LA NOTA. Roberto Saviano indagato dopo la querela di Salvini. Rischia un pelo per il “buffone”. Non rischia per il “ministro della malavita”. ECCO PERCHÉ

26 Luglio 2018 - 17:45

CASERTA (g.g.) – Niente di particolare, non ci vogliamo montare sopra un pippone nazionale, consumando parole insulse come quelle che ammorbano le giornate e le serate, affiorando dai soliti stopposi, noiosi, talk show della politica.

Lo scrittore Roberto Saviano è indagato per diffamazione dalla procura di Roma a seguito della denuncia presentata contro di lui dal vicepremier Matteo Salvini. Atto assolutamente dovuto.

Nella denuncia, il ministro dell’Interno fa riferimento a dichiarazioni fatte esplicitate dallo scrittore nel corso di un video pubblicato da un sito web che sarebbero “lesive della sua reputazione e del ministero dell’Interno“.

In effetti, Saviano rischia qualcosa solo per quel “buffone“, detto davanti alle telecamere, dopo che Salvini aveva posto dubbi sull’attualità e necessità della scorta allo scrittore-copiatore di Gomorra.

Meno rischi corre invece Saviano, su Salvini, in relazione a un suo comizio tenuto a Rosarno, in Calabria, definito “ministro della malavita”. E qui ritorna il Saviano assassino di copyright. Noi sappiamo bene che lui ci legge, anche se, credendosi un padreterno, toccato dalla grazia divina, un sacerdote della legalità trascendente, non lo ammetterà mai. Ma ministro della malavita negli ultimi anni e nelle cronache del giornalismo italiano è per l’appunto una sorta di copyright di CasertaCe. I nostri lettori ben ricordano, infatti, che fu la definizione che demmo a Raffaele

Vitale, al tempo leader provinciale del PD e sindaco di Parete, modificandola leggermente e derubricandola in “segretario della malavita“.

Siccome, però, nei nostri articoli, conoscendo i nostri polli e la loro pigrizia, che li avrebbe indotti magari a presentar querela, senza perdere tempo nemmeno due secondi a consultare l’oracolo di Google che rapidamente avrebbe fornito loro il significato e l’incastro storico di questa frase, scrivemmo e ribadimmo più volte, anche a rischio di diventare noiosi e stucchevoli, che si trattava di una citazione storica, di una frase pronunciata all’interno di un duro dibattito politico. E non da uno qualsiasi, da un arruffapopolo d’occasione ma da uno dei più grandi pensatori italiani che ha scavallato il secolo 19esimo entrando nel 20esimo: Gaetano Salvemini, il quel così definiva Giovanni Giolitti che, diciamocela tutta, un po’ andreottianamente non disdegnava incontri non molto opportuni da Napoli in giù, per garantirsi i voti della delinquenza di allora.

Siccome la frase di Saviano rivolta a Salvini si ricollega a un fatto, cioè a un comizio nel cuore del regno della ‘Ndrangheta, nella già citata Rosarno, tenuto del ministro dell’Interno e leader della Lega senza che, a detta dello scrittore, Salvini abbia speso neppure una sillaba per condannare la criminalità organizzata.

E allora fidatevi del sottoscritto che, per motivi che ben conoscete, è un’autorità nella materia, non si configura il reato di diffamazione per quel “ministro della malavita” collegato al comizio di Rosarno. Mentre per quel “buffone” bisognerà vedere quale giurisprudenza adotterà il giudice, visto e considerato che sull’estensione dialettica e lessicale di un giornalista, o in questo caso, di uno scrittore, gli ermellini hanno scritto tutto e il contrario di tutto.