POLITICA IN LUTTO. E’ morto a 91 anni Tamì Ventre. E’ stato parlamentare della DC in quattro legislature
5 Agosto 2022 - 16:50
E’ mancato nella sua Formicola, circondato dalle attenzioni e dalle premure dei suoi cari. Al fratello Riccardo, già presidente della provincia ed europarlamentare, e alla nipote e collega Antonella Ventre giunga il cordoglio del sottoscritto e di tutti i collaboratori di CasertaCE
CASERTA (g.g.) – Non amiamo utilizzare certe locuzioni consumate dall’uso smodato che se ne fa e per questo, immeritatamente, confinate al rango di luoghi comuni. Ma qui come possiamo non ricorrere alla metafora del “pezzo di storia”? Bisogna farlo necessariamente, al di là di ogni giudizio politico e di valore sul personaggio venuto a mancare pochi minuti fa.
Un pezzo di storia, perché la vita pubblica di Antonio Ventre, da tutti conosciuto come Tamì, non può non essere affare riguardante il mestiere di storico, che già di per sé sgombra il campo da ogni tossina emotiva, lasciando i sentimenti dove questi è giusto che abitino nei minuti successivi alla dipartita del novantunenne ex
Tamì Ventre è storia anche perché non è stato un unicum. E si sa che la storia si autocertifica come tale quando ha un corso che va al di là della vicenda riguardante una sola persona, di una vicenda magari importante, luminosa, ma fine a se stessa. Tamì Ventre è, perciò, storia anche perché ha tracciato il sentiero al fratello minore Riccardo, presidente della provincia fino al 2004, quando poi approdò al Parlamento Europeo grazie ad un torrenziale apporto di preferenze personali.
E se c’è il pezzo di storia, non può neppure mancare un’altra tipica delineazione figurata di attitudine: al riguardo, Tamì Ventre è stato sicuramente un animale politico in grado di durare nel tempo, in un tempo in cui nella DC e nelle sue correnti non mancavano certo i concorrenti e gli scalpitanti, dai quali però mai in discussione fu messo dal 1979 al 1994, quando, con la caduta della cosiddetta prima repubblica e dopo 15 anni di militanza parlamentare, anche Tamì Ventre dovette fare un passo indietro, rinunciando a cimentarsi in un contesto che, ai primordi di una stagione tutta nuova ma tanto disordinata, non si ritrovava.
Fu in Parlamento quattro volte, si diceva. Nell’ottava legislatura, quella iniziata nel 1979 e conclusasi nel 1983, nella nona, egualmente terminata con un anno di anticipo, in quel 1987 che manifestò, come solo nella Democrazia Cristiana poteva accadere, i primi segni del declino della stella di Ciriaco De Mita, la cui parabola discendente iniziava proprio nel momento in cui (e forse proprio per questo) sembrava consegnata ad un lungo apogeo, nel momento in cui il vate di Nusco, anche lui scomparso quest’anno, desiderò di avere tutta l’Italia in mano, ricoprendo contemporaneamente la carica di segretario nazionale della DC e quella di presidente del consiglio.
Due ruoli che al tempo avevano esattamente la stessa valenza, lo stesso peso specifico, mentre sul piano politico non c’era partita, visto che un segretario della DC era molto, ma molto più importante di un qualsiasi presidente del consiglio, istituzione che allora era il più delle volte transitoria, decisamente soggetta a tonfi e detronizzazioni, soffrendo, ugualmente ieri come oggi, della fortissima impronta parlamentare che i costituenti, per reazione e per prevenzione all’indomani del Ventennio fascista, ritennero potesse rappresentare, in quanto antitesi, la protezione, l’anticorpo rispetto alle minacce di svolta autoritaria.
Tamì Ventre tornò in Parlamento anche nel 1987,. stavolta da senatore, in una legislatura che, per una volta, si chiuse a scadenza naturale, ma probabilmente solo perché la situazione del Paese e il rapporto di questo con la politica era già profondamente cambiato e in lontananza già si avvertivano i tamburi di una guerra che poi sarebbe deflagrata nel febbraio 1992, in quel Pio Albergo Trivulzio, che nell’occasione non fu – come è stato nei primi tragici mesi del 2020 – un cimitero di anziani decimati dal covid, bensì quello della prima repubblica. E nelle elezioni del 1992 che si tennero in un clima autenticamente drammatico, con il sangue di Salvo Lima, senatore della Dc e dunque collega di Tamì, nonché referente politico di cosa nostra, ancora caldo sul selciato di Palermo, tetro apripista di ciò che sarebbe successo da lì a un mese a Capaci e di lì a tre mesi in via D’Amelio, Ventre riuscì, nonostante il vistoso calo di consensi subito dalla DC, a conservare il suo seggio a palazzo Madama.
Della sua esperienza e delle sua attività vissute nel territorio di Terra di Lavoro sappiamo di meno, visto che al tempo il sottoscritto non lavorava ancora in questa provincia e che quella caccia alle streghe, unita alla discesa in campo del fratello Riccardo, portò Tamì a ritirarsi completamente dalla scena politica, distogliendo ogni attenzione, ogni forma di possibile di ricostruzione giornalistica di un’esperienza politica che apparteneva ad un’altra stagione e che tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del XXI Secolo appariva addirittura liquefatta, cancellata, sciolta nell’acido della stagione di Tangentopoli, che nei suoi primi anni fu anche utilizzata dai nuovi politici, in maniera da consegnare all’oblio tutto quello che era stato e che non avrebbe dovuto più condizionare, disturbare i nuovi capipartito e i primi capipopolo, vera novità che si affacciava come grande anomalia competitiva rispetto a quella democrazia parlamentare, indebolita da se stessa ancor prima che dalla magistratura.
Di Antonio Ventre abbiamo letto cose riguardanti il suo impegno dentro agli ingranaggi molto spesso complicati della sanità casertana. Ma qui entreremmo in un argomento che merita un approccio diverso, analitico e non condizionato dall’evento della morte che in questi minuti, nelle prossime ore, nei prossimi giorni catalizzerà ed assorbirà ogni citazione e ogni ricostruzione.