CAMORRA & RENDITE IMMOBILIARI. Terreni a CASAL DI PRINCIPE e due case al mare a BAIA DOMIZIA. Gli intestatari fittizi e tutti i passaggi. IN RICORDO DI GIOVANNI FALCONE

23 Maggio 2022 - 13:36

In primo piano, gli ultimi 4 capi di imputazione provvisoria: tre riguardano l’intestazione fittizia di proprietà fondiarie e di abitazioni, un altro, il 39, descrive l’ultimo fatto per cui viene contestato il reato di riciclaggio e che vede protagonista, il 35enne Luigi Schiavone, prestanome e uomo di fiducia di Dante Apicella. E con questo, concludiamo stamattina la lunga, complessa e faticosa trattazione dei 42 capi di imputazione provvisori che suddividono in due parti, il lavoro degli inquirenti: da un lato quello dei carabinieri sulla camorra dei colletti bianchi e dei grandi appalti con le aziende di stato, dall’altro, quello, realizzato dalla Dia, sul più casareccio ma comunque efficiente sistema tenuto in piedi da anni e anni, da Dante Apicella

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Dalla lunga serie di contestazioni di reato, contenute nei capi di imputazione riguardanti Dante Apicella e tutta la sua scuderia (dal 23 al 41) abbiamo stornato, riservandoceli per l’epilogo di questa prima parte del lavoro di approfondimento, tre imputazioni provvisorie, riguardanti non aziende, non l’attività compiuta attraverso l’uso dello strumento aziendale, bensì tre compravendite farlocche di terreni e case (capi 25, 40 e 41), in modo da preservarli dalle misure di prevenzione che nel tempo hanno colpito Dante Apicella, suo fratello Vincenzo e in parte anche altri familiari.

Prima di occuparci di questi negozi, per operazioni fittizie, chiudiamo anche l’ultimo atto relativo all’attività stabile di riciclaggio dei proventi delle attività delle tante imprese che Dante Apicella etero-dirigeva.

Si tratta del capo 39. Schema usuale: stavolta, da un lato del palcoscenico della finzione, ci si mette Luigi Schiavone del 77, il quale utilizza le imprese a lui riferibili Edil Tecnosytem 2003 srl e Campania Appalti srl poi divenuta Lega Appalti srl, dall’altro lato del palcoscenico,  in un meccanismo ripetitivo, sempre finalizzato a confondere le tracce relative ai flussi finanziari, coordinati da Dante Apicella, i soliti nomi: la famiglia Diana (ricordiamo che 6 di loro sono stati indagati e anche arrestati), con le società DIGECO srl e DISA srl, Luigi Belardo con Campania e Italiana Pietre srl, Giuseppe Fusco con Edil Kronoss e FBT srl, e le già incrociate aziende della famiglia Mangiacapra RTM srl ed Edilizia Meridionale srl.

Ma in questo capo di imputazione, a vedere bene una novità c’è: l’elenco delle imprese e degli imprenditori, oltre a reiterare i nomi noti, ne fa anche altri, mi comparsi fino ad ora, ma ugualmente molto noti nell’area dell’agro aversano: ci sono i fratelli Mastrominico, precisamente Pasquale e Giuseppe Mastrominico. Un cognome che evoca, anzi rimanda ad altre inchieste della DDa, in verità finite non benissimo visto e considerato che i Mastrominico nel processo riguardante gli appalti al comune di Villa Literno, dopo aver ricevuto una pesante condanna in primo grado, al pari dell’ex sindaco ed ex consigliere regionale del Ds Enrico Fabozzi, al quale furono inflitti 10 anni, sono stati assolti in appello, parimenti a Fabozzi, il quale si è anche presentato, perdendo, alle ultime elezioni comunali di Villa Literno, dell’ottobre 2021.

In questo caso di due Mastrominico si sarebbero prestati secondo la Dda a cambiare assegni, al pari dei vari Mangiacapra,  Belardo, Fusco, Diana family.

Ritornando al rovesciamento dei ruoli, negli altri capi contestati, Luigi Schiavone era quello che cambiava gli assegni, non quello che li emetteva, come nelle circostanze descritte nel capo 39. Stesso discorso per i già citati Belardo, Fusco, Mangiacapra. Nell’ordinanza è citata come disponibile a cambiare assegni anche la Cooper srl dei fratelli Crispino.

La lunga e anche piuttosto faticosa trattazione dei capi di imputazione riguardante da una parte il sistema dei grandi appalti del clan e RFI con la centro la figura di Nicola Schiavone senior, dall’altra parte il sistema più casereccio ma sicuramente lucroso, imperniato sulla figura di Dante Apicella termina con tre contestazioni che abbiamo riunito, pur non essendo per intero collegate numericamente.

Per quanto riguarda, i già citati tre capi relativi agli acquisti immobiliari, abbiamo deciso di metterli insieme tre imputazioni di cui una non è collegata numericamente alle altre due visto che si tratta del capo 25 in rapporto ai capi 40 e 41.

Giusto per ricordare, il 42, cioè l’ultimo capo di imputazione provvisoria contestato, lo abbiamo trattato nella prima parte del nostro lavoro, quello relativo agli appalti tra il clan dei Casalesi con RFI, dato che si tratta della contestazione del riciclaggio collegata a questo filone dell’indagine, curata dai carabinieri del nucleo investigativo del Comando Provinciale di Caserta, e a cui è stata affiancato l’altro filone, la cui indagine è stata realizzata dalla Dia, cioè dalla Direzione Investigativa Antimafia, un’altra istituzione nata da un’idea, che potè realizzare a Roma Giovanni Falcone, solo in quanto nominato  direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia, il cui trentennale della morte ricorre oggi, precisamente oggi pomeriggio. Una morte che incontrò soprattutto per l’opera compiuta nel ministero di Grazia e Giustizia; grazie ad un’opera di cui non si può non dar merito all’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli.

Ci ricordiamo bene, molto bene la furia con cui le cosiddette toghe rosse si avventarono su Falcone, a partire da una vergognosa intemerata del pm Mancuso nel corso di una storica puntata del Maurizio Costanzo show a cui lo stesso Falcone partecipava, rimproverandogli di essersi venduto ai politici della prima repubblica, agli Andreotti, ai Craxi eccetera, quando in realtà i due anni in cui ebbe carta bianca al ministero hanno segnato, rappresentandosi come uno dei più grandi contributi mondiali alla lotta alle mafie, tutti i trenta anni successivi. Ciò è potuto accadere perchè Falcone rivoluzionò la legislazione e la normativa soprattutto per quanto riguarda lei indagini economiche, relative agli sterminati patrimoni mafiosi.

Tornando ai nostri tre capi di imputazione provvisori di fatti immobiliari, questi raccolgono altrettante contestazioni del reato di intestazione fittizia, ai sensi dell’articolo 512 bis del codice penale, con l’aggravante mafiosa, che in questa giornata, ci piace ri-estrapolare dall’articolo 416 bis comma 1, in cui è tata inserita da qualche tempo, chiamandola con il suo nome originario, articolo 7 del decreto legge, quindi votato con urgenza dal governo, e poi convertito in legge, numero 158 del 1991 che infilò un cuneo pesantissimo, attraverso nuove possibilità di indagine, nella mafia e politica, mafia e pubblica amministrazione.

Avete letto la data di quel decreto? 1991. Se, dunque, l’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti era, per tutta la sinistra, ma non solo, un Belzebù (e il sottoscritto che conosce bene cosa sia stata la Democrazia Cristiana, non assolve certo il divo Giulio che ha avuto con i mafiosi lo stesso rapporto di quieto vivere, di coesistenza pacifica, basata su una vera e propria concessione di sovranità territoriale, che tanti altri politici della prima repubblica hanno avuto con la stessa mafia siciliana, ma anche con la camorra campana e con la ‘ndrangheta calabrese), se ripetiamo, diamo per buona, e io non l’ho mai data, l’idea che Andreotti fosse il capo della mafia che aveva invece aiutato a vivere bene, e grazie al comunque politicamente colpevole consenso, alla comunque politicamente colpevole cessione di sovranitá, che avevano ben contribuito, per decenni a far vivere bene anche lui.

Se invece partiamo da Belzebù, occorre necessariamente affermare che il piombo inflitto a Salvo Lima, senatore e capo della corrente andreottiana in Sicilia, ucciso nel corso nel marzo 1992 a Palermo, fosse indirizzato proprio ad Andreotti che, con il suo governo, come dimostrava in maniera palmare la nomina di Giovanni Falcone a cao del dipartimento affari penali del ministero della Giustizia, era passato nettamente dalle parole ai fatti nella lotta alla mafia.

Agli occhi di una mafia già ulteriormente incarognita per le condanne definitive del maxi processo, pronunciate da una Cassazione, liberata dal “mitico” giudice ammazza sentenze Corrado Carnevale e che, in conseguenza dell’opera svolta da Falcone al ministero, apparve come una goccia che aveva fatto definitivamente traboccare il vaso. L’omicidio di Salvo Lima, avvenuto, ripetiamo, nel marzo del 1992, anticipò di due mesi il massacro di Capaci, aprendo la fase stragista, terroristica che di lì a poco avrebbe portato all’omicidio di Falcone e Borsellino, alla mattanza delle loro scorte e all’attentato fallito a Maurizio Costanzo, avvenuto mentre ordigni micidiali seminavano altri morti in tutta Italia, a partire da quella esplosa nei pressi della basilica di San Giovanni, in risposta al papa polacco e al suo famoso anatema contro Cosa Nostra, urlato nella Valle dei Templi.

Questo che stiamo scrivendo è decisamente un articolo molto strano. Ma preferiamo associare ciò che sull’opera di Falcone riteniamo di poter dire, a fatti specifici, contestati a soggetti, tutto sommato poco rilevanti rispetto alla grandezza del sacrificio di tante persone, del martirio di questi due autentici eroi della democrazia e dell’onestà, che in un paese popolato soprattutto da disonesti, non potevano non fare la fine che hanno fatto.

Per cui, cari lettori, abbiate un pò di pazienza nel momento in cui passiamo da Giovanni Falcone a Luigi Schiavone, e non a Francesco Schiavone Sandokan, come sarebbe stato più proporzionato, più funzionale rispetto alla memoria di un magistrato che aveva convinto a pentirsi Tommaso Buscetta, cioè uno dei boss più importanti e potenti di Cosa Nostra in Sicilia e anche negli Stati Uniti.

Dicevamo di Luigi Schiavone, 45 anni, di Casal di Principe, il quale si intesta, per effetto di un atto notarile, un terreno di Casal di Principe, precisamente indicato nel foglio 19 particelle 395, 561, 562 , 523. Si tratta di un fondo che la Dda considera nella dotazione proprietaria effettiva di Dante Apicella. Un terreno che passa di mano in mano, proprio perchè, in realtà, la mano vera della proprietà, è sempre una, è sempre la stessa.

Luigi Schiavone lo aveva, sulla carta, comprato il 27 settembre 2005. Successivamente, Giuseppe Fusco, un altro super fedelissimo di Dante Apicella, lo acquista, riteniamo dalla Edil Tecnosytem srl, dunque da Luigi Schiavone, il giorno 11 giugno 2009. Passano 6 anni e il 9 marzo 2015, quei terreni viene comprato da Antonio & Antonio Costruzioni dei fratelli Palmese.

I capi 40 e 41 riguardano invece due case di Baia Domizia. La prima, che dà corpo al capo 40, si trovano in via dell’Erica, nella parte di Baia ricadente nel comune di Cellole, un’altra parte ricade infatti, in quello di Sessa Aurunca.  Una di queste case, indicata nel foglio 196 particella 1499, viene comprata, il 20 maggio 2004, cioè poco meno di un anno prima dell’acquisto dei terreni di Casal di Principe, dall’immancabile Luigi Schiavone. In questo caso, non viene fatto alcun riferimento alla Edil Tecnosystem srl cioè l’azienda di Schiavone. Quindi dobbiamo dedurre che questa casa la compra lui direttamente, come persona fisica.

Ma Dante Apicella, evidentemente ci tiene particolarmente e a questa casa. Per motivi che poi magari l’ordinanza spiegherà successivamente, avviene, infatti che il 14 luglio 2016, a 12 anni di distanza dal primo acquisto di Luigi Schiavone la proprietà della casa, della villetta al mare, torna nel perimetro della famiglia di Dante Apicella, in quanto passa tra i beni di proprietà di Daniela Coppola, cognata dell’Apicella, in quanto sorella di Caterina Coppola, consorte dell’imprenditore dei casalesi.

In conclusione, il capo 41. Come si diceva, si tratta di un’altra casa di Baia Domizia, precisamente indicata nello stesso foglio, il numero 196, ma da una particella diversa, la numero 1498. E’ chiaro che si tratta di due unità immobiliari ubicate vicina all’altra, dato che la particella di quella del capo precedente è la 1498.

Ora riordineremo un poco gli appunti; sistemeremo l’elenco delle imprese associandole ognuna a ciascun indagato o ai gruppi familiari, altrimenti corriamo il rischio di dover tornare ogni mezzo minuto sui capi di imputazione quando, a partire da domani, entreremo nel vivo della ordinanza, partendo con la massima calma dalla ragione d’essere della stessa, magari risparmiandoci solo il copia incolla in stile Wikipedia, della storia breve del clan dei casalesi, che immancabilmente è la premessa di ogni ordinanza che riguarda questo noto brand criminale.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA