ESCLUSIVA. Il Pm aveva chiesto per Velardi il divieto di dimora a Marcianise. Passo passo vi diciamo perché il Gip ha detto no

6 Settembre 2019 - 18:13

MARCIANISE(g.g.) – Noi, che ci siamo portati il lavoro avanti su questa vicenda della connection tra il Comune di Marcianise e l’Interporto, non abbiamo bisogno di leggere dall’inizio l’ordinanza di stamattina. Dato che i suoi contenuti sono stati per anni i nostri contenuti, quelli di una battaglia dura, complessa, difficile, che è sopravvissuta solo grazie all’alimento della passione e di quella particolare tigna che a certe persone viene nel momento in cui si accorgono che un’ingiustizia troppo grande si sta consumando.
Cocciuti come i meravigliosi asini della Sardegna.
E allora, ci piace oggi leggere la complessa materia giuridico-amministrativa trattata nell’ordinanza con grande scioltezza e soprattutto con quella piacevolezza che ci pervade ogni volta che incrociamo un atto giudiziario redatto dal giudice Orazio Rossi.

Uno sforzo reale, leopardianamente matto e disperatissimo, per elaborare una motivazione dietro l’altra, per mettere a valore complicatissimi sillogismi, rispetto ai quali “le discese ardite e le risalite” di battistiana memoria rappresentano una passeggiata di salute in un prato verde senza alcuna asperità.

Fatta la premessa, andiamo alla ciccia, che comincia a pagina 159, area dell’ordinanza in cui inizia il paragrafo così intitolato: “La deliberazione di Giunta n.85/2016 e l’accordo procedimentale ex art.11 L.241/1990 con valore transattivo tra l’Interporto Sud Europa Spa e il Comune di Marcianise (capo 10)”.

Abbiamo letto la prima decina di pagine, il resto lo pubblicheremo domani.

Ma la parte analizzata ci permette di sintetizzare la questione, che conosciamo dai suoi primordi, rimandando il lettore interessato ai dettagli ad una lettura lenta, attenta, della ricostruzione fatta dal giudice.

Sintesi: il Gip rigetta la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora a carico di Antonello Velardi, formulata dalla Procura della Repubblica, perché ritiene che nell’appena citata delibera di giunta non sussista il cosiddetto “dolo intenzionale”.

Perché solo il dolo intenzionale può giustificare un atto di limitazione cautelare della libertà personale.

Il Gip non scagiona Velardi e la giunta, al contrario, compie una ricostruzione dura degli avvenimenti e indica l’organismo della giurisdizione che dovrà punire, eventualmente, in maniera dura e solenne i titolari del potere esecutivo della città di Marcianise: la Corte dei Conti.

Perché non esiste, secondo il Gip, il dolo intenzionale?
Perché c’è un sostrato, una base, un humus, che esprime l’idea del perseguimento di un interesse pubblico.

E qui viene fuori la qualità del giudice, la sua doviziosa ricerca giurisprudenziale: quattro sentenze della Corte di Cassazione che sanciscono questa sorta di “dolo colposo”, così lo definiamo noi maccheronicamente per distinguerlo dal dolo intenzionale, che pur rappresentando a sua volta un elemento costitutivo del reato di abuso d’ufficio, rende la realizzazione dello stesso meno grave e conseguenzialmente non collegabile alla necessità di una limitazione cautelare attinente la sfera della libertà della persona.

È una lettura avvincente, almeno per noi.

Non c’è discussione sul fatto che questo interesse pubblico, pur attuato attraverso atti illegali, riduce la portata del reato.

Il ragionamento del Gip Rossi è ineccepibile.

Detto questo, però, c’è il problema di dover raccattare da qualche parte il comportamento, di Velardi e della sua giunta, finalizzato al perseguimento del citato interesse pubblico.

E qui, come fanno i telecronisti delle grandi gare ciclistiche, facciamo silenzio. Solo che i nipotini di De Zan aprono il microfono per sentire le cosiddette voci della montagna, dei grandi tifosi che riempiono a migliaia le strade delle grandi salite, mentre qui il silenzio è dovuto alle conclusioni a cui giunge il giudice Orazio Rossi:

“Orbene, la Giunta appare avere però anche un interesse ben chiaro, che emerge dalla lettura del provvedimento: porre fine a contenziosi giudiziari, presenti e futuri, con Ise e, dunque, vi è nel suo agire anche un interesse pubblico. (…) Il Sindaco e la Giunta, quali rappresentanti legali dell’ente, hanno il fine di realizzare una transazione con Ise per evitare problemi per le finanze comunali”.

Citazione, operata dal Gip, di un pezzo della narrativa della delibera di giunta 85 del 2016.
E qui si assiste ad un pregevole sdoppiamento tra la funzione del giudice Orazio Rossi e quella del cittadino Orazio Rossi, che può farsi un’idea della ragion d’essere di certi fatti ma che, siccome da giudice deve limitarsi a valutare quello che gli viene sottoposto, non può minimamente farsi influenzare.

Perché il giudice Rossi sa troppo bene che, in una delibera come quella che ha dato il La ai permessi a costruire dell’ennesimo parco commerciale del sedicente Interporto, non ci può che essere scritto quel che lui ha letto, visto e considerato che, almeno negli ultimi settant’anni, non si è ancora mai visto un atto amministrativo in cui un sindaco o una giunta manifestino le intenzioni, il più delle volte inconfessabili, che sono alla base della parte finale concreta e determinante della delibera stessa.

Mica potevano scriverci che volevano favorire un’operazione che avrebbe consentito a Barletta e soci di incamerare un altro centinaio di milioni di euro di plusvalenze, ripetendo con Leroy Merlin e tutti i derivati, la stessa turpe operazione, da noi denunciata da anni, fatta con il “Campania”?

Un centro commerciale costruito su terreni pagati quattro soldi, assunti in possesso dall’Interporto e forse neanche espropriati tutti formalmente, con lo stesso schema dei 25 euro a metro quadro previsti nel caso specifico, che i nostri lettori hanno letto in decine di nostri articoli.

Non lo potevano scrivere nella prima delibera, ma questa ovvietà consente oggi ad Antonello Velardi di scansare il provvedimento di divieto di dimora.

Per diritto si tratta di una conclusione corretta; per logica e per normale intelletto si tratta della perpetuazione di una nuova forma di giustizia non fatta.

Ultimissimo concetto: chi scrive ha creduto più di tutti, già a partire dal 2016, già a partire dal primo articolo che scrivemmo ai tempi del commissario Reppucci, di cui il Gip Rossi scrive a lungo, nell’esistenza di fatti criminali.

Se le classi dirigenti di questa provincia, se anche la magistratura avesse dedicato qualche minuto in meno alla disinformazione de Il Mattino e qualche minuto in più all’informazione di Casertace, oggi non staremmo parlando solo di abuso d’ufficio e il giudice Rossi sarebbe stato messo in condizione di valutare anche altre ipotesi di reato che avrebbero superato a piè pari, rendendola sostanzialmente irrilevante, la questione dell’interesse pubblico.

Qualche telefonino intercettato, qualche cimice nelle stanze del Comune di Marcianise dove il signor Campolattano redigeva lui stesso gli atti con la carta municipale intestata, e oggi altro che abuso d’ufficio: staremmo scrivendo di reati ben più gravi, che a nostro avviso sono rimasti incastrati nella vicenda sottoposta all’attenzione di un’autorità giudiziaria che, con durezza, insieme alla Guardia di Finanza, ha potuto lavorare solo su complicatissimi atti documentali.

Ma questa è un’altra storia, di cui scriveremo ancora nei prossimi giorni.

LE PAROLE DEL GIP