LA NOTA. Il professore casertano Tanzarella risponde al Cardinale Ruini, mentre due delibere comunali stravolgono la storia della città
6 Dicembre 2019 - 09:15
Caserta – (pasman) La pochezza della giunta comunale è un dato oramai ampiamente acquisito. Non c’è casertano di buon senso e che non sia accecato dalla ideologia il quale vi speri ancora qualcosa di buono per la città. E dunque, nell’ottica della riduzione del danno, c’è solo da augurarsi che smammi quanto prima possibile. E che ci si metta alla ricerca del nuovo sindaco, che, per rettitudine e capacità, possa finalmente mettere Caserta sulla strada dello sviluppo e della crescita civile.
Le ultime del governo cittadino hanno avuto del clamoroso. La delibera 168, sull’ipotizzata costruzione della nuova scuola Radice nell’area del Macrico, è un capolavoro di incompetenza e di cinismo istituzionale. Il documento, che fa strame della storia cittadina arrivando persino a postecipare la morte di Vanvitelli di un anno, è stato raffazzonatamene preparato e butta lì, venendo bovinamente firmato dagli assessori non si sa con quale scopo.
La delibera 191, con cui la storica piazza Carlo
La prima, di ordine formale, perché la delibera, nel suo dispositivo, incorre in un errore madornale, confondendo il nuovo nome che si vorrebbe dare alla piazza con il vecchio, che ribadisce. La seconda, più seria, perché introduce un grave fattore di fraintendimento e confusione con il collegato viale Carlo III, la cui denominazione, peraltro, non ci pare possa essere modificata a cuor leggero, nel senso immaginiamo auspicato dalla giunta casertana. Sia per un fatto procedurale, dovendosi investire all’uopo i comuni attraversati dall’asse viario, ma specialmente per il rivolgimento che conseguirebbe negli indirizzi delle sedi sociali della miriade di attività produttive, economiche e commerciali che insistono per tutto l’intero percorso, con la conseguente necessità di aggiornamento dei pubblici registri e di una aggiornamento per i privati di tutta la parte documentale e pubblicitaria delle proprie attività.
E chissà cosa ancora c’è in serbo, in una realtà in cui la cultura viene confusa con le sagre, l’enogastronomia e con gli allestimenti e gli spettacoli di intrattenimento per la festa di turno, Natale, Pasqua o Ferragosto che sia.
Proprio su questo piano, giorni fa riferivamo della grave questione gestionale della biblioteca diocesana. Ebbene, la situazione pare precipitare, se, come si apprende da una ricognizione dei dati di inventario, nei mesi da settembre a novembre, da un periodo di costante accrescimento, l’incremento di opere è stati pari a zero.
Della biblioteca comunale neanche più parliamo, perché, a parte le continue disfunzioni logistiche, come si può qualificare una città capoluogo che manca persino ed incredibilmente di un’emeroteca ?
Giorni fa, il professore casertano Sergio Tanzarella ha pubblicato, sulla prestigiosa testata online Adista, un suo scritto, una lettera aperta, sul “ruinismo” – locuzione che designa il ruolo avuto dal cardinale Camillo Ruini nella conduzione della Conferenza episcopale negli anni dal 1991 al 2007 – nel quale peraltro evoca anche la figura del vescovo emerito Raffaele Nogaro, che ha onorato ed onora la nostra città.
Dichiariamo subito che siamo totalmente impari rispetto agli argomenti addotti da Sergio Tanzarella per poter sostenere qualsiasi nostra personale opinione in proposito, affrontando egli questioni ardue, profonde e che presuppongono studio ed approfondimento ai livelli massimi. E non a caso Tanzarella è un reputato intellettuale nel senso pieno del termine e ben oltre i confini nazionali. Ma una cosa la comprendiamo: egli è una risorsa preziosa per Caserta. E come tale, come si farebbe in qualsiasi altro capoluogo degno di questo nome, lo si dovrebbe assumere come riferimento pubblico per dibattiti sensati ed iniziative autenticamente culturali da promuovere nella cittadinanza, ad iniziare dai giovani, per abituarli al confronto ragionato delle idee. E se ne dovrebbe valorizzare l’opera di pensatore, come avviene in ogni territorio baciato dalla fortuna di esprimere figure insigni.
Ed invece la compagine municipale ostenta, rispetto ad una esigenza civile di tale matrice, una noncuranza ed una indifferenza che fanno raccapriccio, persa dietro ai nuovi palazzi da edificare o nell’assecondare, per facile consenso di chi ci guadagna e dei giovani che blandisce, l’evasione senza regole.
La nostra opposizione a tutto questo è ferma e la esprimiamo nella forma che ci è possibile pubblicando, in controtendenza locale, la lettera di Sergio Tanzarella, chiarendo solo le circostanze di fatto che l’hanno occasionata.
Essa prende le mosse dalla recente intervista rilasciata dal cardinale emerito Camillo Ruini ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, nella quale il porporato avrebbe espresso, almeno secondo l’opinione di molti commentatori, una sorta di endorsement della Chiesa nei confronti di Matteo Salvini, a cui seguiva anche un incontro tra i due. Da qui le varie prese di posizione sulla stampa nazionale sulla portata e sul senso di tale sostegno. A titolo meramente indicativo ricordiamo ai nostri lettori che desiderassero approfondire il tema il rilevante approfondimento a firma di Matteo Natuzzi sul Il Foglio Quotidiano del 9 novembre dal titolo “La Chiesa dell’Irrilevanza”, l’intervento di Rodolfo Casadei di Tempi, le dichiarazioni di don Gino Rigoldi e don Antonio Mazzi sul periodico Famiglia Cristiana il report di Simona Maggiorelli di Left, o ancora la nota di Lorenzo Bertocchi su La Verità, o l’intervista di Giorgio Vittadini di Comunione e Liberazione su La Repubblica, o quella del vescovo di Mazara del Vallo, o ancora di padre Bartolomeo Sorge a Marco Damilano, per non dire delle analisi sviluppate da giornali come Avvenire, Huffington Post, Libero o il Dubbio.
Ops !, quasi dimenticavamo di avvertire che la biblioteca comunale di Caserta, comune capoluogo suo malgrado, se voleste documentarvi, di tutto questo, ovviamente, non ha niente.
Questo, il testo della lettera di Sergio Tanzarella
Signor cardinale Camillo Ruini,
ho letto la sua intervista al Corriere della Sera. Alcune sue affermazioni meritano una pubblica risposta in nome della verità. Lei afferma che «il “cattolicesimo democratico”, in concreto il cattolicesimo politico di sinistra, in Italia abbia sempre meno rilevanza». È vero, ma non si chiede perché? Dopo che, dal 18 aprile del 1948 l’unità politica dei cattolici ci è stata presentata quasi come un dogma, per i circa vent’anni della sua presidenza siamo stati emarginati e perseguitati con ogni mezzo. Anche il solo ricordare i princìpi costituzionali dello “Stato sociale” significava essere condannati nella Chiesa italiana come sovversivi. Erano gli anni in cui i suoi interlocutori si chiamavano Bossi e Pivetti, Casini e Formigoni, Fini e Berlusconi. La vera crisi del cattolicesimo italiano è nata allora, accompagnata dal riconoscimento e dall’onore offerto alla categoria degli atei devoti, dai Ferrara ai Pera, quel presidente del Senato che denunciava il pericolo del meticciato. Mentre ci si trastullava dietro la sigla dei “valori non negoziabili”, nelle retrovie della Chiesa italiana si dissolveva il senso della solidarietà, dell’accoglienza, della giustizia sociale, dell’umanità. Altrimenti come sarebbe oggi possibile ritrovare tanti cattolici, e aimè non pochi preti, che affermano senza vergogna “prima gli italiani” e “chiudiamo i porti” approvando le parole e le azioni di Salvini? Riconoscendosi anche in quelle più blasfeme dell’agitare rosari e Vangelo che lei a cuor leggero giustifica come «affermazione della fede nello spazio pubblico».
Signor cardinale, questo proprio non posso accettarlo. Lei non può ignorare che per un cristiano impegnato in politica lo spazio pubblico si occupa non con il crocifisso di legno o con i rosari ma con politiche che si fanno carico dei crocifissi di carne, quegli stessi che Salvini e i suoi seguaci, e purtroppo non solo loro (veda Minniti), hanno fatto annegare nel Mediterraneo o permettono che vengano reclusi nei lager libici. La ragione dell’impegno primo e ultimo del cristiano è occuparsi dell’ingiustizia sistemica che da sempre domina il mondo e cercare i modi più utili e nonviolenti per disinnescare un sistema che stritola gli esseri umani, soprattutto quelli privi di garanzie e protezioni. Altri motivi per occuparsi di politica non ve ne sono.
Signor cardinale, se la solidarietà è per la legge italiana un reato (veda i decreti sicurezza vigenti) e se l’esercizio dell’odio è diventato la precondizione della fede di molti, è chiedere troppo che ci si interroghi sul come sia stato possibile giungere a tanto sfacelo? È legittimo chiedersi se il progetto culturale, le Settimane politiche dei cattolici, i piani pastorali, le celebrazioni costantiniane, il regime dei privilegi, hanno portato a tutto questo. Certo, non nelle intenzioni (spero oneste e buone), ma nei fatti occorre valutarne il fallimento. Forse occorreva dare ascolto alle voci libere che lei ridicolizzava e reprimeva: i vescovi Bello, Bettazzi, Nogaro e i non pochi autentici preti ispiratisi al Vangelo e tanti cristiani coraggiosi ed emarginati, mentre al contrario si dava spazio a figure genuflesse e pavide, carrieristi incapaci e disinteressati ad incidere nella società e nella Chiesa e si affermava il clericalismo dilagante che abbiamo di fronte, anche con le ben note cordate episcopali legate ai movimenti.
Ma lei era troppo impegnato ad esaltare le guerre italiane mascherate da “missioni di pace”, a celebrare i funerali dei soldati italiani che lei definiva martiri (mentre migliaia di soldati si sono ammalati e sono morti a seguito dell’uranio impoverito), a sperimentare nuovi collateralismi di destra e alleanze con i vincitori, a perseguire il primato della diplomazia sulle esigenze della parresia del Vangelo, a negare i funerali religiosi al povero Piergiorgio Welby che non chiedeva né eutanasia né suicidio ma solo che venisse sospeso quell’accanimento attraverso macchine che gli imponevano una respirazione artificiale in una condizione estrema che nessuno ha il diritto di giudicare.