Domanda alla Prefettura e ai sindaci di CAPODRISE E CASAL DI PRINCIPE. La Dda e un Gip dicono che la società di Schiavone e Ucciero è in mano al clan dei Casalesi. Che facciamo con gli appalti in corso?

23 Novembre 2022 - 16:33

La prima parte dell’articolo la dedichiamo a questa riflessione valutativa. Nella seconda parte esaminiamo i capi di imputazione provvisoria contestati agli indagati. Che non sono solo due, bensì cinque. Per altri tre l’arresto non è scattato. Il ruolo di Luigi e Isidoro Schiavone, padre e fratello di O’Russo

CASAL DI PRINCIPE (gianluigi guarino) – Diciamo subito una cosa con chiarezza, che poi è sempre la stessa da noi spesso affermata e per la quale non abbiamo mai ricevuto risposta quando ci siamo rivolti alle amministrazioni comunali e agli enti pubblici in questa provincia.

Non sappiamo, cioè, se l’attività della magistratura inquirente della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all’arresto di Nicola Schiavone, detto O’Russ, 44enne di Casal di Principe, e di Alessandro Ucciero, 50 anni, da Villa Literno, abbia determinato conseguenze anche nei procedimenti amministrativi ancora – presumibilmente – in corso.

Ad esempio, non sappiamo se siano iniziati, siano terminati o si siano stati interrotti i lavori della messa in sicurezza del rione Campo Marte rispetto ad eventi atmosferici estremi, appaltati dal comune di Capodrise alla Vonax srl (LEGGI QUI LA NOTIZIA), ufficialmente riferibile ad Ucciero, ma in realtà, come la Dda mette nero su bianco nei provvedimenti giudiziari che hanno portato 48 ore fa all’arresto di Schiavone e Ucciero, ditta di proprietà del primo tra questi, nonché storico riferimento imprenditoriale di un altro Nicola

Schiavone, cioè del figlio di Francesco Sandokan Schiavone, in tutti gli anni in cui ha svolto il compito di leader del clan dei Casalesi.

Questo discorso di Capodrise vale anche pedissequamente per Casal di Principe, dove Schiavone ed Ucciero con la Vonax lavorano in cottimo fiduciario sulla pubblica illuminazione della città.

Perchè qui a Caserta (parliamo di ciò che conosciamo, in quanto sono vicende che seguiamo direttamente) può anche capitare che un giudice, accogliendo e dando forza alle tesi di uno o più pubblici ministeri dell’Antimafia, decida di arrestare delle persone, sulla base dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, su una chiara riconducibilità di imprese al clan dei Casalesi e, magari, queste imprese continuino ad operare, perchè tra il comune committente – in questo caso Capodrise o Casal di Principe – e gli uffici della Prefettura di Caserta, che definire letargici e afflitti da elefantiasi cronica e irreversibile è poco, ci si palleggia la procedura.

E la Vonax dopo la firma del contratto per l’appalto di Capodrise con base d’asta da mezzo milione di euro, ha anche già ricevuto parte dell’importo di pagamento.

Abbiamo voluto cominciare il nostro articolo con questa argomentazione in quanto, da qualche tempo, c’è sembrato utile, se non addirittura doveroso, evidenziare le sfasature esistenti tra i procedimenti penali contro le imprese di camorra e i procedimenti amministrativi che non riescono a cancellare la vergogna da noi più volte denunciata, che consente a questi soggetti economici di ricevere una certificazione di qualità dallo Stato che molto agevolmente li inserisce nell’ormai famoso e famigerato Mepa.

Se a questo si aggiunge che per tirar fuori un’interdittiva antimafia la prefettura di Caserta ci impiega più tempo di quello che impiegò “il pittore sublime” per affrescare la Cappella Sistina, si capisce bene che oggi, giorno 23 novembre 2022, ore 16:15 pomeridiane, il clan dei Casalesi, pur ammaccato, pur indebolito dalle inchieste della magistratura, continua a drenare quattrini grazie agli appalti – e che appalti! – aggiudicati dai comuni e dagli altri enti pubblici strumentali attivi in provincia di Caserta.

La lettura dei sette capi di imputazione provvisoria dell’ordinanza appena citata non lascia adito a dubbi: la Vonax, parola che peraltro garantisce una fonesi alla moda in tempo di novax e che, a pensarci bene, si tratta di un “meraviglioso” anagramma, è una ditta controllata in tutto e per tutto da Nicola Schiavone O’ Russ, che questo lavoro di responsabile per gli appalti pubblici lo ha fatto in nome e per conto del clan dei Casalesi e per il suo omonimo-cugino alla lontana e, dunque, indirettamente anche per Francesco Schiavone Sandokan.

Successivamente, O’Russ, peraltro reduce da una condanna carceraria scontata ad epilogo dei processi frutto dell’ordinanza Normandia II, dopo essere uscito al carcere si è messo, come si suol dire, subito di buzzo buono, riattivando la struttura della sua attività: in poche parole è divenuto attore di attività camorristiche, ciò stando a quello che gli viene contestato nel capo 1, l’associazione piena ai sensi dell’articolo 416 bis, commi da 1 a 6, a cui si aggiunge il comma 8.

La prima cosa che ha fatto Nicola Schiavone ’78 è consistita nel recupero capitali. Per questa operazione, ha utilizzato i servigi di suo padre, Luigi Schiavone, 75enne, anche lui condannato nel processo Normandia II per i reati di turbativa d’asta e intestazione fittizia di beni, entrambi aggravati da quello che al tempo era l’articolo 7 del decreto legge 152 del 13 maggio 1991, successivamente convertito in legge dello Stato e poi trasfuso da pochi anni nell’articolo 416 bis, comma 1 del codice penale. Ma O’Russo si è servito anche del supporto del fratello, il 39enne Isidoro Schiavone.

I due congiunti hanno organizzato una sorta di giro delle sette chiese, andando ad esigere il pagamento dei debiti che alcune persone avrebbero contratto con Nicola Schiavone, in quanto quest’ultimo sarebbe stato di fatto co-titolare di fatto di quote di diverse società, all’interno di diverse imprese edili e di lavori pubblici, dato che le gare aggiudicate a queste ditte e a questi imprenditori sarebbero state il frutto dell’intervento di O’Russ, il quale le avrebbe incanalate a suo piacimento, grazie all’influenza che poteva esercitare negli uffici pubblici, derivante dall’essere un riferimento fondamentale nel settore degli appalti pubblici nei vertici del clan.

Oltre a questo tipo di recupero, formato da Nicola Schiavone ’78, dal padre Luigi e dal fratello Isidoro, questa triade si è impegnata a scoperchiare diversi mattoni e a spostare altrettanti materassi, dove erano state conservate ragguardevoli cifre in contanti adeguatamente riparate in diverse abitazioni di residenza di parenti e congiunti del terzetto di cui sopra.

Per questa attività, la Dda ha contestato un capo d’imputazione provvisorio specifico, fondato sul reato di ricettazione, ai sensi dell’articolo 648 bis e ter del codice penale, a cui naturalmente è stato aggiunto l’aggravante del fu articolo 7, ora, come già scritto prima, 416 bis, comma uno del codice penale.

Ma è il capo di imputazione numero 2 a declinare con precisione i tratti anagrafici e specifici della Vonax, ovvero l’azienda aggiudicataria del superappalto al comune di Capodrise, tramite il dirigente Ernesto Palermiti, durante la precedente consiliatura del primo cittadino Angelo Crescente, ma dominata dall’ex presidente del consiglio comunale, Enzo Negro, non a caso divenuto, una volta accantonato il “bruciatissimo” Crescente, a sua volta sindaco nell’ottobre 2021.

In questo caso, è proprio l’esistenza e il suo riconoscimento del gip dei gravi indizi di colpevolezza, relativi al fatto che O’Russ sia il vero titolare di questa società e Ucciero il suo prestanome (contestato infatti, l’articolo 512 del codice penale: intestazione fittizia) a determinare la misura cautelare del carcere per entrambi.

Un provvedimento corroborato pure dalla contestazione connessa, consequenziale dell’articolo 648 bis e ter, ovvero della ricettazione, il tutto aggravato chiaramente dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, in quanto, recita il capo tre, “lo Schiavone, materialmente impiegando, e l’Ucciero, consentendogli di impiegare nella società Vonax […], la somma di 100 mila euro, di cui 50 mila attraverso plurimi versamenti in contanti“.

In poche parole, nella Vonax i soldi ce li ha messi Nicola Schiavone e dunque, presumibilmente, il clan dei Casalesi. Conseguentemente, questa capitalizzazione, questa iniezione di risorse da parte del clan ha costituito base concreta affinchè Vonax acquisisse quella competitività che gli ha consentito di aggiudicarsi molte gare d’appalto, credibilmente di più rispetto a quelle da noi rintracciate a Casal di Principe e Capodrise.

Un’altra persona indagata nella stessa indagine è Vincenzo Mosca. Per il venticinquenne, arrestato e poi scarcerato per possesso di droga nel novembre di tre anni fa, quando di anni ne aveva 22, assieme a Massimiliano Schiavone, nipote di Francesco Schiavone Sandokan, la Dda contesta l’intestazione fittizia di un’Audi A3, sulla carta di proprietà di Mosca, ma nelle possibilità di Nicola Schiavone ’78.

E a proposito dell’Audi A3, questa vicenda specifica ci consente di ricollegarci al recupero capitali, realizzato dai tre Schiavone. Secondo la prospettazione accusatoria, si trattò di un’operazione che consentì agli Schiavone di approvigionarsi di una cifra pari almeno a 400 mila euro, utilizzata in parte, così è scritto nel capo 3 “impiegata nella Vonax, in parte per l’acquisto di un’autovettura“.

L’arresto è scattato dunque solo per Nicola Schiavone O’Russ e per il prestanome, Ucciero. A quanto ci risulta, la Dda aveva chiesto l’arresto sicuramente per Mosca. Un’istanza, quest’ultima, rigettata dal gip a causa di un’incertezza sull’identificabilità di Mosca rispetto all’addebito contestato. Di qui, il diniego che, però, a quanto se ne sa, potrebbe essere riscontrato da un’ulteriore richiesta di arresto, stavolta corredata da tutti i documenti utili per l’identificazione.

Dunque, il 27enne è ancora a rischio.

Per quanto riguarda, invece, Luigi ed Isidoro Schiavone, ripetiamo, padre e fratello di O’Russo, non abbiamo una certezza matematica che ci permetta di dire che anche nei loro confronti sia stata avanzata una richiesta di arresto da parte della Dda, non riscontrata dal giudice per le indagini preliminari.

Cercheremo di acquisire le informazioni dai documenti giudiziari di cui siamo venuti in possesso.

Si tratta di un particolare tutt’altro che irrilevante poiché, come è noto ai lettori di CasertaCE, un arresto negato da un gip o anche l’accoglimento dell’arresto richiesto dal PM o dai PM titolari di un’indagine, sono decisione che possono essere impugnato dinanzi al tribunale del Riesame, adito dai difensori quando viene effettuato un arresto o dai pubblici ministeri quando viene opposto un diniego.