C’era una volta la tangentopoli capuana. Zero riscontri zero evidenze della percezione camorristica di Ciccio ‘e Brezza. Ecco come il giudice ha smontato punto per punto le accuse a politici e tecnici del Comune
11 Settembre 2023 - 12:35
Nella quarta e ultima puntata del nostro focus ci occupiamo delle conclusioni di sintesi che precedono le poche righe che concretizzano la sentenza propriamente detta emessa dal giudice Fabio Provvisier
CAPUA (g.g.) Quando i pubblici ministeri della Dda hanno chiesto e in parte ottenuto l’applicazione delle misure cautelari per i Verazzo e gli altri indagati, il processo sul primo filone sulla presunta tangentopoli capuana era ancora in corso davanti ai giudici della Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. Probabilmente ritenevano che l’esito di questo processo sarebbe stato utile all’affermazione della loro tesi accusatoria anche relativamente al secondo filone. Quando, invece, Santa Maria Capua Vetere ha assolto gli imputati dall’80% delle accuse, quando ha inflitto una condanna durissima all’unico pentito su cui avevano basato i capi d’imputazione, avranno probabilmente già capito quale sarebbe stato l’esito del secondo processo, che non a caso gli imputati hanno chiesto e ottenuto che si celebrasse con il rito abbreviato.
L’unica speranza poteva essere rappresentata da una valutazione in senso positivo di ciò che un altro collaboratore di giustizia cioè Nicola Schiavone, aveva iniettato con alcune dichiarazioni rese sulle vicende capuane.
Ma le dichiarazioni di Schiavone erano fondamentalmente slegate, prive di logicità così come ha scritto il giudice Fabio Provvvisier che non hanno affatto corroborato quelle di Francesco Zagaria detto Ciccio ‘e Brezza.
E allora il destino è apparso segnato. Assoluzioni e una valanga di prescrizioni, che sono intervenute nel momento in cui sono cadute le aggravanti dei favori elargiti al clan dei casalesi ai sensi dell’articolo 416bis comma 1, ma anche quelle di concorso esterno formulate ai danni del dirigente del Comune di Capua Francesco Greco, ai danni dei cugini Verazzo ai quali addirittura, confidando un po’ avventurosamente sulle dichiarazioni di Nicola Schiavone, l’accusa aveva addirittura cambiato il capo d’imputazione nella più grave contestazione di diversa associazione a delinquere di stampo mafioso.
Nell’ultima parte della sua sentenza con la cui analisi terminiamo questa quarta puntata, del focus che gli abbiamo dedicato, il giudice ripete costantemente lo stesso concetto: quelle di Francesco Zagaria sono affermazioni che non trovano riscontro; quello che dice Zagaria non prova assolutamente che i politici e i tecnici del Comune di Capua fossero a conoscenza del fatto che lui appartenesse organicamente al clan dei casalesi al punto d a versare nelle casse di questo sodalizio parte dei proventi introitati nella propria attività imprenditoriale.
Non esiste alcun riscontro, alcuna prova di un accordo corruttivo.
Questo per ciò che riguarda i fatti di camorra. Ma secondo il giudice Provvisier non esiste un solo elemento che prova l’esistenza di un accordo corruttivo, grazie al quale Francesco Zagaria acquisisse appalti dal Comune di Capua.
E se la prova è rappresentata dall’appalto del 2009, che l’amministrazione comunale, guidata da Antropoli non aveva revocato nonostante l’interdittiva antimafia che aveva colpito l’impresa di Francesco Zagaria, questa, in realtà non rappresenta una prova dato che dopo pochi giorni il Tar aveva annullato quella interdittiva creando una condizione per la quale il Comune non avrebbe potuto revocare l’assegnazione, pena la chiamata in giudizio e una probabile condanna ad un mega risarcimento dei danni, che l’avrebbe esposto certamente ai fulmini della Corte dei Conti.
Al massimo i politici hanno potuto chiedere voti a Zagaria il quale però afferma di avere portato alla lista guidata da Guido Taglialatela 100 voti cioè un contributo minimo e tutto sommato poco rilevante durante le elezioni del 2016.
Insomma, un traffico di influenza che al pari delle altre imputazioni finisce sotto prescrizione non esistendo più l’aggravante camorristica. Questo, fermo restando l’assoluzione per altro chiesta dallo stesso pubblico ministero di tutti gli imputati per il reato di abusi d’ufficio.
E lo stesso Marco Ricci che appare il più disinvolto nell’accompagnarsi a Francesco Zagaria non può essere condannato per gli stessi motivi perchè l’accompagnarsi ad un imprenditore influente da un punto di vista economico e che può determinare avantaggi elettorali, non significa affatto che ricci avesse precisa consapevolezza del fatto che Ciccio ‘e Brezza agisse in nome e per conto del clan e non si muovesse, invece come tutto lasciava capire, come un imprenditore che per fare i propri affari gironzolasse attorno alla politica e agli uffici tecnici.