LA FUGA. Francesco Cirillo, scomparso dopo la sentenza di condanna a 30 anni, potrebbe essere all’estero. Stappò lo champagne per “festeggiare” l’omicidio di Mimmo Noviello

7 Gennaio 2021 - 16:21

In considerazione del fatto che il verdetto definitivo della Cassazione era tutto sommato atteso, è molto probabile che l’irreperibile e tra poco latitante, abbia pianificato da tempo la sua fuga definendo anche gli appoggi e le esigenze economiche fondamentali in casi come questi

 

CASAL DI PRINCIPE – Sapeva bene Francesco Cirillo, detto coscialisca, cugino di Alessandro Cirillo o sergente, personaggio di rilievo del gruppo Bidognetti-Setola, che per lui i giorni erano finiti. Non sappiamo se la notifica della sentenza definitiva della Corte di Cassazione per il delitto dell’imprenditore di Baia Verde Domenico Noviello fosse già lì pronta ad essere eseguita con l’arresto contestuale alla notifica.

Probabilmente no, ma è chiaro che da quel momento in poi sarebbero passati pochissime ore, massimo un giorno. E allora Francesco Cirillo è scappato, si è reso irreperibile e di qui a poco assumerà lo status ufficiale di latitante.

Con ogni probabilità questa fuga non è stata una cosa improvvisata, una reazione emotiva a una sentenza tutto sommato attesa, visto che già in passato la Corte di Cassazione aveva dimostrato di avere una opinione molto differente rispetto a quella espressa dalla Corte di Appello di Napoli che, nel processo di secondo grado, confermando la raffica di ergastoli a carico di Setola,

Alfiero, Letizia e compagnia, lo mandato assolto per il concorso in quell’omicidio.

Tale verdetto fu impugnato dal procuratore generale presso la Corte di Appello e qualche tempo dopo i giudici della Suprema Corte annullarono la sentenza e rimandarono il fascicolo indietro, ad una sezione della Corte di Appello di Napoli differente da quella che aveva sentenziato l’assoluzione di Francesco Cirillo.

La sua condanna venne ripristinata, ripronunciata. L’unica differenza rispetto al primo grado consistette nel fatto che invece di infliggergli l’ergastolo, come avevano fatto i giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, quelli dell’Appello lo condannarono a 30 anni di reclusione.

Dunque, non era, per ritornare al discorso iniziale, difficile prevedere che la Corte di Cassazione avrebbe confermato, così come poi effettivamente ha fatto, imprimendo alla sentenza il sigillo definitivo.

Tutto ciò per dire che magari lo prendono domani o dopodomani e ci siamo sbagliati, ma non può essere considerato improbabile che Francesco Cirillo sia riuscito, in maniera molto discreta, sfuggendo anche ai controlli che sicuramente ha ricevuto in questo periodo, a crearsi delle basi in cui trascorrere il tempo della sua latitanza. E si sa che per fare ciò occorrono appoggi logistici, cioè gente che ti ospita e anche quattrini, molti quattrini.

Per quanto riguarda eventuali documenti falsi, lì sappiamo che a Casal di Principe è esistita e forse esista ancora una vera e propria università delle carte d’identità farlocche e probabilmente il problema non sussiste anche se Francesco Cirillo ha avuto bisogno anche della carta elettronica. Naturalmente le ricerche sono state attivate a 360°.

Sicuramente con la Criminalpol e l’Interpol si starà valutando anche l’ipotesi di un rifugio all’estero, dove come abbiamo spesso raccontato, non mancano certo basi di appoggio ed elementi del clan dei casalesi che vivono in paesi stranieri, soprattutto nell’Est Europeo, dove hanno investito fior di quattrini e dove, conseguentemente riescono ad ottenere anche coperture in alto loco.

E’ evidente che Francesco Cirillo voglia evitare una seconda esperienza in cella dopo i 7 anni trascorsi dal 2001 a seguito delle denunce per estorsione presentate da Domenico Noviello e da suo figlio. Una circostanza che indusse Francesco Cirillo a partecipare, a stare comunque dentro al piano organizzativo dell’agguato di Baia Verde.

Dal processo è risultato che Cirillo, il quale, uscito dal carcere, andò a vivere a Giugliano, aveva messo a disposizione del commando di morte un’officina meccanica come copertura e come ricovero dei mezzi e delle persone, materiali esecutori del delitto.

Un omicidio che, stando al racconto fatto da Giuseppe Setola in persona, nei pochi mesi che disse di voler collaborare con la giustizia, il Cirillo avrebbe festeggiato, così raccontò Massimo Alfiero allo stesso Setola, stappando una bottiglia di champagne, com’era d’altronde usanza quando il clan dei casalesi effettuava un omicidio importante.

Naturalmente noi tenemo monitoratata la situazione.