REGGIA DI CASERTA. Gli sviolinatori di Felicori si indignano per un manifesto 6 per 3 e niente hanno mai detto sulle oscenità nel periodo del bolognese

15 Marzo 2019 - 15:56

Caserta – (Pasman) Accade che un’azienda di bricolage, per annunciare la sua prossima apertura a Caserta, si affidi a due cartelloni pubblicitari in cui sono ritratti, in un fotomontaggio, la Reggia e i Ponti della Valle vanvitelliani  interpretati a modo proprio attraverso i propri prodotti.

Gli ideatori della campagna pubblicitaria devono aver pensato che in quello non c’era niente di male, poiché un tipo di pasta, un amaro, un vino, delle borse, foulard e cravatte sono già accostate a Palazzo Reale per réclame. E indotti da ciò e forse sconoscendo che le immagini del monumento (vale anche per l’acquedotto carolino?) sono coperte da copyright, non hanno acquisito le necessarie autorizzazioni né hanno corrisposto il canone stabilito, il cui ammontare certo non proibitivo per un soggetto economico di quel livello depone senz’altro per l’involontarietà della omissione.

Sta di fatto che per questa bazzecola si è scatenato il finimondo e si è parlato di umiliazione del monumento.

Finimondo dal quale ci si è guardati bene quando ne sarebbe stato realmente il caso, le tante volte che, non le immagini della Reggia, ma i suoi stessi ambienti nobili, gli appartamenti regali, il Vestibolo, lo Scalone d’onore, la Sala del Trono, sono stati spregiati con le iniziative più svilenti della sua funzione museale e culturale, come cene, feste private e di marketing, sfilate di abiti, rappresentazioni e raduni i più astrusi. Per non dire del rischio scampato che per vent’anni la Peschiera

Grande venisse concessa a dei privati per i propri loro affari.

Questione incomprensibile. Ma dai commenti che abbiamo ascoltato sulla vicenda, una cosa senz’altro abbiamo afferrato.

Dalle parti della Reggia, il parametro che vige per discriminare ogni iniziativa che la concerna è quello della mondanità. Basta che ci sia in mezzo la moda, vera o presunta, il compleanno di qualche borghese facoltoso o ci siano in ballo relazioni altolocate, porte aperte. Tutto passa in cavalleria.

Per il restante, come in questo caso emblematico, ci si esercita persino nell’estetismo, invocando un astratto, dirigistico e tutto opinabile concetto (al netto della violazione amministrativa per il mancato canone, ovviamente) di tutela dell’immagine o persino la strumentalizzazione commerciale, quella che nel sito vanvitelliano ha preso piede negli ultimi anni. Dice niente, in tema, la recente sentenza della Corte europea di Strasburgo la quale ha stabilito che non si può vietare persino l’uso delle immagini di Gesù e della Madonna, quanto di più sacrale, in pubblicità, perché sarebbe una compressione della libertà di espressione ?

Nella foto, il manifesto pubblicitario di un’azienda di abbigliamento polacca su cui si è pronunciata la Corte Euopea di Strasburgo.

Non solo noi ma, anzi, esperti riconosciuti hanno deprecato come – facendo un solo esempio – per l’evento Thun dell’ottobre dello scorso anno si riducesse “…la facciata di Vanvitelli a grande torta di compleanno, e a fondale su cui far scorrazzare i suoi orsacchiotti giganti.”

E quante volte ci siamo opposti a quell’autentica grossolanità di illuminare la Reggia non per renderla visibile con il buio, ma nei modi più improbabili in occasione di festività e ricorrenze, per mezzo dell’impianto di fari stroboscopici (sic!) esorbitante e costoso voluto a tal proposito a suo tempo.

L’apprezzato storico dell’arte Vincenzo Trione, non a caso, nel suo ultimo intervento sul Corriere del Mezzogiorno del 7 marzo scorso nella polemica attualissima circa la giustificabilità dello spostamento della tela del Caravaggio Sette opere di misericordia”, particolarmente fragile, dalla sua sede secolare napoletana della Chiesa del Pio Monte al museo del Capodimonte per una prossima mostra sull’artista, a riguardo della cultura e dei manager del ticket che imperversano e degli usi salottieri in voga nel monumento casertano, ha dichiarato “Il testimone controverso di questa deriva è Mauro Felicori, che ha trasformato la Reggia di Caserta in una location kitsch.

Tutt’altro da quelle mirabilie che ancora si ammanniscono ai casertani sul conto dell’ex direttore, con prese di posizioni a sua difesa gratuite, acritiche, campate in aria e che potremmo definire caudatarie, proprio nel senso da reggicoda.

Intanto la realtà non mediatizzata dice che i danni inferti al monumento in questi ultimi anni non sono stati di poco conto, come attestano le vicende irrisolte sulla sicurezza interna ed esterna del museo, il nodo della manutenzione e, per dirne solo una, il recente accesso dei carabinieri ad incartamenti vari.

E la Reggia, sebbene ancora priva di una direzione stabile, attrae visitatori numerosi come sempre, per la sua potenza attrattiva di capolavoro architettonico che abbiamo sempre evidenziato, rispetto a chi parlava di miracolo degli ingressi per la ricetta felicoriana, miracolo che però non ha bissato – se ci dobbiamo mettere sullo stesso piano valutativo – i record che si sono conosciuti per il passato.

Intanto, dall’altro ieri il direttore ad interim Antonio Lampis è a Caserta per affrontare alcuni dossier urgenti, come quello delle relazioni con le organizzazioni sindacali, malamente interrottesi con il manager bolognese, e quello degli eventi esterni.

Dopo le visite protocollari quanto sterili con le autorità istituzionali e politiche cittadine, pare che, incontrando le associazioni che li animavano, abbia promesso che i Martedì alla Reggia da lui sospesi ad inizio del mese riprenderanno.

Speriamo che si tratti solo di un prendere tempo da parte sua, in attesa di scavallare il tempo che resta per l’insediamento del direttore effettivo. Ma sarebbe stato meglio che avesse chiarito che il livello sopranazionale del monumento ammette iniziative di terzi solo di altissimo ed esclusivo livello in campo culturale ed artistico, dopo una loro valutazione e l’approvazione da parte dell’alto comitato tecnico scientifico della Reggia, istituito proprio in tale funzione. Per il resto, la città, con sale e teatri anche dignitosi offre spazi a chiunque.

E qui va chiarito che la Reggia rappresenta e deve rappresentare un attrattore turistico esclusivamente per il suo valore museale ed architettonico. Non le appartiene, come si immagina da parte di alcuni e come si è lasciato credere, che possa essere concessa nella disponibilità diretta, attraverso l’utilizzo dei suoi ambienti, spazi e luoghi, a chi rivendica di volervi esercitare l’impresa turistica e di intrattenimento. Dal nostro punto di vista è una pretesa lunare quella di voler realizzare spettacoli di varia natura e valore ed a pagamento per attrarre visitatori ai fini di profitto. E la vicenda dei servizi in concessione nei musei italiani, i quali finiscono per raccogliere le briciole, dovrebbe aver insegnato qualcosa.

Senza dire, poi, del fattore di discriminazione economico che si introduce in tal modo tra il pubblico dei visitatori, che fruiscono di un bene pubblico comune in modo differenziato, a seconda che possano pagare o meno.  Staremo a vedere.

Chiudiamo mostrando, nella foto in basso, l’altro tabellone pubblicitario della discordia (con i Ponti della Valle) a confronto con il manifesto pubblicitario di Rosso Vanvitelliano, uno degli spettacoli dei Martedì alla Reggia che si sono tenuti sino alla loro sospensione . E  domandiamo in che cosa differiscono in essenza, laddove il manifesto, che in verità pare più da Grand Guignol, annuncia:

Nel cuore della Reggia, tra le pietre delle sue scale, è sepolta la chiave che unisce presente, futuro e passato. Sentimento, avventura e mistero…la scoperta del segreto che sconvolgerà il mondo

Ed a soli 12 euro; roba per gonzi, insomma!