Ecco come il cugino di Sandokan ha tenuto in scacco il gigante delle Ferrovie italiane. I lavori per il Gruppo Terna, le super varianti per gonfiare gli importi e la mazzetta data a VILLA LITERNO

13 Maggio 2022 - 13:36

Siamo entrati nel vivo delle operazioni economiche orientate da Nicola Schiavone. Si parte da alcuni lavori importanti sulla rete ferroviaria pugliese e su un appalto dal 6 milioni 190 mila euro in cui i manager di RFI ne fanno di tutti i colori

 

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Entriamo dentro alle complessità, che rappresentano però la dimostrazione di quanto si sia evoluta una camorra che ha mano mano lasciato gli abiti spesso trasandati dei gruppi di fuoco per indossare le grisaglie costosissime dei suoi colletti bianchi.

La camorra economica, quella dei grandi affari, quella che Nicola Schiavone senior, cugino di Francesco Sandokan, ha messo in piedi nella Capitale, conquistando un potere che gli ha permesso addirittura di promettere avanzamenti di carriera a dirigenti già affermati, già strapagati e che un ulteriore balzo in avanti l’avrebbero potuto fare solo per decisione dei piani altissimi, quello dei consigli di amministrazione di Rete Ferroviaria Italiana.

E se manager quali Paolo Grassi, Francesco Bellotti, ritenevano che Schiavone potesse propiziare benefici per le loro carriere, siamo propensi a credere che vi fosse veramente il potere di farlo, dato che gente come Bellotti e come Paolo Grassi erano dei profondi conoscitori delelle strutture interne di questa grande azienda di Stato ed erano dunque pienamente in grado di soppesare la potenzialità che un imprenditori poteva esprimere, poteva manifestare nel mettere con un  consigliere di amministrazione o addirittura al presidente del Cda, una buona parola con le progressione di carriera dei dirigenti.

Al di là delle operazioni realizzate a favore delle imprese controllate dallo Schiavone, che occupano i 4/5 dei capi 12 e 13 dell’ordinanza ormai arcinota, il dato, che oseremmo definire politico, che emerge dalla loro lettura, è proprio questo, il dato di una infiltrazione pesantissima del clan dei casalesi in grado addirittura di determinare gli organismi fondamentali della potestà.

Per il resto, si ragiona su due strutture corruttive distinte: quella del capo 13 riguarda una serie di lavori, realizzati lungo l’importante tratta pugliese, tra le stazioni di Taranto Centrale, Bari Torre a Mare, Bari Parco nord, Bari Santo Spirito, stazioni di Molfetta, di Bisceglie, di Trani e di Barletta e quella cel capo 14, un pò più ingarbugliata che si occupa di appalti e di subappalti vari riguardanti ad esempio Contursi, Picerno. Ma anche un intervento significativo sulle infrastrutture lungo la tratta ferroviaria prospiciente a Cava de Terreni. Se uno però è interessato alla materia e ha un pò di pazienza, il capo 13 è sicuramente illuminante per capire quanto Nicola Schiavone potesse permettersi di fare il bello e il cattivo tempo.

Ma andiamo con ordine, partendo dal capo 13. Gli indagati, la cui posizione è aggravata dal “fu” articolo 7  del DL. 152/91, oggi entrato a far parte del comma 1 dell’articolo 416 bis del codice penale, sono, oltre a Nicola Schiavone e al suo colonnello Vincenzo Schiavone, al “solito” Carmelo Caldieri, a Vincenzo Bove, a Enrico Mattia, cioè la squadra del cugino di Sandokan, anche Leonardo e Luciano Lo Iacono.

Lo Iacono padre era funzionario di RFI e direttore dei lavori  in diversi cantieri. , residente a Noicottaro e in servizio a Bari. Il figlio è stato colui che, secondo i magistrati inquirenti, ha materialmente incassato la tangente dalle mani di Carmelo Caldieri che, sempre sotto ordine generale di Nicola Schiavone, gliel’ha consegnata nell’interesse di Vincenzo Bove ed Errico Mattia, entrambi dipendenti della Tec srl, subappaltatrice della MACFER per i lavori sulla tratta pugliese di cui abbiamo scritto.

Stando a quello che leggiamo nella qualificazione temporanea del reato, questo si sarebbe consumato a Villa Literno  il 19 luglio 2018. In poche parole, Luciano Lo Iacono, figlio di Leonardo, si sarebbe spostato dalla Puglia nell’amena Villa Literno per prelevare la mazzetta da portare in famiglia. Ma questo è un dettaglio che poi vedremo nel corso della narrazione dei fatti contestati, quando ci occuperemo dei mezzi attraverso cui i pm hanno ravvisato l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Il capo 13 va un pò scisso in diverse parti. Complessivamente coinvolge 6 indagati: Nicola Schiavone, Luca Caporaso, poi i dirigenti e funzionari RFI Paolo Grassi, Nicola D’Alessandro, Giuseppe Russo e Francesco Bellotti. I reati contestati contestati sono quelli di corruzione ad abuso d’ufficio in concorso con l’aggravante di aver favorito il clan.

Oltre ai buoni uffici per le loro carriere, Nicola Schiavone avrebbe ripagato questi 4 dipendenti di RFI con mazzette in denaro, regali, cene e vacanze super lux. Più precisamente, mille euro al mese per Russo e Bellotti e, giusto per fare un esempio di uno dei regali, due preziosi gemelli d’oro di Cartier per un valore di 600 euro.

Entrando un pò nel dettaglio, non completamente perchè la pubblicazione dello stralcio in calce, fornisce a chi vuole approfondire tutti gli elementi che servono. Nicola Schiavone era uno sicuro di sè. Per cui, oltre ad avere il controllo sostanziale delle società coinvolte, soprattutto nei subappalti, ottenuti grazie anche alla possibilità che Schiavone aveva di controllare le società appaltanti, prendeva anche i soldi assumendo la formale veste di consulente.

Lo è stato della CR Project Service. Si parla dei lavori di progettazione ed esecuzione degli interventi di manutenzione agli impianti di alimentazione di RFI dei Reparti AT e dei Siti di consegna di proprietà di Rete srl una controllata del Gruppo Terna, cioè di un altro gigante che da diversi anni ha acquisito dall’Enel tutte le strutture elettriche di erogazione energetica che agiscono lungo la rete ferroviaria italiana.

La gara d’appalto veniva aggiudicata al Raggruppamento temporaneo di imprese formato dal GRUPPO PSC spa (mandataria) e Simec Sistemi srl (mandante) con MACMIRG srl, ausiliaria della mandante in quanto apportatrice del requisito economico finanziario necessario e di cui la Simec non era dotata. Il tutto per un importo di 6 milioni e 190mila euro circa.

A questo punto irrompe sulla scena Nicola D’Alessandro, rup dell’appalto, il quale redige due Contratti applicativi, in modo da attribuirne uno dei sue alla mandante Simec la quale, sotto l’egida di Schiavone, avrebbe poi garantito il subappalto alla CRPS, cioè lla società in cui Schiavone agiva ufficialmente da consulente ma che sostanzialmente controllava.

Sempre il D’Alessandro agisce attraverso lo strumento dell’AIM che sta per atto integrativo modificativo che poi vedremo è una sorta di variante che permette di alzare l’importo.

In stretta connessione alle attività di D’Alessandro agiva Giuseppe Russo, direttore dei lavori per il lotto 11 del progetto di cui sopra, emanò due ordini di servizio. Si trattava dell’attività attraverso cui l’AIM firmata da D’Alessandro nel novembre 2018, avrebbe consentito l’aumento dei soldi a disposizione per questo appalto.

Giuseppe Russo fa due ordini di servizio,entrambi indirizzati alla mandataria PSC, il secondo dei quali apre la strada alla perizia posta a base della lievitazione del prezzo. Sempre Russo favoriva la SIMEC facendola lavorare ulteriormente su un trasformatore presente sulla linea ferroviaria nei pressi di Cava dei Terreni. Un cantiere aspetto e chiuso, anzi sospeso per l’estate che stava per arrivare.

E anche qui la decisione fu presa in pratica da Nicola Schiavone con Giuseppe Russo che si limitò ad obbedire. A garantire l’operazione c’era Paolo Grassi il quale apponeva la sua firma con un plafond del contratto che passava da 450mila uro a 770mila euro.

Infine Francesco Bellotti, il quale spostò materialmente la somma di 50mila euro, assorbendola nel capitolato della DTP di Roma, di cui era titolare, inizialmente caricata sulla DTP di Napoli.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA