LA NOTA. Può entrarci la crisi della magistratura con la lotta alle mafie e alla corruzione degli enti pubblici? Sabato ne parlerà l’ex procuratore aggiunto, oggi CSM, Antonio D’Amato

20 Maggio 2021 - 17:22

Il convegno organizzato da Libera, in occasione della strage di Capaci, ci fornisce il destro per esprimere un nostro punto di vista sull’argomento trattato

 

CASERTA –  (Gianluigi Guarino) Chissà se costituisca solo una brutta notizia la crisi della magistratura di cui ultimamente tutti parlano e che riguarda comunque una categoria di esseri umani, fatti di molto terrena e debolissima carne e, nel nostro caso, come avemmo a notare, al tempo in cui venì fuori il nome di qualche magistrato casertano nell’affaire-Palamara (CLIKKA QUI

), fatta pure di un impasto, prodotto da una peculiarità tutta nostra, che potremmo definire il marchio dop degli italians, cioè di un popolo afflitto da molti vizi e gratificato da pochi pregi.

E’ normale che il tema della crisi della magistratura sia destinato a riecheggiare in questi giorni, in cui ricorre l’ormai l’anniversario, siamo arrivati a 29 anni, della strage di Capaci e dell’omicidio di Giovanni Falcone.

Se la crisi della magistratura è solo una brutta notizia, ce lo diranno i prossimi mesi, ce lo diranno il ritmo e la qualità delle indagini dei pubblici ministeri sul nervo scoperto, ma ampiamente abituato ad esserlo, sulla corruzione nel settore pubblico, variabile indipendente finanche rispetto alle mafie che molto spesso la alimentano.

La scoperta dell'”acqua calda” ha portato impietosamente in superficie la “carne debole”, anzi debolissima, di diversi magistrati che hanno svolto e forse svolgono ancora, la propria professione come se fossero dei politici, con più di uno scivolamento politicante, potrebbe condurre ad un arretramento nella lotta ai reati corruttivi. Si tratterebbe di un passo del gambero nefastamente compensativo rispetto all’uso improprio che qualcuno dei componenti della magistratura italiana, purtroppo non pochi, ha fatto del potere giudiziario, che, in una sorta di relazione endo-costituzionale, si ordina e si realizza, almeno in una delle sue parti fondamentali, attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale.

Se succederà questo, potremo affermare che la crisi della magistratura è stata, rappresenta e rappresenterà solo una brutta notizia. La lotta alla corruzione è una architrave perchè i reati contro la pubblica amministrazione, cioè la corruzione, la concussione, il falso ideologico, il peculato, un particolare tipo di truffa, i casi più gravi di abuso di ufficio eccetera stanno dentro, maledettamente dentro, oggi, ancora più di ieri, al meccanismo di riproduzione delle mafie, ripensatesi e ridefinitesi rispetto al tritolo di Capaci e di via D’Amelio, attraverso rinnovate e sempre più sottili trame dell’infiltrazione all’interno della pubblica amministrazione che non comprendono più l’ausilio del ferro e del piombo. Se sarà così, se si registrerà questo arretramento, riteniamo di poter affermare, con una metafora assolutamente legata alle stragi del 1992, che una seconda esplosione seguirà come in una sorta di reazione a catena, la prima deflagrazione avvenuta a seguito del caso-Palamara.

Potremo dunque impostare il seguente discorso, partendo da un interrogativo retorico: i magistrati hanno utilizzato la loro funzione fondamentale per fare carriera o per colpire chi ritenevano fossero loro avversari politici? Se è andata così e purtroppo è andata così, ora, essendo stati sgamati, aspettatevi una deriva contraria ma forse ancora più nefasta di quella che l’ha scatenato, cioè del primo problema, della causa rappresentata dalla crisi della magistratura.

Aspettatevi, dunque, una “Cosa” che, com’è del tutto, ad esempio, dai nostri quotidiani resoconti giornalistici, i mariuoli, ancora numerosissimamente proliferanti negli uffici dei comuni, delle regioni, dei cosiddetti enti strumentali (vogliamo parlare dell’Asl, del Consorzio Idrico, del Consorzio di Bonifica e dell’Asi di Caserta, quintessenza di tutte le imposture che si consumano negli uffici della maggior parte dei nostri comuni?), dei ministeri eccetera, definiscono garantismo, screditando e umiliando questa nobilissima parola, simbolo dei valori liberali, ma che si configurerebbe solamente come l’arretramento di un pensiero debole, il quale porterebbe fuori strada, all’estremo opposto, l’esercizio dell’azione penale, esattamente come questo è andato fuori strada, quando è stato utilizzato impropriamente per colpire e spesso, colpendo, per edificare carriere.

Occorre equilibrio. E se un magistrato ha la coscienza pulita, se un magistrato è intellettualmente onesto, se gli risultano chiari l’estinzione e i limiti della sua potestà, dato che non è in quanto sia magistrato possa prevalere anche sulla legge, se si pone davanti ad una eventuale notizia di reato, come è giusto e costituzionale che si ponga un pubblico ministero, un procuratore o un sostituto procuratore rappresentanti, per procura appunto, la repubblica italiana, il problema non si porrà. 

Questo magistrato, infatti, si rimboccherà le maniche e, come si è usato poco negli ultimi 20 anni, partirà dal presupposto che un’indagine non si potrà realizzare con il suo rispettabile deretano sempre appiccicato alla poltrona, incrociando solo intercettazioni o propalazioni di collaboratori di giustizia, come se si stesse in spiaggia a distendersi con la settimana enigmistica. Saprà bene, quel magistrato, che l’indirizzo sagace dell’attività della polizia giudiziaria gli consentirà, partendo dalle intercettazioni, partendo dalle propalazioni dei pentiti che costituiscono spunto e non traguardo di un’indagine, di trovare tutti i riscontri lavorando sui documenti, incrociando le parole agli atti prodotti, ad esempio, da un’amministrazione pubblica.

Ci rendiamo conto che queste pratiche siano molte faticose. Ma cavolo, se uno fa il magistrato ha anche un sacco di privilegi e comunque quel mestiere se l’è scelto lui. Non può impaccare le richieste di applicazione di misure cautelari propinate a gip magari giovani che, per anni, intimiditi dall’onda d’urto e dalla cifra mediatica delle procure, si sono limitati a fare le fotocopie delle richieste, corredate dalle informative di polizia giudiziaria, trasformandole acriticamente in atti ordinativi.

Questa è la vera riforma della magistratura che serve, una parola d’ordine ci deve essere. Una ed una sola: qualità, da cui discendono altre parole quali lavoro, competenza, acume, mazzo, esperienza. Basta con le indagini-logos cioè costruite nella loro elaborazione finale solo attraverso l’attività intercettiva e le dichiarazioni di pentiti che sono stati e probabilmente sono ancora dei delinquenti incalliti, divenuti collaboratori per convenienza e non certo per convinzione, anche perchè, come stanno dimostrando le ultime sentenze, già in corte di appello, questa impostazione viene sistematicamente bocciata, così come stiamo dimostrando in questi giorni, con la lettura e il commento delle motivazioni di un numero sempre più cospicuo di assoluzioni, già sentenziate in secondo grado, di imprenditori e di politici.

Ultimamente, abbiamo strabuzzato gli occhi davanti a quella dell’ex sindaco di Villa Literno ed ex consigliere regionale Enrico Fabozzi (CLIKKA QUI). Peraltro, il modo con cui sono state condotte certe indagini produrrà un ulteriore e pesantissimo danno. Sapete perchè? Qualcuno di questi politici e di questi imprenditori ha avuto realmente a che fare con la camorra e alla camorra si è rapportato, le giuste assoluzioni che li gratificano oggi, non sono frutto di una lapalissiana evidenza della loro innocenza, bensì dell’impossibilità che un tribunale o una corte appena seri incontrano nel momento in cui devono condannare una persona senza avere a disposizioni prove inconfutabili.

Abbiamo scritto queste breve considerazioni dopo aver incrociato la locandina di un interessante convegno, organizzato da Libera Napoli: “Crisi della magistratura, lotta alle mafie e alla corruzione, rigenerazione della politica: cosa bisogna cambiare?“.

I convegni, si sa, devono fare il loro mestiere di convegni e non inseguono certo l’obiettivo di essere determinanti nella costruzione di un concreto progetto di riforma che nasce da idee ampie finchè si vuole, ma che vanno comunque pragmaticamente circoscritte, altrimenti, come si suol dire, ci si disperde e non “s’accocchia niente“. E allora, se è vero che questo titolo è metafisicamente troppo ambizioso, è anche vero che, preso a pezzi, per blocchi concettuali, ha un’utilità. Se è sensato infatti mettere in relazione le mafie alla corruzione e ad una politica, sempre più impresentabile, è parimenti evidente che si tratta di comparti tematici che possono essere relazionati utilmente solo dopo essere stati sviscerati uno per uno.

Non è utile, infatti, avventurarsi nel pur affascinante percorso di relazione contestuale tra mafie e corruzioni, perchè si rischia di disperdere energie intellettive ed intellettuali. La corruzione in Italia è, infatti, una peculiarità purtroppo di tipo antropologico. Per cui, non è facilmente estirpabile, non è riconducibile ad una cifra, diciamo così, fisiologica che la collega alla natura generale dell’uomo. In pratica, è una variabile indipendente.

Se non si parte da questo assunto, non si potrà mai capire bene quale sia la difficoltà e quali siano i mezzi investigativi occorrenti per combattere quello che, ripetiamo, prima di essere un sistema criminale, è un sistema antropologico, anche questo appartenente alla categoria delle tipiche strutture italians.

La fortuna di questo convegno, che si svolgerà dopodomani, cioè sabato 22 maggio alle 17, ovviamente in rigida versione webinar, cioè online, è che ci sarà un magistrato il quale, quando ha operato qui da noi, si è mosso in maniera anticiclica. Perchè, diciamocela tutta, Antonio D’Amato, per anni procuratore della repubblica aggiunto in quel di Santa Maria Capua Vetere, pur non essendo titolare della delega riguardante i reati nella pubblica amministrazione, ha dimostrato, in una delle indagini più importanti della storia giudiziaria della nostra provincia, quella che finalmente ha abbattuto i sancta sanctorum dell’Interporto, o meglio, del presunto Interporto di Marcianise e Maddaloni, di interpretare la sua professione con rispetto sacrale. Con quella che, utilizzando un ossimoro, potremmo definire “sacralità laica” in funzione dei “comandamenti costituzionali.”

Noi che per anni abbiamo scritto delle nefandezze e del becero comitato d’affari impiantato, alimentato e consolidato nel tempo, tra politici e pseudo imprenditori, in funzione di operazioni speculative che nulla avevano a che vedere con la mission di un vero Interporto, abbiamo conseguentemente saputo leggere l’ordinanza, frutto della richiesta formulata al tribunale da Antonio D’Amato, con alta cognizione di causa.

Certo, non è gioiosamente “friccicarella” e divertente come quelle che contengono tanta pruderie, tante intercettazioni variamente connotate. E’ un’ordinanza ricca di rilievi tecnici, di ineccepibili riscontri documentali, complessamente intrecciati tra di loro, in un’interpretazione dei procedimenti amministrativi in grado di smascherare la nefanda relazione tra gli imprenditori dell’Interporto e l’amministrazione comunale di Marcianise. Insomma, roba seria. Ecco, quell’ordinanza rappresenta un esempio di una solida e credibile manifestazione della già citata parola strutturale di cui abbiamo scritto prima.

Quelle pagine sono “qualità investigativa“, frutto di ore, ore e ancora ore, trascorse a studiare norme urbanistiche spesso, a dir poco, criptiche, insieme a valorosissimi e preparatissimi ufficiali della guardia di finanza del Comando provinciale di Caserta.

Quell’ordinanza è qualità pura, costituita attraverso il suo tessuto connettivo a cui abbiamo fatto riferimento prima, e cioè il lavoro, la competenza, il mazzo grande che è disposto solo a farsi chi ha passione per quello di cui professionalmente si occupa nella propria vita.

Noi di CasertaCe, del resto, possiamo parlare e scrivere solo di Antonio D’Amato, dato che abbiamo avuto la fortuna di conoscere il suo lavoro che oggi ha traslato nella sua alta funzione di componente togato del Consiglio Superiore della Magistratura. Dalla locandina si legge che tra i relatori ci sarà anche Gianfranco Nappi, direttore editoriale di Infiniti Mondi.

I saluti saranno portati da Antonio D’Amore, referente provinciale di Libera-Napoli, gli interventi principali del convegno veranno introdotti da Leandro Limoccia, componente del coordinamento provinciale di Libera-Napoli, nonchè docente dell’Università Federico II. La moderazione sarà affidata alla giornalista Silvia Grassi.

Per partecipare e assistere al convegno, si dovrà accedere attraverso il link del seguente indirizzo: meet.google.com/ipt-ijbn-wpo.