La Domenica di Don Franco: “Con la domenica delle Palme o di Passione inizia la settimana santa, quella che nella liturgia cattolica è definita la settimana maggiore, la più grande…”

28 Marzo 2021 - 09:06

 

Domenica delle Palme – Passione del Signore – 28 marzo 2021

DIO REGNA … DA UNA CROCE!

Prima lettura: Terzo canto del Servo sofferente (Is 50,4). Seconda lettura: Si fece obbediente fino alla morte di croce (Fil 2,6). Terza lettura: La Passione del Signore (Mc 14,1)

UNA RIFLESSIONE ESISTENZIALE 

Tutto il cammino penitenziale di Quaresima si conclude a Gerusalemme, dove tutto sembra morire e da dove tutto, invece, risorge. Vertice della liturgia della Parola è la lettura della Passione. Occorre dare attenzione a questa lettura, più che alla processione delle palme: i ramoscelli di ulivo non sono un talismano contro le disgrazie, ma il segno di un popolo che segue il suo Re. Ma la regalità di Gesù si manifesta in modo scandaloso: sulla croce. Nell’impatto con la croce, la fede vacilla; anche Gesù ha gridato la sua disperazione:אֵלִ֣י אֵ֭לִי לָמָ֣ה עֲזַבְתָּ֑נִי : (Sal
22,1)
. Sulla croce muoiono tutte le false immagini di Dio, che la mente umana ha partorito. Se avremo fede, però, sapremo leggere l’onnipotenza di Dio nella impotenza di una croce.

Il cuore del vangelo: il PassioComincia, con la domenica delle Palme, la Settimana Santa, la Set­timana Maggiore. Per i greci antichi, la palma (phoenix, come la fenice, l’uccello paradisiaco che muore e rinasce) era la pianta simbolo della divinità. Per i romani, la palma rappresentava la forza e il coraggio del vincitore: in molte epigrafi sepolcrali delle catacombe cristiane si trova la palma, intrecciata con il monogramma del Cristo, come emblema del coraggio e della vittoria spirituale. E nella cultura antica, la palma era sostituita spesso dall’ulivo: la colomba di Noè porta nel becco un rametto di ulivo (Gn 8,10). La pianta in cui fu intagliata, secondo la tradizione, la croce di Cristo, era un ulivo. E noi porteremo nelle nostre case l’ulivo benedetto per ricordare che la Settimana Santa riassume una straordinaria storia di sofferenze ed amore, di agonia e gloria.  Il testo fondamentale di questa storia è il racconto del “Passio”. Tutto il vangelo non è altro che “la narrazione della Passione con un’estesa introduzione” (M. Kahler). Quando rileggo il lungo racconto della Passione, mi ritrovo nella chiesa della mia infanzia, ove mi pare di riascoltare la lettura a varie voci (Cristo, lo storico, la folla). Qualche volta io stesso ho partecipato a quelle letture. Era e rimane una lettura terribile e stupenda. In nessuna letteratu­ra esiste qualcosa che, per densità, rapidità, drammatici­tà, sia paragonabile al racconto della Passione. Devo tanto alle emozioni di quel Passio, che si ripete ogni domenica delle Palme! Se ho mai scritto qualcosa di valido, il meglio l’ho imparato da quelle pagine di tradimento e di sangue. Non finiremo mai di ringraziare Dio per il dono del Passio, un poema lancinante e struggente, epico ed elegiaco, così divino ma anche così umano!

Il cuore del Passio: la croce    La croce era il più orribile dei supplizi, perciò era riservata ai banditi, agli schiavi ribelli. Cicerone ne parla come di “una pena della quale il nome stesso deve essere allontanato”. Essere seguaci di un crocifisso è una follia, una vergogna contraria al buon senso. Ai Corinti, Paolo scrive: “I giudei domandano miracoli e i greci cercano la sapienza; ma noi, noi predichiamo un Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,22-23). Fin dagli inizi della loro storia, i cristiani hanno scelto dei simboli della loro fede. Sulle tombe troviamo l’àncora, il pesce, il pescatore, il pastore, ma non la croce. Per lungo tempo hanno mostrato, per così dire, un certo pudore a riconoscersi nella croce. Solo nel IV secolo d.C., divenne il simbolo per eccellenza e si cominciò a fabbricare croci con i metalli più preziosi e a incastonarle di perle. Venerare la croce non significa inchinarsi di fronte a un oggetto materiale e neppure soffermarsi sull’aspetto doloristico della Passione di Gesù. La croce indica una scelta di vita, quella del dono di sé. Contemplarla vuol dire prenderla come punto di riferimento di ogni decisione.

La Bibbia narra come Dio ‘tratta’ l’uomo …    La domenica di Passione ci ricorda che la nostra fede è immersa nelle contraddizioni della storia. Di anno in anno, sempre più scopriamo che il mondo è costruito secondo la legge della violenza. Non sono solo i macro-fatti della cronaca, tragici, che ci avvertono: sono anche le micro-esperienze quotidiane a rivelare questa polimorfa violenza. La Passione di Cristo è veramente lo svelamento della violenza, che coinvolge, in una medesima complicità, i potenti e le vittime, gli aguzzini e la folla feroce. Nessuno si illuda! Anche stare fermi o fuggire è sinonimo di complicità. Non si esce da questo mondo. Occorrono molti colpi di martello per configgere un chiodo. Occorrono molti colpi di frusta per piagare una spalla. Occorrono molte spine per formare una corona. E l’uomo fa parte di questa umanità che condanna l’Uomo. Non ha importanza che tu sia di quelli che colpiscono o di quelli che guardano. L’arroganza di pochi poggia sull’indifferenza di molti. Il vangelo non va letto come un libro ordinario. Non basta credere che quanto è narrato sia vero, realmente accaduto: di una tale fede è degno qualunque libro di storia. Leggere il vangelo con fede significa credere che quanto è contenuto, avviene qui, ora.

… e come l’uomo ‘maltratta’ Dio!   Il vangelo ci dichiara chi siamo, cosa facciamo, da che parte siamo schierati: Erode? Pilato? Pietro? Giuda? Cireneo? Maddalena? Dio vicino alla misera nobiltà dell’uomo, la bieca ferocia redenta dal paziente amore di Cristo, il bacio traditore dell’amico Giuda, la debolezza diplomatica di Pilato, le lacrime sante di Pietro, la stupidità volubile della folla, la meschinità di ogni ragion di stato e di chiesa, la silenziosa presenza di Maria dolente. “Vi scandalizzerete di me” (Mt 26,31), aveva predetto Gesù. Da allora continuiamo a parlare di “scandalo della croce”: dell’assurdo, cioè, di un uomo che si dice Dio, e che si lascia morire abbandonato e deriso. Notava S. Weil: “E’ molto più facile mettersi con l’immaginazione al posto di Dio creatore, piuttosto che a quello del Cristo crocifisso”. Dio ci vuole non tanto “convinti” nella mente, ma “convertiti” nel cuore. E Pascal aggiungeva che “la nostra religione è saggia e folle: saggia perché è la più sapiente e la più fondata in miracoli e profezie; folle perché non sono queste le cose che producono la fede. A farci credere è la croce”. E mi piace aggiungere qui la profonda intuizione di S. Weil: il miracolo del buon ladrone fu non quello di pensare a Dio in punto di morte, ma di riconoscere Dio in quell’Uomo moribondo. Cristo oggi come duemila anni fa, qui come a Gerusalemme, passa tra l’indifferenza di molti e l’affetto di pochi. Cristo è sempre in agonia, ha scritto Pascal.

Ecco l’uomo!   Il vangelo di Marco, per comune riconoscimento, è il più antico e il più aderente allo svolgimento dei fatti. La tesi di Marco è che nell’estrema abiezione si rivela insieme l’amore del Padre e l’obbedienza del Figlio. L’umanità di Gesù viene presentata senza orpelli, in tutta la sua terribile negatività. Sappiamo che l’uomo “vero” si rivela quando sono scosse le istituzioni socio-culturali, le sovrastrutture che censurano, il groviglio di vipere che è nascosto nel cuore dell’uomo. Allora il fondo più profondo dell’uomo manifesta tutti i suoi eroismi e le sue volgarità. Quando i tempi sono normali, le misure medie hanno il predominio, malvagità ed eroismi sono tollerabili, ma quando viene il momento dell’agonia, allora tutto sprofonda. Cosa c’è nell’uomo? Chi è l’uomo? Com’è l’uomo? Tutto diventa possibile! Allora il primo papa, messo nella necessità di esporsi pubblicamente come discepolo di Gesù, dichiara di non riconoscerlo (Lc 22,34). E invece, un centurione pagano confessa: “Veramente quest’Uomo è Figlio di Dio” (Mc 15,39). Ecco: la confessione di fede non viene dal capo della chiesa, ma da un non credente. La fede, supportata da dogmi e strutture religiose, è certamente facile; ma se ci troviamo nell’ombra dell’agonia allora la ‘fede’ diventa ‘fiducia’: Alle tue mani affido il mio spirito… אַפְקִ֪יד ר֫וּחִ֥י  בְּיָדְךָ֘ (Sal 31,6 = Mc 15,34).

L’apparente trionfo del male!   Arriva il tempo del silenzio, in progressione fino al grande vuoto del Sabato Santo, quando l’altare resta spoglio, le campane mute, senza messa né comunione. Sembra il trionfo del male! Oggi siamo disorientati da quanto ci succede intorno e dentro di noi. Il silenzio, amico dell’anima, per non perderci nel frastuono, in attesa della gioiosa esplosione pasquale. Il silenzio vero: non quello guardingo consigliato dal proverbio: “Bocca chiusa, occhi aperti”. Non il silenzio della colpa, di Giuda durante l’ultima cena. Ma il silenzio di Maria, ai piedi della croce. Stabat! Nel silenzio dell’attesa, senza perdere la fede nel Dio della vita, che atterra e suscita, che affanna e consola, che toglie una gioia per offrirne una più grande e duratura. Programmiamo attività e orari in modo da partecipare alle funzioni della Settimana Santa, non come turisti o spettatori, ma protagonisti e credenti. Le cerimonie sono suggestive per insegnamenti teologici, drammaticità di situazioni, lussureggiante simbolismo. Siamo invitati a seguire il Signore dal suo ingresso festoso a Gerusalemme, fino al calvario, dove tutto muore e dove tutto risorge, per sempre. Se sentiremo bussare alla porta del cuore, se proveremo la nostalgia del pulito, il bisogno di amare, la voglia di perdonare, è Gesù. Apriamogli la porta! Allora sarà Pasqua! BUONA VITA!

A cura del Gruppo biblico השרשים הקדשים Le Sante Radici

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