LA NOTA. Arrestati Gaetano Barbato e Alessandra Ferrante. Se lo Stato non mantiene i patti, disonora se stesso e ammazza la civiltà democratica

7 Marzo 2019 - 19:11

CASERTA(g.g.) La notizia degli arresti di Alessandra Ferrante, fondamentale testimone nei procedimenti contro l’imprenditore di camorra Angelo Grillo, il cui sistema criminale ha contribuito, in maniera decisiva, a scoperchiare, e di Gaetano Barbato, anche lui importante collaboratore, utile nella cardinale inchiesta, sempre riguardante Angelo Grillo, in questo caso però relativa alla corruzione nel settore dei servizi sociali del comune di Caserta, per la quale sono stati condannati, tra gli altri, l’ex vicesindaco Ferraro e l’ex dirigente Pino Gambardella, ci suggerisce una riflessione che definire garantista non sarebbe riduttivo, ma semplicemente stupido. Perchè qui non si tratta di giustizialismo e di garantismo, ma di banale logica, di una vicenda che attiene ai principi generali di una civiltà democratica che non possono essere calpestati anche di fronte ad emergenze nazionali.

La Ferrante e Barbato sono stati ultimamente arrestati, per effetto dell’applicazione della nuova legge “Spazza corrotti” che contiene una farneticante norma che rende retroattiva la cancellazione, per alcuni reati, durante la fase di esecuzione, dei benefici legati alle cosiddette pene alternative al carcere.

Quando la demagogia assume una posizione centrale nel meccanismo di formazione del consenso, cioè tracima in quello che viene definito populismo, capita che anche un’esigenza avvertita, com’è senz’altro quella legata alla necessità di rendere più dure ed effettive le pene nei confronti dei corrotti, soprattutto di quelli della pubblica amministrazione, si trasformi in una norma giacobina, in una sorta di mitragliatrice che lavora applicando lo slogan “Adò

cojo cojo“.

Una legge attesa, utile, sanamente popolare diventa un abominio autentico, una roba anti costituzionale non a causa di minuzie, ma perchè travolge la legge, il buonsenso e la normale logica di una giustizia che è anche e non può, non essere anche, buonsenso. 

L’errore che alla lunga logorerà, indebolirà il Movimento 5 Stelle, a cui in tanti hanno guardato con interesse quale chiavistello possibile per scardinare il malaffare e la corruzione che imperano sovrani negli uffici della pubblica amministrazione italiana, finiranno per ricredersi, come si ricredettero quelli che prima elevarono Robespierre a leader della Rivoluzione francese, successivamente se ne sbarazzarono perchè questi fornì la prova, più che la sensazione, di giocare una partita personale, finalizzata a soddisfare, sadicamente, un’attitudine, forse ad un atavismo violento che puntava all’eliminazione fisica e non alla giusta punizione dei rei del malaffare monarchico.

La recente legge “Spazza corrotti” doveva essere fatta, ma in maniera molto più seria. Perchè se tu scrivi un testo che cambia i meccanismi delicatissimi, a partire da quello che ha regolato, fino ad oggi, l’esecuzione della pena, attraverso l’utilizzo di norme che hanno consentito l’applicazione di forme di espiazione alternative, devi essere in grado, se sei un legislatore serio che legittimamente porta avanti le idee e i programmi premiati dagli elettori, e non un Robespierre “de noatri”, da grandi magazzini, devi affermare sin dall’inizio che quella partita, ripetiamo delicatissima, in quanto attinente al problema, non certo irrilevante, del “carcere sì o del carcere no”, dell’affidamento ai servizi sociali o di altre forme di messa in prova per coloro i quali incassano condanne definitive inferiori ai 4 anni, inizia dal momento in cui quella legge viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. 

Da quell’istante in poi, cioè dal momento in cui la legge, ripetiamo, entra in vigore, tu, legislatore vai ad applicare, attraverso lo strumento fondamentale che la costituzione ti mette a disposizione, la tua sensibilità politica, premiata democraticamente dagli elettori. Ma al di la di questo non puoi andare, perchè altrimenti diventi eversivo. Non puoi superare, dunque, i confini di un diritto naturale che, nel caso specifico, coincide con il nostro diritto costituzionale.

Come cazzo fai ad applicare retroattivamente la cancellazione dei benefici, infliggendo quindi la galera quale esclusiva forma di espiazione per i condannati a causa di reati specifici, quali la corruzione, il peculato e l’abuso d’ufficio?

Un interrogativo banalmente retorico, che contiene in sè una risposta indignata. Perchè nella storia giudiziaria di uno che ha ricevuto una condanna definitiva per i reati appena citati, ma l’ha incassata precedentemente all’approvazione della legge, addirittura anni prima della sua pubblicazione, ancor “più addirittura” anni prima rispetto al tempo in cui se n’è cominciato a parlare all’interno dei programmi politici ed elettorali del Movimento 5 Stelle, non c’è solamente il passaggio in giudicato di questo verdetto, ma ci sono anche delle scelte discrezionali, delle opzioni che quell’imputato, quella persona ha adottato, insieme ai suoi legali, per cercare di limitare, il più possibile, il danno reclusivo dell’espiazione.

I legislatori dello “Spazza corrotti” forse non si sono resi conto che una condanna diviene definitiva, passa in giudicato, non solo quando la corte di cassazione emette la sua decisione tombale. Ma la definitività di una condanna può essere, e molto spesso lo è, anche frutto di una scelta che potremo definire di economia dell’esecuzione penale. Ad esempio, un patteggiamento o anche la decisione riflettuta e volontaria di non presentare ricorso in appello o in Cassazione ad una sentenza di condanna di primo o di secondo grado.

Queste decisioni, queste opzioni sono espressione di un diritto, costituzionalmente riconosciuto al cittadino e sono assunte in base, in considerazione alla “legislazione pro tempore“, al sistema delle leggi così come questo è in vigore nel momento preciso in cui un imputato decide, per esempio, di affrontare un processo o di proporre al tribunale e dunque allo Stato, un patteggiamento.

Patteggiamento è una parola impegnativa perchè non ha solo un significato riguardante l’ambito giudiziario. Il patto, fondamento del diritto civile così come questo si è formato nell’antica Roma (Pacta sunt servanda), è qualcosa che va al di la, che investe l’onore delle persone o delle istituzioni che un patto firmano. Non a caso, nei paesi della cosiddetta Common Law, è stato istituzionalizzato, regolamentato normativamente il cosiddetto Gentlemen’s Agreement.

E “ri-cazzo”, se un cittadino patteggia con lo Stato, stipula, stringe un patto tra gentiluomini, in cui il primo si accusa di un delitto e accetta di espiarlo nella maniera prevista dalle normative vigenti; il secondo, cioè lo Stato, mantiene la sua parola e ti applica, attraverso un tribunale di sorveglianza, l’ammissione alla messa in prova, ai servizi sociali eccetera.

Adesso, se 4 anni fa un cittadino ha patteggiato 3 anni, e lo ha fatto perchè in quel dato momento sapeva di poter accedere, giusto o sbagliato che fosse, alla espiazione alternativa al carcere, tu, Stato, non puoi venire adesso a dire, va bè, ho scherzato, ho fatto un patto con te, ma siccome sono lo Stato e sono grosso, figo e forte, me ne fotto, lo disattendo e ti sbatto in galera. 

Una roba del genere non è solamente anti costituzionale, ma è incivile. Si tratta di un arretramento pericoloso, rozzo, mefitico della civiltà del diritto.

Ok, noi siamo d’accordo a ché i corrotti finiscano in carcere. Ma questo deve avvenire dal giorno in cui la legge è divenuta esecutiva e ogni cittadino ne è consapevole potendo così sviluppare pienamente e nella maniera conseguente il suo diritto alla difesa. 

In caso contrario, anche un bambino della prima elementare, si rende conto che è stato violato l’articolo 3 della Costituzione sulla parità di ogni cittadino davanti alla legge.

Questo è tutto.