Prorogato il 41 bis per Mimì Belforte: altri due anni di carcere duro per il boss di MARCIANISE

16 Aprile 2024 - 15:13

La volontà di collaborare e di far scoprire la tomba di una donna vittima di lupara bianca non basta a fargli ottenere il regime ordinario.

MARCIANISE Non è servito l’aver ribadito la sua intenzione di voler collaborare con la giustizia. Per Domenico Belforte, boss dei Mazzacane, il 41 bis è stato prorogato di due anni.

La decisione è stata assunta dai giudici del tribunale di sorveglianza di Roma. Per i magistrati il suo pentimento sarebbe strumentale, finalizzato all’ottenimento di sconti di pena: “Belforte continua ad avere un ruolo apicale e non ha mostrato segni di resipiscenza e di definitivo allontanamento dalle logiche criminali del clan di provenienza”, e risulta “incessante lo sforzo di Belforte di veicolare all’esterno ordini e indicazioni di azioni criminali a sodali liberi o anche detenuti”.

Attualmente detenuto nel carcere di Sassari, Mimì Belforte si era detto pronto a far ritrovare il cadavere di Vincenza D’Alessandro, uccisa insieme al marito Domenico Petruolo da Paolo Cutillo e Giovanni Santonicola. La coppia fu vittima di lupara bianca. Ciò, dicevamo, non è bastato al tribunale di sorveglianza, che ha confermato il carcere duro per il boss di Marcianise, in grado di comandare anche dal carcere, qualora dovesse essere collocato in un penitenziario a regime ordinario.  

I magistrati hanno valorizzato, ritenendoli rilevanti per la decisione, soprattutto le ultime operazioni contro il clan delle forze dell’ordine, non considerando le affermazioni contenute già dal 2020 in provvedimenti giudiziari della sezione misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ricordati nel reclamo, in cui si parla di un clan Belforte «completamente azzerato a tutti i livelli, anche di semplice manovalanza» (novembre 2020), e «di totale annientamento del clan come pure della ramificazione di questo dedita allo spaccio» (aprile 2023).

I giudici hanno invece richiamato le operazioni delle forze dell’ordine che hanno riguardato l’arresto di 28 persone accusate di far parte del clan Belforte nell’aprile 2023, il sequestro di prevenzione ad imprenditori ritenuti vicini alla cosca (febbraio 2022), l’incriminazione del boss e della moglie Maria Buttone per l’omicidio datato 1991 dell’amante di Belforte, il fatto che siano liberi tuttora tanto il figlio di Domenico, Camillo, scarcerato nel marzo dello scorso anno, che Concetta Zarrillo, moglie di Salvatore Belforte, fratello di Domenico, con cui ha fondato e diretto per anni il clan, e anch’egli in carcere.

Le conversazioni in carcere

C’è poi una nota della Direzione Nazionale Antimafia che trattiene la corrispondenza inviata da Belforte ad un altro soggetto, Filippo Petrullo, in cui il capoclan manifesta la volontà di far ritrovare il corpo della madre di Petrullo, uccisa anni fa, indicando anche il killer. Per la Dna Petrullo, in carcere a Spoleto per collusioni con il clan, potrebbe usare la lettera nel processo per sviare le indagini.

Altra circostanza ritenuta rilevante è la conversazione intercettata in carcere nel maggio 2023 con la nuora Giovanna Allegretta, in cui il boss, partendo dal fatto che la ragazza ha cambiato numero di telefono, le riferisce, sapendo di essere ascoltato dagli agenti penitenziari, che tutti i telefoni sono intercettati e la invita a dire a tutti quelli che andranno a casa sua che lui si è dissociato dal clan; un comportamento che per i giudici servirebbe a Belforte a veicolare all’esterno messaggi agli affiliati.

Per i giudici Belforte deve restare inoltre al 41bis anche per le condotte tenute in carcere, con diversi provvedimenti disciplinari subiti per danneggiamenti vari, tre in particolare dal mese di ottobre scorso, quando è stato trasferito dal carcere di Cuneo a Sassari. Belforte si è difeso dicendosi claustrofobico, per cui non può stare 22 ore in cella come previsto dal 41bis, ribadendo la volontà di collaborare e di far ritrovare il corpo di una donna uccisa, l’estraneità sua e della moglie all’omicidio dell’amante, che i figli sono liberi e non sottoposti a misure di prevenzione o sicurezza, che il clan è ormai polverizzato e depotenziato dagli arresti, mentre il clan avverso – i Piccolo-Letizia – ha ripreso vigore proprio per l’indebolimento dei Belforte.