“DELITTI & CASTIGHI”. Il piombo dei casalesi uccise Sebastiano Caterino anche perchè aveva messo le mani sugli appalti dei parcheggi del Comune. Il ruolo di Salvatore Amato e…

2 Gennaio 2022 - 11:55

Sono circostanze raccontate dal collaboratore di giustizia Massimo Vitolo, il quale le ha apprese da un esponente locale dei casalesi cioè Mario Tiglio, che nel sistema delle estorsioni, legate anche agli appalti pubblici, operava 
SANTA MARIA CAPUA VETERE – Probabilmente, anzi, quasi sicuramente, non sapremo mai se Salvatore Amato, uno degli esponenti più conosciuti della criminalità organizzata di Santa Maria Capua Vetere, fosse in grado realmente di orientare l’appalto o gli appalti relativi ai parcheggi, riteniamo quelli a pagamento o relativi alla gestione di aree comunali, così come fece capire a Sebastiano Caterino, il quale, essendosi messo in testa di diventare lui il boss della città, quello al quale anche il clan dei casalesi, egemone per gestione diretta o attraverso le famiglie storicamente fedeli a partire dai Del Gaudio-Bellagiò, intendeva entrare nella partita lucrosa degli appalti comunali.
Salvatore Amato disse che conosceva qualcuno al comune e per questo motivo, proprio nel giorno in cui Sebastiano Caterino fu ucciso, lo stesso Amato si doveva vedere con Caterino e con il nipote Umberto De Falco. Il racconto è quello del collaboratore di giustizia Massimo Vitolo, il quale dichiara di aver appreso queste notizie durante la sua detenzione al carcere di Benevento da Mario
Tiglio
, condannato qualche anno fa a 12 anni di reclusione per il reato di estorsione ed associazione a delinquere di stampo mafioso, in quanto direttamente collegato al clan dei casalesi, soprattutto ad Elio Diana, nell’organizzazione di un sistema estorsivo ai danni di imprenditori, soprattutto nella città di Santa Maria Capua Vetere, con una particolare attenzione, riposta verso gli appalti pubblici.
Insomma, Tiglio è uno che stava dentro a questa particolare porzione degli affari criminali dei casalesi. Ora, non sappiamo se anche questi movimenti sui parcheggi avevano contribuito ad accelerare la decisione presa da Francesco Schiavone Cicciariello, Antonio Iovine, Michele Zagaria e Giuseppe Caterino Peppinotto, di uccidere Caterino. Forse sì, forse no. Ma è chiaro che questo episodio dimostra quale fossero le ambizioni dell’evraiuolo che però si scontrò contro un’organizzazione che al tempo riusciva ancora a esprimere tutta la sua potenza militare, potendosi anche permettere il lusso di tenere i suoi principali latitanti del tempo, lo stesso Cicciariello ma anche Zagaria e Iovine, tranquillamente operanti e operativi nel loro territorio di residenza.
Per cui finì come finì. E a morire fu anche Umberto De Falco che quella mattina salì a bordo della Golf nera non blindata che Caterino utilizzava in quanto si sentiva forse in quelle ore, tanto tranquillo da non usare la famosa Mercedes blindata o semi blindata che aveva ritirato nella concessionaria Auto Stella di Castel Volturno, in un altro giorno in cui il clan dei casalesi aveva organizzato un agguato, così abbiamo diffusamente raccontato nelle scorse puntate del focus dedicato a questa seconda ordinanza sul duplice omicidio avvneuto il 31 ottobre 2003, in via dei Romani, ad passo dall’Arco di Adriano e dal rione Iacp, in quel di Santa Maria Capua Vetere.
QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA