CLAN DEI CASALESI & MAFIA PUGLIESE. Ecco il vero motivo per cui il sanciprianese Raffaele Diana non è stato ammazzato dal clan Cicala

14 Aprile 2021 - 12:07

Entrati nel business degli oli minerali in punta di piedi, i Diana avevano soppiantato il socio salernitato di Polla Massimo Petrullo e successivamente erano entrati in concorrenza con i pugliesi, i quali, però, a differenza della famiglia dell’agro aversano erano e sono ancora in grado di esporre ed utilizzare una temibile potenza militare

 

SAN CIPRIANO D’AVERSA – La mafia pugliese, precisamente il gruppo tarantino, capitanato dalla famiglia Cicala, era in grado e forse lo è ancora oggi, di mettere in campo una struttura militare che potenzialmente può colpire con agguati e attentati nel proprio territorio e anche fuori da esso. Questo risulta dalle evidenze investigative delle indagini svolte da diverse procure culminate nei giorni scorsi con l’emissione di un’ordinanza che ha portato all’attestato di diverse persone, per l’ormai nota vicenda del contrabbando dei carburanti, a partire dagli oli minerali.

La costola casalese dell’organizzazione, cioè quella di Raffaele Diana e dei figli Vincenzo e Giuseppe, non aveva mai accettato di essere una subordinata della mafia pugliese dei tarantini. O meglio, era entrata nel business in punta di piedi, soppiantando di fatto, mano mano, grazie a una potenza economica frutto probabilmente di quel retroterra camorristico che portava questa famiglia di San Cipriano ad essere ancora attiva in provincia di Caserta come dimostra l’acquisto da parte di Diana junior di uno deli lotti della storica fattoria di camorra La

Balzana, confiscata dall’autorità giudiziaria e rimessa nel mercato dal consorzio Agrorinasce.

Per cui, dopo aver messo economicamente nell’angolo Massimo Petrullo di Polla (Salerno), cioè il primo riferimento territoriale dei Diana i quali, con questa partenership avevano monopolizzato questo mercato illegale in larga parte della provincia di Salerno entrando pesantemente nella confinante Basilicata, entrarono in conflitto anche con i Cicala di Taranto perchè si sentirono, evidentemente, un secondo bastione dell’organizzazione criminale in grado di esprimere una capacità organizzativa nei traffici illeciti superiore a quella dei pugliesi.

Se questo atteggiamento è tipico della camorra dei casalesi che per decenni non l’ha fatta buona a nessuno ed è stata in grado di parlare faccia a faccia senza alcun timore reverenziale, finanche con Cosa Nostra, è anche vero che pur rimanendo intatti molte strutture dell’organizzazione, questa non ha più la possibilità di schierare la tremenda potenza di fuoco del passato.

Ecco perchè la vita di Raffaele Diana è stata sostanzialmente nelle mani del boss Michele Cicala. Se infatti la famiglia di San Cipriano era in grado di competere economicamente con i tarantini, non lo era sicuramente sul terreno di un eventuale conflitto militare. Però, i pugliesi hanno fatto un ragionamento: l’eventuale omicidio di Raffaele Diana avrebbe drizzato le antenne delle forze dell’ordine, dell’autorità giudiziaria, in un momento in cui Cicala e i suoi erano convinti che tutti i loro traffici milionari avvenissero al riparo dell’attenzione degli inquirenti.

Non era così, come poi ha dimostrato l’evoluzione dell’indagine, ma loro credevano che fosse così. Ed è per questo, forze, che Raffaele Diana ha potuto veder salva la sua vita.