IL SISTEMA. Camorristi e alti dirigenti dello Stato, tutti insieme a rubare e a truccare appalti. I 17 nomi dell’associazione a delinquere che ha dominato per anni RFI

12 Maggio 2022 - 20:00

Oggi ci occupiamo del capo d’imputazione provvisorio e più importante. Perchè se è vero che la contestazione di associazione a delinquere di stampo mafioso, direttamente formulata nel capo 1 declina una importante, ma non originalissima storia di camorra, relativa al clan dei casalesi, quella del capo 11, associazione a delinquere “semplice” con aggravante camorristica, disegna il quadro preciso dell’alleanza tra potenti criminali in giacca, cravatta e capi di lusso e una pletora di dirigenti, gente da 5mila, 6mila o 7mila euro al mese che però evidentemente non erano soldi sufficienti per il lor tenore di vita

 

 

CASAL DI PRINCIPE – Una super azienda, una vera e proprio holding del malaffare, posta al servizio degli interessi del clan dei Casalesi. É il quadro che emerge dalla lettura del capo n.11 dell’ordinanza che ha portato all’arresto, nei giorni scorsi, di 36 persone con altre 30 indagate a piede libero.

Si tratta di una parte importante della lunga serie di incolpazioni, di imputazioni provvisorie che, se non andiamo errati, sono ben 42. Ma nel capo 11 c’è l’essenza, la base costitutiva del lavoro degli inquirenti.

Allora, qui non viene contestata l’intraneità al clan dei casalesi. Viene, invece, contestato il reato classico previsto dall’articolo 416 del codice penale senza il suffisso “bis” in pratica l’associazione a delinquere non di stampo mafioso, quella che collega a questo particolare addebito i già noti Nicola

Schiavone senior, Vincenzo Schiavone, Claudio Puocci, Carmelo Caldieri, Luca Caporaso, Sabina Visone, Vincenzo Bove, Umberto Di Girolamo, Crescenzo De Vito, Ciro Ferone, Carlo Pennino, Guido Giardino,  e poi la batteria di dirigenti e funzionari di Rete Ferroviaria Italiana Pierfrancesco Bellotti, Paolo Grassi, Massimo Iorani, Giulio Del Vasto e Giuseppe Russo.  Diciassette indagati per una formulazione che, se non riguarda il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, rappresenta la versione più grave dell’associazione a delinquere propriamente  detta cioè quella che investe in casi in cui a mettere insieme i presunti estri criminali è un numero di persone pari o superiori a 10.

Il 416 bis non è, però, completamente assente da questo capo d’imputazione provvisorio, ma si innesta al 416 non bis. Lo fa con il comma 1 che contesta l’aggravante di aver commesso il fatto per aver agevolato il clan dei casalesi.

Fino a qualche tempo fa la formulazione o meglio l’indicazione numerica di richiamo alle norme violate sarebbe stata diversa: la contestazione ai sensi dell’articolo 416, cioè associazione a delinquere, ma non di stampo mafioso, nè nella sua versione di intraneità, nè in quella di concorso esterno, sarebbe  rimasta intatta.  Diverso sarebbe stato il discorso relativo alla espressione normativa dell’aggravante camorristica. Per decenni infatti abbiamo pubblicato ordinanze in cui, quasi immancabilmente veniva contestato l’articolo 7 del decreto legge 152/1991. Oggi, questa aggravante è stata assimilata, in nome di un’ armonizzazione delle norme sui reati mafiosi, nel 416 bis. Per cui qui il tutto va letto come associazione a delinquere non di stampo mafioso ma aggravata dall’ex articolo 7, oggi 416 bis comma 1 che, fate attenzione, non è, ripetiamo, nè una contestazione di partecipazione diretta al clan dei casalesi e neppure una contestazione di concorso esterno.

Il dettaglio delle accuse della Dda lo potete leggere in calce all’articolo nella più che esaudiente trattazione documentale. Noi, come sempre, abbiamo estrapolato qualche concetto. Tutte le attività articolatissime, numerosissime svolte dalla pletora di società tutte riconducibili al clan dei casalesi veniva gestita da una super società, che non esisteva formalmente, ma era fondamentale per il funzionamento dell’intero sistema criminale e che oggi viene costituita dall’autorità giudiziaria dell’associazione a  delinquere di cui sopra.

Nicola Schiavone senior ne era il capo incontrastato; il fratello Vincenzo, Claudio Puocci, Carmelo Caldieri svolgevano la funzione di vertici operativi muovendosi sotto le direttive di Nicola Schiavone il quale si occupava dei rapporti con le alte e medie sfere di RFI, ma a quanto pare anche di trasporti ancora più importanti nei grandi settori industriali italiani, con vista sulle strutture fondamentali attraverso cui la pubblica amministrazione esercitava la sua potestà.

Il terzo livello di questa sorta di centro direzionale affaristico era costituito da Luca Caporaso, Sabina Visone, Vincenzo Bove, Umberto Di Girolamo, fulcro del maccanismo operativo che aveva negli appena citati Vincenzo Schiavone , Claudio Puocci, Carmelo Caldierei il suo centro di coordinamento.  “Il loro compito era quello di garantire – così è scritto nel capo 11 dell’ordinanza – il buon andamento del programma criminoso e al gestione delle imprese nella disponibilità del gruppo” 

Particolare e delicato era il ruolo ricoperto nell’associazione, di questa holding di coordinamento del sistema criminale da Ciro Ferone e Crescenzo De Vito. I due hanno messo a disposizione di Nicola Schiavone senior il loro status di imprenditori storicamente inseriti nel sistema degli appalti di RFI. La loro interrelazione con Nicola Schiavone si concretizzava attraverso l’attribuzione a quest’ultimo di un solo formale incarico di consulente. In realtà strutturavano i contenuti della partecipazione alle varie gare a cui partecipavano con Associazioni temporanee di imprese, dentro alle quali le loro aziende, già affermate in quel sistema degli appalti, svolgevano il ruolo di trascinatrici nelle imprese riferibili a Nicola Schiavone senior e al clan dei casalesi.

Ogni società che si rispetti deve avere a disposizione un consulente fiscale e un consulente giuridico. La prima funzione era affidata al commercialista  Carlo Pennino, la seconda all’avvocato Guido Giardino, entrambi indagati come componenti della presunta associazione  a delinquere.

E con l’elencazione di questi nomi abbiamo chiuso la struttura direzionale e operativa di questa società esistente in carne ed ossa , anche se non giuridicamente rilevate e a cui oggi la Dda “riconosce” il suo status, derubricandolo, però,  a quello di associazione a delinquere.

Per truccare, orientare le gare di appalto di RFI occorreva una potente ed efficace rete di dirigente e di funzionari infedeli, permeabili dalla tentazione corruttiva. Ed eccoli qui i manager o presunti o tali di RFI indagati a loro volta in questo capo d’imputazione provvisoria: Pierfrancesco Bellotti, dirigente di primo livello, in considerazione dei ruoli ricoperti, a partire dal ruolo di dirigente responsabile delle tecnologie, sezione fondamentale della mega direzione generale della produzione. La Dda lo individua come la figura più alta in grado tra quelli coinvolti, nel momento in cui lo definisce “organizzatore” e riferimento, con il compito preciso e, riteniamo dilatato nel tempo, di avvantaggiare le aziende rappresentate da Nicola Schiavone. Insomma Pierfrancesco Bellotti era uno che contava in RFI, che incideva, che influiva nella stazione appaltante. Una figura che, dunque, andava assolutamente agganciata dal sistema e integrata nell’associazione a delinquere.

Degli ultimi 4 nomi di dirigenti e funzionari di RFI, sottolineiamo soprattutto quello di Massimo Iorani, da tempo licenziato dall’azienda di Stato e che poi era quello famoso dei soggiorni gratuiti, pagati da Nicola Schiavone senior, nel lussuoso albergo di Positano. Anche Iorani sviluppava la sua attività con l’obiettivo di favorire l’aggiudicazione nelle gare alle imprese collegate al citato Nicola Schiavone.

Stesso discorso, in linea di massima, ma il dettaglio, lo ripetiamo, lo potete leggere nel documento in calce per  Paolo Grassi, altro direttore di settore, precisamente di quello di Ingegneria, Giulio del Vasto già direttore della DTP prima di Ancona e poi di Napoli, in pratica la figura apicale dei compartimenti ferroviari regionali. Un incarico svolto anche dal diciassettesimo ed ultimo indagato, da Giuseppe Russo, sicuramente la persona con grado professionale più basso tra quelle coinvolte. Ma uno di quei dipendenti che, però, stava dentro i cantieri di RFI in Campania avendo svolto spesso e volentieri le funzione del direttore dei lavori in cantieri gestiti da Nicola Schiavone grazie alle gare, vinte secondo la Dda, fraudolentemente, nel modo appena illustrato.