PREOCCUPANTE. Con questi pentiti “sciuè sciuè” va a finire che tra Appello e Cassazione ci saranno tante assoluzioni su CAMORRA e politica. Su Fabozzi “demolito” Massimo Iovine

19 Maggio 2021 - 11:32

Una breve nota di presentazione allo stralcio, integralmente pubblicato, delle motivazioni che la corte ha scritto per motivare l’assoluzione dell’ex consigliere regionale ed ex sindaco di Villa Literno, dal reato di voto di scambio con implicazioni camorristiche riguardanti le elezioni comunali del 2003 e in parte anche quelle del 2008

 

VILLA LITERNO – (g.g.) Abbiamo letto con molta attenzione le trenta pagine con le quali la Corte d’Appello di Napoli, partendo della contestazione contenuta nel capo di imputazione originario, arriva all’assoluzione degli imputati che in primo grado, invece, erano stati condannati per il voto di scambio con valenza camorristica di cui si sarebbe giovato, alle elezioni comunali del 2003 ma anche a quelle del 2008, Enrico Fabozzi, vincitore in entrambi i casi.

Si tratta di una delle diverse sezioni del processo, celebrato dal 2013 in poi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sui rapporti tra clan dei casalesi, imprese a questo considerate associate e politici.

Compito nostro è quello di sintetizzare le motivazioni addotte dalla Corte di Appello per ribaltare la sentenza di primo grado. Nel capo B che si occupa della vicenda erano imputati, oltre ad Enrico Fabozzi, anche il suo consigliere comunale di maggioranza Nicola Caiazzo, un altro Caiazzzo cioè Vincenzo detto Stefano, padre dell’allora fidanzata del capozona del gruppo Bidognetti in quel di Villa Literno, cioè il killer Massimo

Iovine, divenuto poi collaboratore di giustizia e anche lui imputato con ampia profusione di chiamate in correità. E ancora, Francesco Diana, altro esponente bisdognettiano, divenuto collaboratore di giustizia, al pari di Gaetano Ziello, che mette insieme, a sua volta, sia lo status di imputato che quello di pentito, e Luigi Guida, capo della fazione storica di Bidognetti del clan dei casalesi, con gradi attribuitigli dallo stesso boss Cicciotto e Mezzanotte, nel periodo in cui “risiedevano” nello stesso carcere.

La sentenza di primo grado aveva valorizzato la ricostruzione di Massimo Iovine e non aveva dato evidentemente molto peso al fatto che questi, in una prima fase delle sue propalazioni, parlando dell’appoggio elettorale suo e del suo gruppo criminale ad Enrico Fabozzi, non aveva mai descritto incontri diretti avuti con il politico, salvo poi cambiare idea e ricordarsi, durante un confrotno con l’altro pentito Francesco Diana, di averlo incontrato due volte.

Una discrasia che Iovine aveva giustificato con la confusione, con lo stato di prostrazione legato alla scomparsa del fratello. Al tempo della sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere erano servite a poco le ampie e anche piuttosto circostanziate contestazioni, esposte dagli avvocati difensori, i quali avevano messo in evidenza diverse cose, a partire da quella appena citata, ma anche altri passaggi in cui le dichiarazioni verbalizzate di Francesco Diana, di Gaetano Ziello e di Massimo Iovine non apparivano coerenti tra di loro, men che meno sovrapponibili.

Ma soprattutto avevano fatto notare invano che Luigi Guida, cioè il capo, cioè colui al quale Massimo Iovine, da sottoposto, doveva comunque rispondere, aveva dichiarato di non aver dato nessuna direttiva per orientare alla maniera camorristica, cioè con minacce e violenze, il voto a favore di Enrico Fabozzi, limitandosi a lasciar libero Massimo Iovine, ma racomandandogli di non creare problemi anche in relazione alle note tensioni che a quel tempo opponevano l’area di Bidognetti con la camorra storica di Villa Literno, cioè quella della famiglia Tavoletta.

Prudenza che, aggiungiamo noi, non sarebbe poi bastata ad evitare lo spargimento di sangue, di omicidi di cui Massimo Iovine fu tra i protagonisti principali. In verità, Guida espone un ragionamento ancora più preciso, in cui si riconosce un marchio di fabbrica delle modalità con cui il clan dei casalesi stava sui territori. A volte i boss erano tirati un pò per la giacchetta ma loro, come notava nella sua dichiarazione Guida, non avevano bisogno di far vincere uno a scapito dell’altro, perchè poi chi aveva i soldati, chi controllava il territorio, rappresentava una forza tale che ogni amministrazione comunale di qualsiasi colorazione, avrebbe dovuto, dichiarava Guida, fare i conti con loro, garantirgli una parte, un provento collegato ad ogni gara d’appalto attribuita.

Guida dice che con Fabozzi parlò a lungo in un vertice tra capi che si sarebbe svolto nella casa di Nicola Ferraro e durante il quale sarebbe stato raggiunto un accordo preciso: Fabozzi si sarebbe impegnato a coinvolgere pesantemente il clan dei casalesi nelle gare d’appalto più grandi ma anche in quelle ad affidamento diretto o semi diretto, con importi minori. E comunque, dichiarava sempre Guida, sul meccanismo degli appalti di Villa Literno nasceva una sorta di società di fatto a tre nella quale lui, Fabozzi e Nicola Ferraro avrebbero spartito i proventi in parti uguali.

Fabozzi forniva a Guida la garanzia di trattenere a sè la delega ai lavori pubblici e di farsi affiancare da un dirigente dell’Ufficio tecnico di sua strettissima fedeltà. Quest’ultima parte del racconto di Luigi Guida, la immagazziniamo volentieri perchè, al di là dell’esito di questo processo, vogliamo effettura dei controlli. Nella parte delle motivazioni della sentenza che pubblichiamo in calce, leggerete che la Corte d’Appello ha esposto molte argomentazioni, in netta antitesi a quelle messe nero su bianco a suo tempo dal cosiddetto giudice di prime cure, in pratica il tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Ad esempio, sia Diana che Iovine avevano indicato in Vincenzo Catena uno dei due esponenti della loro fazione messi a presidio delle aree circostanti ai seggi elettorali durante le comunali del 2003. In effetti, fa notare la Corte d’Appello, Catena era un sostenitore di Zaccariello cioè del rivale di Enrico Fabozzi e che probabilmente era sostenuto anche dalla famiglia Tavoletta.

Ma quello che si capisce è la posizione intransigente, severa che i giudici di secondo grado esprimono sulle dinamiche temporali delle dichiarazioni di Iovine che fa passare anni tra il momento in cui parla per la prima volta dell’appoggio elettorale ad Enrico Fabozzi, anzi alla lista di Enrizo Fabozzi, anzi al candidato al consiglio comunale Nicola Caiazzo, sponsorizzato dal padre della fidanzata Vincenzo Caiazzo detto Stefano e che poi sarebbe stato l’unico a prendere impegni “a buon rendere” con il clan dei casalesi, e il momento in cui durante il confronto con l’altro pentito Diana, fa saltare fuori i due incontri diretti con Fabozzi, peraltro fondamentali nella costruzione dell’edificazione accusatoria.

Massimo Iovine – scrivono i giudici della Corte d’Appello – non è credibile nella giustificazione data per il cattivo ricordo visto che lo ha attribuito allo sconvolgimento dovuto al lutto familiare occorso poche settimane prima del confronto col il Diana laddove l’omesso coinvolgimento del Fabozzi riguarda interrogatori precedenti anche di anni.

Il resto lo leggete in calce nello stralcio in cui abbiamo estrapolato, al netto delle premesse relative alle ragioni della sentenza di primo grado e a quelle sposte dagli appellanti, la struttura integrale della motivazione dei giudici dell’Appello.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA