QUESTA È GOMORRA 5. Paolo Cutillo guardò negli occhi Musone e Mimì Belforte: “Vi do la mia pistola, sparatemi ora oppure…”
9 Maggio 2019 - 16:44
MARCIANISE – Non ci sono più i camorristi di una volta. Ora si drogano e sparano ai bambini.
Potrebbe essere la narrazione di un vecchio criminale, scampato ad agguati e a quella sorta di dialettica del potere che in quel mondo considerava perfettamente normale l’esser fatto segno di un attentato, di un agguato o essere protagonista attivo.
Beh, la scena raccontata da Salvatore Belforte ai magistrati della Dda è un compendio di simboli ed è significativamente emblematica sulle modalità che regolavano, a loro modo, quel mondo in cui si uccideva senza requie ma che considerava fatto deteriore non l’omicidio a viso aperto, ma il tradimento codardo.
Paolo Cutillo era un boss. La scena citata nel racconto di Salvatore Belforte, pur ripetendo altre sequenze simili già andate in onda, potrebbe tranquillamente aprire la quinta o la ventiseiesima stagione di Gomorra, magari incentrata su uno spaccato storico di guerre antiche come quella che seminò migliaia di morti tra tutte le cellule dei cutoliani, sparse nell’intera Campania e anche fuori, e le paranze della tradizione, che si erano riunite attorno ai nomi generazionali dei Nuvoletta di Marano, già alleati con Cosa Nostra, degli Alfieri di Nola ma soprattutto di Antonio Bardellino triumviro principale della cosiddetta Nuova Famiglia.
A Raffaele Cutolo, almeno a quello sceneggiato nel film “Il Camorrista”, sarebbe senz’altro piaciuta la scena di Paolo Cutillo che all’indomani dell’agguato in cui era rimasto ferito e in cui era morto il suo pretoriano Giuseppe Russo convoca quelli che considerava i suoi delfini, cioè Mimì Belforte e Mino Musone.
Paolo Cutillo tira fuori la pistola e si rivolge ai due: “Se anche per voi – dice – devo morire perché do fastidio, sparatemi“.
Roba da uomini duri, da criminali in grado ancora di collegarsi ad un aberrante codice di onore.
Domenico Belforte e Mino Musone non spararono. Rinnovarono l’impegno di fedeltà nei confronti di Cutillo, che rivelò loro i nomi veri di chi aveva provato ad ammazzarlo: l’altro boss Antonio Delli Paoli, Riccardo Russo e Antimo Perreca, tutti legati ai Casalesi.
Era necessario, dunque, una volta rinnovata la fiducia a Cutillo, costruire e organizzare un gruppo di camorristi disposto a tutto e pronto alla guerra. Guerra fu, e che guerra. La guerra del coprifuoco.