli considerati diffamatori e che invece ora trovano riscontro nelle dichiarazioni del re dei pentiti, dalle cui parole non gemmano sberleffi, ma manette, a dimostrazione che viene considerato più che credibile dalla magistratura inquirente.

Nelle foto, da sx, Sandro De Franciscis e la vecchia sede della Provincia di Caserta, in Corso Trieste

Il terzo uomo, dunque, non è venuto fuori e se l’è scampata bella. Anche perchè difficilmente Pezzella e Iorio che in carcere non ci stanno ma risiedono riteniamo comodamente, in relazione al loro importante tenore di vita, nelle dimore di famiglia per una reclusione agevolata da tutti i confort, vuoteranno il sacco magari tirando fuori il nome di altri imprenditori e anche di altri dirigenti dell’amministrazione provinciale, di qualche erede dell’ingegnere Alessandro Diana, Sandrino per gli amici, che con Pezzella ha stabilito rapporti fraterni al punto da collegare se stesso alla vita personale di questo imprenditore attraverso qualche battesimo, cresima.

Per il resto Schiavone conferma lo schema: il primo interlocutore, l’unico effettivamente diretto di Pezzella che parlava anche in nome e per conto di Tullio Iorio, era Raffaele Letizia, detto Lello, reggente del gruppo dei Russo che, al momento del suo arresto fu poi sostituito, sempre come interfaccia nei confronti di Pezzella dalla triade formata da Dante Apicella, Pasquale Diana e Sebastiano Ferraro.

L’ultima parte di questo stralcio dell’ordinanza, dedicato all’interrogatorio di Nicola Schiavone del 3 ottobre 2018, è molto interessante perchè “il rampollo” spiega dettagliatamente le modalità attraverso cui le percentuali dei lavori aggiudicati alla coppia Pezzella-Iorio, arrivavano nelle casse del clan. Percentuali e non ratei estorsivi, dato che Nicola Schiavone che il rapporto tra la camorra e Pezzella consisteva in una sorta di partnership costruita sull’affidabilità che questo imprenditore aveva sempre dimostrato, corrispondendo puntualmente le percentuali pattuite.

Queste si trasformavano in denaro contante che affluivano nella cassa comune. Ciò avveniva attraverso il cambio di assegni, oppure attraverso l’utilizzo di quelle operazioni contabili a carosello che la fatturazione elettronica ha reso oggi molto più complicate, se non impossibili: “Gli imprenditori – dichiara Nicola Schiavone – potevano ricorrere a fatture fittizie con società costruire ad hoc per questa finalità, così da simulare pagamenti giustificabili verso gli apparenti fornitori i quali a loro volta prelevavano i contanti facendoci poi pervenire i relativi importi.”

Così parlava Nicola Schiavone il 3 ottobre 2018. Ma sul terzo nome poteva, a nostro avviso, sforzarsi di dire e di fare di più.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA