L’EDITORIALE. Mezzo milione di euro dall’ASL all’impresa di Vincenzo Corvino. La Prefettura di Caserta si dia una svegliata e valuti con attenzione il nostro punto di vista

6 Dicembre 2022 - 13:18

A distanza di un paio di settimane, siamo costretti a tornare sull’argomento, dopo aver ritrovato una delibera firmata dal direttore generale Amedeo Blasotti, quello sanitario Enzo Iodice e l’amministrativo, Giuseppe Tarantino, di cui spieghiamo i contenuti in un altro articolo. Lo facciamo elaborando e sviluppando ulteriormente la nostra riflessione, non lesinando nulla sul terreno della proposta e delle idee che potrebbero servire oggi ad arginare o quantomeno a limitare il fenomeno del vero e proprio fiume di danaro immesso dal clan dei Casalesi nell’economia locale e investito praticamente in banca, attraverso la ovvia competitività di certe imprese che possono consentirsi – per motivi facilmente comprensibili – dei ribassi che altre società fuori dall’orbita non possono permettersi

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CASERTA – Una brevissima riflessione per chiarire la linea di questo giornale e per respingere, questa volta preventivamente, le idiozie di cui spesso siamo fatti segno su una nostra presunta posizione giustizialista rispetto a quelli che noi consideriamo coinvolgimenti laterali di certe realtà imprenditoriali di Casal di Principe e dintorni, a riscontro delle necessità stabili e inesauste che il clan ha sempre avuto per ripulire in qualche modo i proventi delle sue attività malavitose, delle estorsioni, dello sfruttamento del gioco d’azzardo, eccetera.

Il caso incrociato nelle nostre ricerche di oggi è quello relativo all’aggiudicazione di un’importante gara d’appalto, bandita dall’Asl di Caserta, per la costruzione di un centro di recupero post covid al terzo piano dell’ospedale Melorio di Santa Maria Capua Vetere che, nel periodo della più acuta emergenza pandemica, fu riconvertito totalmente al soccorso e alla cura dei contagiati.

Si tratta di lavori per un importo a base d’asta di 688 mila euro, aggiudicati con un ribasso tutto sommato congruo, del 34%, per un importo finale di 478 mila euro alla Cogesa di Vincenzo Corvino, srl con sede ad Aversa in via Riverso. Ciò secondo la formulazione declinata dai documenti amministrativi dell’Asl casertana, difforme, però, da altre indicazioni, forse datate, che individuano, invece, la sede di Cogesa in quel di Casal di Principe.

Queste informazioni anagrafiche sono state da noi agevolmente acquisite in quanto la ragione sociale indicata nella delibera dell’Asl Caserta collima esattamente con ciò che il Gip del tribunale di Napoli Giovanna Cervo ha scritto al capo 28 dell’ormai celeberrima ordinanza double-face su Nicola Schiavone Monaciello e su Dante Apicella, così come si può constatare dallo stralcio (CLICCA PER LEGGERLO) da noi pubblicato integralmente in calce ad un articolo del 19 maggio scorso, distante cioè un paio di settimane dal tre maggio, data in cui l’ordinanza citata fu eseguita.

Scrive il giudice per le indagini preliminari Cervo, facendo propria la tesi della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, la quale, per quanto riguarda la sezione dell’inchiesta su Apicella e co., ha utilizzato uno dei suoi magistrati di punta e sicuramente tra i più esperti, cioè Antonello Ardituro:

“[…] mediante plurime transazioni sia in entrata che in uscita, con aziende cd. di appoggio, finalizzate al trasferimento di ricchezze, piuttosto che alla monetizzazione di provviste illecite attraverso lo strumento del cd. cambio-assegni con:

la COGESA di Vincenzo Corvino ed Edera Costruzioni srl, aziende che effettuavano lavori in Casal di Principe
le aziende della famiglia DIANA, ovvero DIGECO e DISA;

[…]”.

Seguono altri 15 nomi tra imprenditori ed imprese. Considerando la presenza di un soggetto imprenditoriale che faceva capo alla famiglia Diana e di un altro collegato alle famiglie Petrillo-Massaro, non può sfuggire ad una valutazione attenta di questo elenco il fatto che vi siano compresi contemporaneamente sia imprenditori pesantemente implicati nell’ordinanza e, per questo, addirittura arrestati, come è successo nel caso dei Diana e dei Petrillo, sia nomi che, pur facendo lo stesso tipo di attività di cambio assegni, non sono stati né arrestati, né indagati.

Tutto ciò per affermare in maniera forte e chiara che né Vincenzo Corvino, né la Cogesa sono finiti nel registro degli indagati, copiosamente partecipato e custodito nell’archivio della Dda di Napoli.

È sempre utile precisare l’estraneità pro-tempore di una persona giuridica alle conseguenze di un’inchiesta giudiziaria, perché questo serve per rendere il ragionamento successivo ancor più serio e assolutamente imparziale rispetto a quella che è stata, è e resterà un’impostazione autenticamente garantista del nostro giornale.

Ma essere garantisti, soprattutto da queste parti, non vuol dire essere, per usare una parola un po’ inventata, assoluzionisti ad ogni costo.

Esiste, infatti, un piano differente da quello giudiziario, ma ugualmente importante, ugualmente cruciale per la corretta espressione delle potestà amministrative, cioè del funzionamento delle istituzioni dello Stato direttamente a questo connesse oppure indirettamente collegate, attraverso le attività delle sue derivazioni territoriali.

D’altronde, se qualcuno, a un certo punto della storia di questo Paese, se qualcuno, dagli anni Ottanta in poi, ha affermato che la lotta alle mafie non poteva esaurirsi al solo terreno dell’azione giudiziaria, vuol dire che le altre strutture, gli altri terreni sono comunque importanti.

Se a questo si aggiunge che i primi ad affermare con forza, con determinazione, che la battaglia cruenta, cruciale, storica, epocale contro le mafie si sarebbe vinta o persa in ragione della capacità di essiccare le fonti della rideterminazione patrimoniale, delle grandi vie del riciclaggio percorse da apparenti insospettabili, da quei colletti bianchi che hanno costruito patrimoni spaventosi con soldi madidi di sangue, si chiamavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, beh, non crediamo di dover aggiungere ancora altro per valorizzare la tesi su un’attività che va svolta con una dedizione certosina e attribuendo, oggi più che mai, alla capacità organizzativa dello Stato, nelle sue diramazioni economico amministrative, strumenti di analisi e organizzativi che riescano quantomeno a fermare l’effluvio di danaro che, dalle casse pubbliche, alimentate dalla spaventosa pressione fiscale inflitta ai cittadini di questo Paese, finisce in quelle di aziende sulle quali, da garantisti quali siamo, noi non formuleremo mai giudizi di valore o moralità, limitandoci ad analizzare la loro identità attraverso i riscontri incrociati nella solenne ufficialità di un atto giudiziario.

La domanda che noi, purtroppo, non possiamo che porre al solo prefetto pro-tempore di Caserta è simile a quelle a lui formulate negli ultimi mesi per altri fatti simili a questo:

è sufficiente, signor prefetto Giuseppe Castaldo, la formulazione messa nero su bianco di un giudice della repubblica italiana, il quale accoglie la costruzione accusatoria dei magistrati di una valorosissima struttura antimafia qual è la Dda di Napoli, per verificare, ripeto, solo per verificare, se l’impresa Cogesa del signor Vincenzo Corvino sia ancora percorsa oggi da quei condizionamenti che l’hanno portata, secondo la prospettazione dell’appena citata Dda riscontrata dall’appena citato Gip del Tribunale di Napoli, a decidere di prestarsi all’attività di cambio assegni in favore delle necessità di altre imprese o di faccendieri direttamente telecomandati dai boss, faccendieri ai quali, per questo motivo, al capo 28 dell’ordinanza in questione, vengono contestati il reato di riciclaggio ai sensi dell’articolo 648 del codice penale, con l’aggravamento derivato dalla contestuale attribuzione dell’articolo 416 bis, comma uno?

Sappiamo bene che le dinamiche di controllo amministrativo su certi imprenditori e su certe società hanno subito negli ultimi anni un significativo rilassamento. D’altronde, si tratta di attività non semplicissime, perchè implicano una costante relazione tra l’autorità di governo, impegnata a rappresentarlo in larga parte delle funzioni amministrative, e un’altra autorità dello Stato, certificata come autonoma, come indipendente dalla Costituzione, cioè dalla magistratura inquirente, dalla procura della repubblica di Napoli, nella sua sezione rappresentata dalla Dda.

Ma questo allentamento, di cui certo non si può addebitare colpa specifica all’attuale prefetto, è totalmente inopportuno, antistorico e anticiclico, perchè oggi, molto più che in passato, quando l’espressione militare della camorra sovrastava quella costituita sull’azione dei colletti bianchi, i clan, nel nostro caso il clan dei Casalesi, avendo strutturato soprattutto nei primi 15 anni di questo secolo una rete capillare di rapporti economici uguali o simili a quello che il signor Dante Apicella, in nome e per conto di Nicola Schiavone, di Francesco Schiavone Sandokan, aveva strutturato con la Cogesa di Vincenzo Corvino, ci sarebbe addirittura bisogno di rendere prevalente l’attività istruttoria finalizzata alla verifica delle condizioni e delle ragioni che giustificano l’emissione di un’interdittiva antimafia, rispetto all’attività giudiziaria, la quale, giustamente, garantisticamente, è legata a vincoli molto più stringenti per l’emissione di provvedimenti cautelari e variamente restrittivi della libertà personale e imprenditoriale.

Come avete potuto notare, nessun rilievo abbiamo espresso nei confronti dell’Asl di Caserta. Se lo facessimo, entreremmo in quella logica che, opportunamente, sarebbe criticabile da parte di un vero garantista. Non è, infatti, l’Asl, non è infatti un comune, non è, infatti l’amministrazione provinciale, che gratifica il signor Mastrominico di un affidamento diretto di 148 mila euro, a doversi porre il problema.

Perchè una cosa sono le questioni inerenti ai controlli e al lavoro giornalistico realizzato con l’obiettivo di evidenziare procedure che non convincono sul piano della tenuta anticorruzione, altra cosa è ragionare e decidere se dentro ad un’impresa esistano condizionamenti che possono anche essere soltanto subiti da parte della criminalità organizzata.

Sognando un’altra Italia, un’altra Campania e un’altra Prefettura di Caserta, occorreva che l’ufficio del governo acquisisse l’ordinanza di cui stiamo parlando e realizzasse rapide indagini su tutte le imprese che la Dda e un Gip definiscono di “appoggio” al clan dei Casalesi.

Nelle more – anzi, diciamo nei lamponi, visto che le more evocano solo inguacchi, tempi indefiniti e infiniti – sospendere per 3/4 mesi la possibilità di queste imprese a partecipare a gare di appalto pubbliche, anche se ci rendiamo conto che per fare ciò occorrerebbe una legge ad hoc o un integrazione delle norme sulle quali si basa lo strumento dell’interdittiva antimafia.

Questo bisognava fare, perché oggi noi abbiamo scovato una delibera dell’Asl di Caserta e visto che siamo gli unici a trovarne una ogni tanto (CLICCA QUI PER LEGGERE IL CASO COMUNI CAPODRISE-CASALE).

Ma non c’è dubbio alcuno che tante altre delibere, tante altre determine, che premiano imprese con le stesse caratteristiche e criticità della Cogesa, siano annidate a decine, centinaia negli albi pretori di tutte le amministrazioni locali erogatrici di risorse pubbliche, cioè comuni, provincia, quelle schifezze degli enti strumentali, partire dal Consorzio Idrico e alla Gisec, arrivando, perchè no, anche amministrazioni che dipendono direttamente dallo Stato, come la Soprintendenza di Caserta, che in questo minuto preciso, con il ministro Gennaro Sangiuliano, il quale ci ha riferito che se ne sta occupando, ha il suo sovrintendente, la sua massima carica di potestà e di rappresentanza agli arresti domiciliari, in quanto i carabinieri gli hanno trovato in casa un vero e proprio tesoro di preziosissimi reperti archeologici, nominandolo ipso facto come sovrintendente ai tombaroli.

E, per oggi, ci fermiamo qui, ma come si è potuto capire ultimamente, questo è un fronte che ci interessa e che, dunque, continueremo a battere, a presidiare con rinnovata e accresciuta attenzione.