La rivelazione dei pentiti: progettammo l’omicidio di Mario Russo, il figlio del pechinese. Non si fece più, perchè…

2 Settembre 2019 - 13:24

MARCIANISE(g.g.) Luigi Trombetta è stato una sorta di collaboratore di giustizia parziale, nel caso dell’omicidio di Giovanbattista Russo.  Nel senso che ha scritto di sua iniziativa due lettere ai magistrati della dda chiarendo tutti i particolari e confessando anche il proprio ruolo attivo, visto che fu lui ad avvertire Domenico Belforte della presenza di Russo presso l’autofficina di Pasquale Mezzacapo detto Pippetta.

Sono argomenti già trattati da noi. Ma c’è una piccola integrazione da fare: la telefonata che Trombetta fa a Felice Napolitano, un suo grande amico, a cui forse doveva anche la vita, visto e considerato che quando o’capitone stava con i Piccolo-Quaqquarone, si battè affinchè Trombetta non fosse ucciso, come vendetta all’omicidio di Angelo Piccolo, il quale, copriamo in questa occasione, viaggiava su un’auto dello stesso Luigi Trombetta, che quest’ultimo gli aveva dovuto dare come garanzia per un debito non pagato.

Dunque, la prima telefonata una volta avvistato Russo o’pechinese, l’ex pallavolista diventato boss non la fa a Domenico Belforte, ma proprio a Felice Napolitano. Lo informa di quella presenza, e Napolitano minimizza, dice che il clan ha cose più importanti da fare, che Giovanbattista Russo è uno scemo e che avrebbero potuto ucciderlo in ogni momento.

L’autorità giudiziaria sospetta che Trombetta, proprio in forza di questo vincolo di riconoscenza, voglia proteggere Napolitano non svelando un suo ruolo attivo nell’omicidio, quantomeno di raccordo tra quello che lui aveva avvistato e quello che Domenico Belforte avrebbe dovuto decidere. Ma in realtà Trombetta smentisce. Non esclude che Domenico Belforte e Felice Napolitano abbiano potuto parlare dopo la sua telefonata, probabilmente il boss avrà chiesto a Felice Napolitano ragione di quella sua frase finalizzata a minimizzare quello che invece per Domenico Belforte e minimizzabile non era, visto che Giovanbattista Russo era stato e rimaneva un bersaglio, un target dei Mazzacane.

Fatto sta che Trombetta trascorsi dei minuti non precisati, andò di nuovo a guardare cosa stesse succedendo nei pressi dell’autofficina, vide l’auto di Giovanbattista Russo, una Lancia Thema e non altro. Si accorse però dalla gente che arrivava, che l’omicidio era stato già compiuto. Il resto su Trombetta lo leggete nello stralcio dell’ordinanza qui sotto.

Il titolo però, lo merita stavolta Antonio Gerardi, altro personaggio di spicco del clan Belforte, capozona a San Nicola La Strada, di rilievo come indica il famoso mastrino del “ragionier” Bruno Buttone, con uno stipendio di ben 10mila euro al  mese.

Ebbene, Gerardi parla di un colloquio in carcere avuto nel 2006 con Michele Froncillo nel settore Volturno. Erano nella stessa ala e dunque avevano il passeggio in comune. E passeggiando elaborarono un piano: avrebbero ammazzato quello che definivano “il figlio del pechinese” perchè l’erede di Giovanbattista Russo, che riconosciamo in Mario Russo, non solo aveva confermato la piena militanza nel gruppo che, nel frattempo, era diventato quello dei Piccolo-Letizia, ma era uno dei più assidui nell’attività di estorsione a imprenditori e commercianti.

Quel delitto, racconta Gerardi, non si fece più perchè Mario Russo diventò collaboratore di giustizia.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA