LA NOTA S.MARIA C.V. Le firme “abortite”. I soldoni regalati in prima commissione, vera assicurazione sulla vita di Antonio Mirra, restauratore della Prima Repubblica

28 Marzo 2019 - 19:33

SANTA MARIA CAPUA VETERE(g.g.) Quest’amministrazione comunale, senza volerlo, è nata sulle ceneri della cosiddetta Prima Repubblica, la quale si era, secondo i detrattori di quell’area politica, riaffacciata con la candidatura e l’elezione a sindaco di Biagio Di Muro.

Senza affrontare la vicenda giudiziaria che ha rappresentato comunque un fattore determinante nel disegno di nuovi equilibri della città, non poteva non essere l’avvento di Antonio Mirra a sindaco di Santa Maria Capua Vetere, un evento di discontinuità rispetto a quella stagione. Ed infatti, la narrazione di Mirra, nel corso della sua campagna elettorale, si è dipanata proprio attraverso l’alfabeto delle parole d’ordine legate al concetto di cambiamento. Il fatto che dentro alle sue liste ci fossero personaggi che avevano già amministrato la città, condividendo stagioni complesse e non certo nitidissime, contava fino a un certo punto, perchè Antonio Mirra, in quei primi mesi del 2016, tempo in cui anche plasticamente, materialmente la prima repubblica veniva demolita, diventava quasi automaticamente, per mera inerzia del corso degli eventi, l’attore del cambiamento, in grado di garantire anche per questi amministratori tutt’altro che di primo pelo o, con rispetto parlando, nei confronti di una esponente della famiglia Sepolvere, pesantemente correlata alla gestione spesso opaca dei parcheggi a pagamento in città, per questi amministratori.

La parentesi durante la quale, ai tempi di Iodice e Campochiaro, Mirra aveva svolto anche lui il compito di assessore comunale, sfuggiva alla percezione popolare e, dunque, non rappresentava, in quel frangente, un ostacolo all’affermazione della declinazione nuovista.

Il primo atto compiuto da sindaco è stato, di gran lunga, quello più importante, forse addirittura l’unico, dei primi 3 anni del suo governo: la creazione di una sorta di gabbia, di cluster attraverso cui si veniva a creare una condizione di reddito e di rendita variabili tra le varie commissioni consiliari. Il fatto non era istituzionalizzato. In poche parole, non leggerete da nessuna parte nei regolamenti del comune di Santa Maria Capua Vetere, nè in eventuali emendamenti degli stessi, non sappiamo se realizzati o meno da questo sindaco, che i componenti della prima commissione avrebbero avuto diritto a intascare circa mille euro al mese per questa loro partecipazione. Soldi che si andavano ad aggiungere agli altri emolumenti legati alla propria residenza in altre commissioni, quand’anche molto più morigerate, e alle presenze delle sedute plenarie del consiglio comunale.

Però, di fatto, è successo proprio questo, visto che la istituzionalizzazione della gabbia multi strato dei compensi ha connotato ogni singolo mese dei 32/33 attraversati da Mirra, dalla sua giunta e dalla sua maggioranza.

Sulla carta, i mille euro sono frutto di qualcosa come 25, 26 sedute al mese, così come abbiamo letto in uno dei tanti atti di liquidazione da noi pubblicati. Significa 300 sedute all’anno, 900 in tre anni. Roba che avrebbe dovuto produrre tutti gli atti preparatori della riforma delle leggi delle 12 tavole, magari mettendoci dentro anche qualche emendamento ai 10 comandamenti.

Fuor di cazzeggio, lo ripetiamo perchè ne siamo convinti, quello è stato l’atto più importante dell’amministrazione di Antonio Mirra. Una sorta di assicurazione sulla vita che gli consente e gli consentirà di rimanere a fare il sindaco e di rimanere a fare il presidente dell’Ato dei rifiuti.

Perchè, con tutto il rispetto dei consiglieri comunali Francesco Di Nardo del Pd e Gaetano Di Monaco, eletti per rappresentare la sezione del popolo sovrano che si oppone all’attuale governo cittadino, quando la metteranno questi una firma dal notaio, rinunciano così a mille 200, mille 300 euro al mese, intascati senza sforzo, in completo relax? Ecco perchè il pur legittimo tentativo di alcuni consiglieri di opposizione di raccogliere le firme per mandare a casa il sindaco e la giunta è fallito. Ed è per questo motivo che falliranno anche altri tentativi del genere.

Per una volta, vogliamo evitare considerazioni di tipo morale, che pur ci concediamo spesso, ritenendo che il modo in cui vediamo le cose e il mondo, legittimi la modalità con cui valutiamo e giudichiamo il modo con cui viene gestita la cosa pubblica nel territorio di nostra competenza professionale.

Dunque, neutralizziamo, anestetizziamo la valutazione.

Niente pistolotti, allora, ma dati di fatto: Mirra ha costruito la prima commissione, mettendo a disposizione di una rendita parassitaria, ingentissime risorse pubbliche per creare una sorta di giunta comunale di riserva, cioè di luogo in cui chi non aveva avuto o non poteva avere soddisfazione entrando nell’esecutivo o facendo entrare una propria testa di legno, si ristorasse in un altro organismo, dove, in linea di massima, avrebbe intascato gli stessi soldi di un assessore.

Non è materia opinabile perchè è scritta negli atti amministrativi di liquidazione dei gettoni che certificano l’ampia forbice che esiste tra un componente della prima commissione e i componenti di altre commissioni consiliari.

Riteniamo, a questo punto, che non possa essere considerato un giudizio morale l’affermazione che Antonio Mirra ha ragionato e applicato un metodo appartenente alle espressioni più degenerate della cosiddetta prima repubblica. E quando diciamo degenerate, non siamo in contraddizione con il nostro proposito di evitare giudizi di valore, visto che una roba del genere, anche chi conosce, come il sottoscritto, quei fenomeni collegati ad un sistema che a un certo punto impazzì e finì fuori controllo, difficilmente trova, nell’esercizio di un’attività di storico e non di opinionista, un esempio più evidente ed estremo di utilizzo clientelare, lottizzatorio del pubblico danaro. 

Lo stesso Antonio Mirra, riteniamo, debba convenire su questa valutazione in quanto la medesima prende le mosse dai presupposti appena illustrati. E allora, il cerchio si chiude, perchè non serve un’applicazione intensiva della logica aristotelica, per dire che l’essenza dell’amministrazione di Antonio Mirra è rappresentata proprio da quei metodi da “antico regime”, la cui narrazione demolitoria, congiunta ad una fortuna contingenza giudiziaria, ha costituito il propellente atomico che ha finito per creare, determinando una contraddizione a dir poco disarmante, lo strumento attraverso cui quest’amministrazione, dopo aver conquistato il potere, oggi lo mantiene.