L’INTERVENTO. I roghi degli impianti del trattamento dei rifiuti solo colpa della politica. E la Regione Campania consente a imprese da un milione di metri cubi di non applicare le norme antincendio

13 Settembre 2020 - 17:52

CASERTA – Vi siete mai chiesti il perché gli impianti di smaltimento rifiuti spesso prendono fuoco? Per un motivo molto semplice, sfuggito a tutti, addebitabile in primo luogo alla “politica”, che evidentemente non vuole risolvere realmente il problema. Vi è, infatti, un silenzio normativo sul punto. La normativa antincendio vigente, ed in particolare il DPR 01/08/2011 n. 151 che disciplina i procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, non indica (udite, udite) gli impianti di trattamento rifiuti quali attività soggetto al controllo di prevenzione incendi. Anche se leggete e rileggete l’allegato I al DPR n. 151/11, che elenca le attività soggette alla disciplina antincendio (ben 80 tipologie), non troverete gli impianti di smaltimento rifiuti, nonostante siano quelli più soggetti a pericolo di incendio in quanto è notorio che i rifiuti sono caratterizzati dal fenomeno della autocombustione, oltre che a quello criminale dell’incendio doloso. Nell’allegato I c’è di tutto: dalla rivendita di alcolici (n.15), ai depositi di cereali (n.27), passando per gli impianti che producono surrogati del caffè (n.29) e le biblioteche (n.34), ma non ci sono gli impianti di smaltimento rifiuti, vere e proprie bombe incendiarie in attesa dell’innesco, che può prodursi da solo oltre che per la mano o l’incuria dell’uomo: basta una bomboletta di deodorante gettata nella spazzatura.

È evidente che il legislatore non ha voluto affrontare una problematica di difficile soluzione pratica (per incapacità o altro?). Quello che salta all’occhio anche del non addetto ai lavori e che nell’allegato I del DPR c’è, come accennato, di tutto e di più, anche attività di “discutibile” pericolosità dal punto di vista della prevenzione incendi e comunque di pericolosità bassa, come ad esempio le tipografie (n.76), ma all’appello manca quella che per antonomasia sviluppa incendi per “autocombustione”. Come è potuto accadere tutto ciò? Dimenticanza? Distrazione? Le due ipotesi sono da scartare in quanto il fenomeno degli incendi degli impianti di smaltimento rifiuti per la loro recrudescenza su tutto il territorio nazionale ha reso necessaria addirittura la costituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare istituita con la L. n. 1/14, che ha affrontato “ex professo” il problema, approvando la relazione finale nella seduta del 17/01/2018.

Ebbene nelle n. 98 pagine della relazione, le cui prime pagine da 1 a 89 rappresentano la elencazione degli incendi sul territorio nazionale con la descrizione delle relative inchieste giudiziaria, non si solleva la problematica che gli impianti di smaltimento dei rifiuti in quanto tali sono fuori dall’elenco di cui allegato I del DPR n. 151/11, né si critica per detta omissione la principale norma che disciplina la materia. Conclude la relazione che se da un lato gli incendi dei “cumuli di rifiuti” sono in netto calo al SUD, l’incremento degli incendi “degli impianti di smaltimento” soprattutto al NORD Italia è “costante”. E continuano a chiamare la Regione Campania “terra dei fuochi”!

Ma come è possibile che una Commissione d’inchiesta non abbia affrontato il cuore del problema? Possibile che nessuno gli ha riferito la particolarità degli impianti di smaltimento rifiuti che sono fuori dall’allegato I? Ma soprattutto come è potuto accadere che nessuno dei membri della Commissione ha criticato l’allegato I del DPR per la sua incoerenza sul punto?

Come è noto la prevenzione incendi, attenendo alla “sicurezza” e “all’ambiente” e soggetta alla potestà esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, c.2, lett. d) e s) della Costituzione. In conformità di detti principi costituzionali gli art.li 13,14 e 15 del D. Lgs. 8.3.06 n. 139, che detta le disposizioni relative al funzionamento ed i compiti del Corpo nazionale dei VVFF, rimette alla competenza esclusiva del Ministero dell’Interno la materia della “prevenzione incendi”, ritenuta di “preminente interesse pubblico”. È il Ministero degli Interni, infatti, che elabora le “norme di prevenzione incendi” (art. 14, c.2, D. Lgs. n. 139/06) e approva le “norme tecniche di prevenzione incendi” (art. 15, c.1, D. Lgs. n. 139/06), da applicarsi in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, se non fosse per il fatto che in occasione degli spegnimenti degli incendi i VVFF devono trovarsi al cospetto di una situazione univoca che non deve variare da regione a regione (pensiamo alla larghezza minima delle corsie per permettere il transito dei mezzi di soccorso ed evitare collisioni tra i mezzi dei VVFF o intasamenti di sorta).

Il DPR 01/08/11 n. 151, che è il frutto del D. Lgs. n. 139/06, non disciplina gli impianti di smaltimento rifiuti nello specifico, lasciandoli in una situazione di limbo di dubbia costituzionalità visto che l’interprete e l’operatore dovrà incasellare l’impianto di smaltimento rifiuti in una delle 80 voci dell’allegato I.

Per contrastare detto “vuoto” normativo ha cercato di porre rimedio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con una “Circolare” del 15/03/2018 n. 4064, sostituita poi da una quasi identica circolare del 21/01/2019 n. 1121, nella quale vengono dettate le “Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi”, usurpando la competenza al Ministero dell’Interno laddove tenta di disciplinare la prevenzione incendi. La circolare, che fino a che non sarà annullata dal Giudice amministrativo resta valida ed efficace, in maniera molto generica al punto 4 e 5.3 affronta la problematica dell’antincendio, non dopo aver affermato che se lo stoccaggio rifiuti oggetto della richiedente autorizzazione annoveri “un’attività” di cui all’allegato I del DPR n. 151/11, si dovrà dare corso agli obblighi previsti dal predetto decreto (punto 2, penultimo capoverso). La circolare usa il singolare. Basta, quindi, una sola attività che rientri nel novero dell’allegato I per determinare la soggezione di tutto l’impianto di smaltimento al DPR 151/11.

Le “Linee Guida”, come è noto, sono degli atti di indirizzo interni alla p.a. che per avere autorevolezza e legittimazione istituzionale (soft low) devono essere previsti dalla legge, come ad esempio quelle emanate dall’ANAC (art. 31 e 36 D. Lgs. n. 50/16). In assenza di una legge che legittimi ciò le “Linee Guida” sono di difficile inquadramento giuridico nell’ambito della gerarchia delle fonti, con un valore “ambiguo” a causa della loro dubbia natura di atto vincolante e hanno valore di un mero suggerimento. Parimenti la circolare è un “atto interno” alla P.A. che non costituisce fonte del diritto e non è vincolante né per i cittadini, né per il giudice Nel caso di specie le Linee Guida del MiBACT sono state emanate sotto forma di circolare in assenza di una norma primaria che le legittimi, peraltro da un Ministero incompetente con riferimento alla prevenzione incendi.

In pratica un tema così delicato è stato affidato a un atto che non ha valore se non all’interno della pa e che può essere disapplicato dal Giudice se non conforme a legge. Una scelta improvvida in quanto una problematica così delicata meriterebbe un “sostanziale” intervento del legislatore nazionale visto la pericolosità di detti impianti e la loro “costante” messa a “fuoco” volontaria o non.

Comunque per la circolare del MiBACT basta una sola attività che supera il limite previsto dal DPR n. 151/11 per comportare l’assoggettabilità alla normativa di prevenzione di tutto l’impianto: e sul punto non possiamo che essere d’accordo.

Ma veniamo alla Regione Campania, cd “terra dei fuochi”, anche se al Nord si incendiano gli impianti in maniera costante e non i cumuli di rifiuti la cui combustione al SUD è in netto calo. Così si legge nella relazione della Commissione di Inchiesta Parlamentare.

La Regione ha tentato di porre rimedio alla lacuna mediante l’adozione anche essa di “linee guida” tramite un discutibile richiamato alla “tutela ambientale” definita trasversale e, quindi, rientrante nella competenza regionale. Per renderle cogenti la Regione è intervenuta con la L. Reg. 08/08/2018 n. 29 di modifica della L. R. n. 14/2016, che ha previsto all’art 12, c. 4, quater l’emanazione di Linee Guida contenenti le prescrizioni di prevenzione antincendio. Le “linee guida” sono state approvate con la Del. G.R. 20/05/2019 n. 223. Ebbene dette “linee guida” se da un lato tentano di rimediare al silenzio normativo, dall’altro contengono un assurdo giuridico inspiegabile agli occhi degli esperti.

Il punto 4 delle Linee Guida stabilisce in maniera a dir poco scellerata che quanto in un impianto si gestiscono più tipologie di rifiuti l’assoggettamento alla normativa antincendio di cui al DPR 151/11 si verifica in base al rifiuto con quantità maggiore trattato. In pratica non si sommano i rifiuti trattati, ma vale solo quello presente in maggiore quantità ai fini dell’applicazione del DPR 151/11, come se gli incendi nella loro propagazione potessero distinguere un cumulo di rifiuti da un altro ed il pericolo di incendio fosse circoscritto alla sola parte dell’impianto che allocca la maggiore quantità di rifiuto tra i tanti presenti nell’impianto .

Di conseguenza per l’imprenditore che non vuole sottoporsi al DPR n. 151/11 basta dichiarare (e spesso accade) con una autocertificazione redatta da un tecnico a ciò abilitato che nessuno dei rifiuti trattati supera le soglie di cui all’allegato I ed il gioco è fatto. L’impianto anche se tratta per sommatoria quantità di rifiuti abnormi, è fuori dalla normativa antincendio. Una previsione assurda ed inspiegabile. Basta dare una scorsa ai decreti regionali di autorizzazione per rendersi conto della criticità del sistema per come congeniato, in quanto spesso e volentieri l’imprenditore dichiara che nessuno dei molteplici rifiuti trattati supera il limite di all’allegato I. Il tutto facilitato, e allo stesso tempo complicato, dalla circostanza che non vi è corrispondenza tra i codici CER e le operazioni di recupero R e/o D di cui agli allegati B e C del D.Lgs n. 152/06 e la nomenclatura di cui all’allegato I del DPR n. 151. Ciò comporta che dalla elencazione di cui all’allegato I (80 voci) andrà estrapolato il rifiuto trattato ed abbinato dall’interprete al codice CER e all’operazione R e/o D, con una plateale incertezza.

Ebbene all’imprenditore (scaltro) basterà allocarsi sotto la soglia minima dell’allegato I per tutti i codici CER e operazioni R di cui chiede l’autorizzazione per sfuggire alle maglie del DPR cit. e affidarsi al “buon senso”. In considerazione che un impianto può trattare in contemporanea tutti i codici CER e tutte le operazioni R, la disposizione è illogica. “E’ la somma che fa il totale” diceva Totò. Qui, al contrario, è la divisione per comportamenti stagni dei codici CER e operazioni R e/o D che determina l’assoggettabilità o meno dell’impianto complessivamente inteso al DPR 151/11.

Ciò determina l’assurdo che impianti che gestiscono milioni di quintali annui di rifiuti non sono soggetti alla normativa antincendio. Basta la dichiarazione del gestore che attesta che nessuna delle molteplici operazioni di smaltimento supererà la soglia di cui al DPR n. 151/11, “a prescindere” (sempre come diceva Antonio De Curtis) dalla sommatoria dei singoli rifiuti trattati.

Una disposizione senza senso, se non quella di favorire gli incendi e esentare da colpa il titolare dell’impianto. Se scoppia l’incendio, infatti, il titolare si farà forte del non assoggettamento alla normativa perché così ha stabilito la Regione: dove non c’è obbligo non può esserci sanzione penale. Nulla poena sine lege e così si spiegano le archiviazioni delle Procure richiamate nella relazione della Commissione parlamentare, impossibilitate a perseguire “per colpa” i responsabili.

Ma la cosa più assurda e che le Linee Guida regionali al punto 2.1 affermano che la loro adozione è legittima – nonostante la riserva di legge statale di cui all’art. 117, c. 2,lett.s) – in quanto, nel richiamare la circolare n.1121/19 del MiBACT, incrementano i livelli di sicurezza ambientale non apportando deroghe in peius. Ebbene la circolare del MiBACT, come sopra precisato, usa il singolare e non il plurale, con la conseguenza che dà per scontata la sommatoria dei rifiuti e non fa affatto riferimento al singolo materiale presente in maggiore quantità. Di conseguenza vi è stato un intervento regionale in peuis che ha abbassato se non annullato la soglia della tutela ambientale.

Forse sarebbe veramente opportuno che prima del prossimo incendio la Giunta Regionale modifichi il paragrafo 4 delle Linee Guida di un solo “rigo” prevedendo che la “sommatoria” dei rifiuti trattati è la regola (logica) per l’assoggettabilità del progetto alla normativa antincendio, nelle more che il legislatore statale finalmente intervenga con una normativa specifica di settore, stabilendo su tutto il territorio nazionale le norme tecniche di prevenzione incendi degli “obliterati” impianti di smaltimento rifiuti che continuano a prendere fuoco in maniera costante.

Avv. Luigi Adinolfi

Specializzato in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione