Quando Nicola Schiavone monaciello ha rinnegato anche di esser nato a Casal di Principe. I colleghi del dirigente onesto di Rfi che osò attaccarlo: “Lui è il pazzo, va mandato in Lituania”

15 Settembre 2022 - 17:56

La constatazione complicata dell’aggravante di camorra e il motivo per cui, secondo noi, con gli elementi a disposizione, il tribunale del Riesame non l’ha ritenuta sussistente. Anche se, a pensarci bene, tutti i soldi che i fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone hanno portato a Casal di Principe fino al 2017, al di là dell’utilizzo, contestato dalle sorelle di Sandokan, che ne faceva Giuseppina Nappa, erano comunque quattrini che, sulla carta, dovevano aiutare persone e famiglie di boss e affiliati del clan dei Casalesi detenuti nelle patrie galere. E questo, almeno da un punto di vista logico, rappresenta un favore fatto al clan, visto che risulta del tutto chiaro il modo con cui monaciello, il suo germano ‘o trick, quei quattrini avevano “si fa per dire” guadagnato.

CASAL DI PRINCIPE (g.g.) Francesco Favo è un dirigente di Rete Ferroviaria italiana. Non sappiamo se lavora ancora a Roma o se, così come avrebbe desiderato Pierfrancesco Bellotti, sia stato trasferito in Lituania.

Bellotti è un altro importante dirigente di Rfi che, come abbiamo letto più volte nelle 453 pagine della porzione di ordinanza riguardante il mondo dorato di Nicola Schiavone detto monaciello, viveva in simbiosi, in uno stato perenne di adorazione nei confronti di quest’ultimo.

Ma perché Pierfrancesco Bellotti, al quale Nicola Schiavone pagò anche il pranzo di compleanno per dieci persone, consumato nel lussuoso hotel Aldrovandi, era devoto all’uomo di Casal di Principe? Perché Nicola Schiavone lo aveva in pratica adottato e si era fatto carico anche della sua carriera.

Sempre Bellotti, il quale una mattina sì e l’altra pure, andava a depositare, chissà perché, contanti nella cassa continua della sua banca, voleva spedire in Lituania il suo collega Favo, perché questi aveva osato avvertire, per di più durante una cena a cui partecipavano altri dirigenti di Rfi, tra cui il semi apicale Paolo Grassi, un altro fedelissimo di Nicola Schiavone, cioè Fernando Cinelli, che il suo interlocutore, la persona che lui frequentò e che era stabilmente attiva nei meccanismi relativi agli appalti di Rfi, era il cugino di Francesco Schiavone Sandokan, fondatore del clan dei Casalesi.

Non fu tanto la frase che Francesco Favo pronunciò durante quella cena a impressionare i presenti, ma la circostanza di averla pronunciata pubblicamente, davanti a un dirigente di primo piano come Grassi, a quello stesso Grassi che, di fronte alle parole di Favo si mostrava stupito e imbarazzato, anche se lui con Nicola Schiavone intratteneva rapporti più che amichevoli, andandoci a cena, ovviamente con conti salatissimi, vicini ai mille auro, pagati dal sempre munifico monaciello, nei migliori ristoranti di Roma, a partire dal San Lorenzo al Pantheon, con tanto di regalino consistente in gemelli acquistati da Schiavone nel negozio Cartier di via Condotti, così come abbiamo dettagliatamente spiegato in un altro articolo pubblicato, lo scorso 18 agosto. Subito dopo quella cena, Bellotti, parlando con Cinelli, ma non solo, ne disse di cotte e di crude nei confronti di Francesco Favo. Tutta la combriccola, formata anche da altri dirigenti, oltre agli appena citati Cinelli, Grassi e Bellotti, esprimeva un pensiero unico: lo chiamavano “il pazzo”.

Eh già, il pazzo perché non era allineato, perché non metteva a disposizione di Nicola Schiavone e del suo accorsato gruppo di lavoro, milioni e milioni di euro di risorse pubbliche, attraverso appalti truccati, nella maggior parte dei casi.

E come faceva il regime sovietico, i dissidenti, i non allineati, meritano la morte civile. Breznev li mandava in Siberia, Bellotti voleva mandare Francesco Favo in Lituania.

Ovviamente, il giorno dopo, il dirigente infedele andò a riferire tutto a Nicola Schiavone, il quale si abbandonò ad una sorta di monologo, somigliante più a una sceneggiata che ad un’intemerata. Come possiamo leggere dallo stralcio integrale che pubblichiamo in calce, Nicola Schiavone arrivò a dire, davanti al suo interlocutore, che lui era nato a Roma e a Roma era residente. In realtà, lui è nato a Casal di Principe; sempre a Casal di Principe ha costruito un rapporto fraterno con Francesco Schiavone Sandokan, a cui Nicola Schiavone battezzò il primogenito, cioè l’altro Nicola Schiavone. Circostanza, questa, che il buon Francesco Favo ignorava, altrimenti, quella sera a cena, sarebbe salito addirittura sulla tavola.

Sfogandosi con Bellotti, monaciello sostiene che quel cognome lo aveva danneggiato, in quanto la sua vita professionale, la sua crescita esponenziale erano state frutto solo e solamente della sua capacità imprenditoriale e del suo talento, non avendo lui nulla a che vedere con Sandokan, il quale doveva conoscerlo bene nei suoi pregi e nei suoi difetti, se è vero come è vero che, durante un colloquio carcerario con sua moglie Giuseppina Nappa e con le sue figlie, sbottò, dicendo che se una mattina lui fosse impazzito, voleva dire se una mattina decido di pentirmi, il primo nome che avrebbe fatto, sarebbe stato quello di Nicola Schiavone, il cui soprannome monaciello noi abbiamo appreso proprio dalla conversazione tra Sandokan e i suoi congiunti, trascritta e inserita nel corpo di questa ordinanza.

Il citato monaciello nella sua sparata, si scordò evidentemente di quando, nel 1992, lui e Francesco Schiavone Sandokan erano formalmente, ufficialmente soci in una società di capitali giuglianese, significativamente partecipata da componenti della famiglia Maisto, cioè della famiglia della moglie di Nicola Schiavone, nativa proprio di Giugliano.

Comunque, il gip del tribunale di Napoli riporta questi episodi nella parte finale dell’ordinanza, quella più problematica, in quanto finalizzata a stabilire l’esistenza per tutti gli accusati di associazione a delinquere, dunque Nicola Schiavone, suo fratello Vincenzo Schiavone, l’autista factotum Enzo Bove, il prestanome e, allo stesso tempo, gestore tecnico-amministrativo delle società di Nicola Schiavone, a partire dalla Tec srl, Carmelo Leo Caldieri, l’altro prestanome con meno responsabilità e meno capacità, Luca Caporaso, Fernando Puocci, utilizzato quasi esclusivamente nella Itep, altra creatura della complicatissima matassa societaria dell’imprenditore di Casal di Principe, Pierfrancesco Bellotti, Paolo Grassi, Fernando Cinelli, Massimo Iorani e Giuseppe Russo, ma anche a carico del pugliese Leonardo Lo Iacono che indagato per associazione a delinquere non è, dell’aggravante costituita dall’articolo 416bis, comma 1, che ha assorbito, come abbiamo scritto cento volte almeno, l’antico articolo 7 della legge 203 del 1991.

Attenzione, però: noi abbiamo citato l’associazione a delinquere solo per ragioni di comodità espositiva, visto che la contestazione dell’art.416 (senza bis), cioè associazione a delinquere nuda e cruda, non c’entra nulla con la contestazione ai sensi dell’art. 416bis comma 1, già articolo 7 della legge 203/91, visto che l’aggravante viene associata ad ognuno dei reati singolarmente considerati e non valutati, invece, come reati-scopo dell’associazione a delinquere. Ciò accade per un motivo molto semplice: a Nicola Schiavone, a Vincenzo Schiavone e a nessun altro dei coinvolti in quest’ordinanza, vengono contestati gli addebiti classici, contenuti nell’art. 416bis e da questo regolati. E cioè: la partecipazione diretta ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso o camorristico o il concorso esterno alla stessa.

L’articolo 7, che oggi trova ospitalità al comma 1 dello stesso 416bis, consiste nella valutazione, nella qualificazione di comportamenti criminali per quello o quelli che avevano costituito i loro effetti, consistenti nella produzione di vantaggi materiali che il clan mafioso o camorristico, in questo caso il clan dei Casalesi, si sarebbe visto garantire dalla commissione di singoli reati.

Il fatto che si tratti solo di una qualificazione degli effetti ha reso complicato il lavoro del gip del tribunale di Napoli Giovanna Cervo ed è chiaro che nel momento in cui il tribunale del Riesame ha deciso, a suo tempo, che non c’erano elementi sufficienti per contestare l’aggravante a Nicola Schiavone, ciò si è esteso a tutti gli altri 11 a cui, come si può leggere nello stralcio in calce, il gip aveva invece ritenuto fondata l’applicazione del 416bis comma 1, già articolo 7.

Nella parte finale di questa sezione dell’ordinanza vengono pubblicati il breve interrogatorio, a cui viene sottoposto Pierfrancesco Bellotti, pochi giorni dopo la perquisizione, effettuata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta su ordine della Dda, e anche delle testimonianze, sicuramente molto interessanti, rese da Ciro Ferone, patron di una delle più grandi aziende, da generazioni impegnata nel settore dell’infrastrutturazione delle reti ferroviarie, ma anche quelle di Wanda Talamas, vedova di quel Petrone, storico socio degli Schiavone e la riproposizione, con integrazioni, della testimonianza, resa in interrogatorio, da Carlo Romano, personaggio importantissimo, ancorché capace di tenersi fuori dai guai e, dunque, di non essere catapultato nel registro degli indagati.

Carlo Romano, cugino acquisito di Enzo Bove, che proprio da Carlo Romano viene raccomandato, a suo tempo, a Nicola Schiavone perché lo assumesse; Carlo Romano in grado di strutturare un quadro storico dell’intera parabola imprenditoriale di Nicola e Vincenzo Schiavone, fin dai tempi di Eureka, la madre di tutte le società di famiglia, quella che dovette essere posta in soffitta dopo che si era bruciata nel coinvolgimento all’interno del processo Spartacus, fino ad arrivare agli ultimi anni, cioè al 2018 e ai primi mesi del 2019.

Dalle parole di Ferone e dalla loro relazionabilità a quelle di Carlo Romano, esce fuori qualcosa di avvertito inerentemente alla struttura camorristica dei comportamenti tenuti dai fratelli Schiavone, dal più rude Vincenzo, al più raffinato, gentile, cortese con tutti e, dunque, ancora più temibile, Nicola Schiavone monaciello.

Abbiamo pubblicato anche lo stralcio relativo alle deposizioni di Ciro Ferone, della Talamas e di Carlo Romano. Contrariamente a quello che avevamo annunciato ieri, abbiamo deciso di allungare la vita di questo focus di un altro giorno, di un’altra puntata, visto che abbiamo deciso di ragionare su qualcuno dei citati contenuti e abbiamo deciso di farlo domani, per evitare che questo si trasformi da un articolo lungo ad un articolo chilometrico.